Motu Proprio-Introduzione



Il diaconato in Italia n° 161
(marzo/aprile 2010)

MOTU PROPRIO

Introduzione
di Enzo Petrolino


L'approfondimento dell'identità del ministero diaconale ha costituito, in questi anni post-conciliari, uno degli elementi più interessanti della riflessione teologica sul diaconato. Le riflessioni che seguono scaturiscono dall'attuale vissuto del diaconato e dal suