Come leggere il Motu Proprio?



Il diaconato in Italia n° 161
(marzo/aprile 2010)

MOTU PROPRIO

Come leggere il Motu Proprio?
di Adolfo Longhitano


Alcuni elementi di novità per definire il sacramento dell'ordine e l'identità del diaconato sono stati introdotti da Benedetto XVI, il 26 ottobre 2009, con il motu proprio Omnium in mentem, che rende pubblica una modifica al Catechismo della Chiesa cattolica (=CCC) apportata da Giovanni Paolo II nel 1998, e riformula i canoni 1008 e 1009 del Codice di diritto canonico (=CDC) in modo coerente con la scelta dottrinale fatta dal suo predecessore.
Una prima lettura del motu proprio fa sorgere qualche interrogativo sull'iter di queste correzioni, che appare alquanto tormentato. Giovanni Paolo II, con lettera apostolica del 15 agosto 1997, aveva promulgato l'edizione latina riveduta e corretta del CCC, edito per la prima volta in lingua francese nel 1992. A distanza di poco più di un anno dalla promulgazione di questa seconda edizione del catechismo, lo stesso Giovanni Paolo II avvertì la necessità di apportare una modifica al n. 1581, in armonia con le modifiche già apportate al n. 875, per dare una configurazione diversa al sacramento dell'ordine e ai tre gradi nei quali esso si distingue: l'episcopato, il presbiterato e il diaconato. Tuttavia la modifica al n. 1581 non divenne operativa perché non fu promulgata negli Acta Apostolicae Sedis. Pertanto la traduzione in lingua italiana del CCC, pubblicata dall'Editrice Vaticana nel 1999 e il testo nelle diverse lingue riportato nel sito web del Vaticano, non ha recepito la variazione disposta dal papa. La stessa Commissione Teologica Internazionale nel documento Il Diaconato: evoluzione e prospettive del 30 settembre 2002 (Enchiridion Vaticanum, 21, n. 940-1139) ignora la modifica e continua a citare il CCC nella sua ultima stesura del 1997.
La decisione di rendere pubblica la modifica di Giovanni Paolo II a distanza di ben undici anni potrebbe far pensare a un ripensamento e all'opportunità di un ulteriore periodo di riflessione. Appare comunque problematica la decisione di modificare anche il CDC, promulgato nel 1983.

La modifica voluta da Giovanni Paolo II
Il CCC, affrontando il tema del sacramento dell'ordine, così si esprimeva: «Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, capo della Chiesa nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re». Com'è facile notare, il testo, dopo un'affermazione generale su una specifica configurazione a Cristo di coloro che ricevono questo sacramento, per i tre gradi nei quali l'ordine sacro si suddivide indica una peculiarità unica, che permette di distinguere i ministri sacri dai semplici battezzati: l'abilitazione ad agire come Cristo, capo della Chiesa.
Dopo la modifica introdotta da Giovanni Paolo II e promulgata da Benedetto XVI il brano del CCC è stato così riformulato: «Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Da lui i vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo capo della Chiesa, i diaconi invece sono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità». L'intervento del papa sembra prefiggersi di offrire elementi nuovi per chiarire la natura del sacramento dell'ordine e per definire meglio l'identità del diaconato. Non è facile capire se questo fine sia stato effettivamente raggiunto.
Era opinione comune ritenere che il Concilio Vaticano II e il magistero post conciliare si fossero espressi in modo chiaro e definitivo: a) nel ribadire l'unità del sacramento dell'ordine, distinto nei tre gradi: episcopato, presbiterato e diaconato; b) nell'affermare che suo elemento specifico è la funzione di presiedere la comunità in nome di Cristo capo; c) nell'attestare la dimensione sacramentale del diaconato. In seguito alle modifiche apportate dal motu proprio Omnium in mentem si ha l'impressione che queste certezze siano state messe nuovamente in discussione.
Mi sia consentito esprimere qualche rilievo, al solo scopo di stimolare un'attenta riflessione su temi così complessi e delicati. Le ultime scelte del magistero pontificio sembrano ruotare attorno al significato con cui si adopera l'espressione «presiedere nel nome di Cristo capo». Tradizionalmente questa espressione ha indicato una funzione direzionale e in questa accezione era stata adoperata nel CCC e nel CDC: il sacramento dell'ordine a chi lo riceve, nei suoi tre gradi, conferiva un ufficio di presidenza nell'esercizio dei tria munera. Con un significato più ristretto «presiedere nel nome di Cristo capo» era riferito alla potestà di presiedere la celebrazione eucaristica, che compete solo ai due gradi dell'episcopato e del presbiterato. Dalle modifiche introdotte sembra che il magistero pontificio intenda preferire il secondo significato ed escludere i diaconi da questa rappresentanza. Non si riesce a capire, tuttavia, se sono state valutate attentamente le conseguenze di questa scelta:
a) Non è più possibile individuare in modo chiaro il proprium del sacramento dell'ordine. Ai suoi tre gradi nel testo modificato può essere attribuita solo questa descrizione alquanto generica: «Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa». In che cosa consiste questa grazia speciale? Essere strumenti di Cristo per la sua Chiesa non può essere considerato compito specifico di coloro che hanno ricevuto l'ordine sacro, perché appartiene alla comunità nel suo insieme e ai battezzati singolarmente.
b) L'aver riservato ai vescovi e ai presbiteri la funzione di presiedere la comunità in nome di Cristo capo introduce una pericolosa divisione all'interno del sacramento dell'ordine, rende difficile determinare l'identità del diacono e non permette di dare una valutazione coerente al suo ministero: il diacono quando celebra il sacramento del battesimo o coordina per incarico del vescovo le attività caritative in diocesi non presiede la comunità in nome di Cristo capo? La diversità del diaconato dall'episcopato e dal presbiterato, evidenziata dalle modifiche introdotte, potrebbe offrire nuovi spunti a chi nega la sua dimensione sacramentale e propone di considerare i diaconi semplici battezzati, ai quali sono affidati ministeri particolari.
Le recenti modifiche stabilite dal magistero pontificio, in alternativa alla presidenza in nome di Cristo capo, affermano per i diaconi un ruolo di servizio: «sono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità». È possibile all'interno dell'unico sacramento dell'ordine sacro fare riferimento a Cristo capo per i vescovi e i presbiteri e riservare solo ai diaconi un riferimento a Cristo servo?
Scrive a tal proposito la Commissione Teologica Internazionale nel documento sopra citato: «Le difficoltà sorgono non a causa dell'importanza fondamentale della categoria del servizio per ogni ministero ordinato, ma perché se ne fa il criterio specifico del ministero diaconale. Sarebbe possibile separare "essere capo" e "servizio" nella rappresentanza di Cristo per fare di ognuno dei due un principio di differenziazione specifica? Cristo, il Signore, è insieme il Servo supremo di tutti: i ministri del vescovo e del prete, proprio nella loro funzione di presidenza e di rappresentanza di Cristo capo, pastore e sposo della Chiesa, rendono visibile anche Cristo servo e richiedono di essere citati come servizi. Perciò appare problematica una dissociazione che stabilisca come criterio distintivo del diaconato la sua rappresentazione esclusiva di Cristo come servo» (II, 4/1110).
Si tenga presente peraltro che nel CCC, nonostante le ultime modifiche, si afferma ancora una rappresentanza di Cristo capo per il sacramento dell'ordine nel suo insieme: «Nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente nella sua Chiesa in quanto Capo del suo corpo, Pastore del suo gregge, Sommo sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di verità» (n. 1548).

La modifica al Codice
Le modifiche introdotte nel CDC hanno come scopo di tradurre in norme giuridiche la nuova formulazione della dottrina sul sacramento dell'ordine in generale e sul diaconato in particolare. In seguito al motu proprio di Benedetto XVI il can. 1008 è così modificato: «Con il sacramento dell'ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli, mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a servire, ciascuno nel suo grado, con nuovo e peculiare titolo, il popolo di Dio».
Al can. 1009 è stato aggiunto il § 3, che risulta così formulato: «Coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità».
Anche chi non ha una specifica competenza in diritto canonico può notare quanto sia difficile riassumere nel linguaggio necessariamente schematico e conciso di una norma giuridica problemi teologici così complessi, che hanno bisogno di linguaggi e metodologie diverse.
Durante i lavori di riforma del CDC questa difficoltà fu sperimentata dal coetus incaricato di redigere la Lex Ecclesiae Fundamentalis, che avrebbe dovuto tradurre in norme giuridiche le grandi acquisizioni teologiche del Concilio Vaticano II. Dopo la laboriosa redazione dei primi schemi, a fronte delle discussioni e delle polemiche suscitate fra teologi e canonisti, Giovanni Paolo II decise di accantonare il progetto (dicembre 1981). Alcuni articoli degli schemi elaborati furono premessi come introduzione teologica alle norme giuridiche su alcuni temi particolari. Chi volesse conoscere le innovazioni dottrinali introdotte dal Concilio Vaticano II in campo ecclesiologico, liturgico e sacramentale non si limiterà ad approfondire i canoni del CDC, ma preferirà rivolgersi ai documenti conciliari.
A tal proposito penso a coloro che, per conoscere che cosa è l'ordine sacro e qual è lo specifico del diaconato, si limitassero a leggere i canoni 1008 e 1009 del CDC. Dalla loro ultima formulazione difficilmente potranno rendersi conto della complessa problematica teologica ad essi sottesa, che la stessa Commissione Teologica Internazionale espone con fatica nella sua articolata riflessione del 2002.


(A. Longhitano è vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico della diocesi di Catania, dove è docente di diritto canonico nello Studio Teologico "San Paolo")



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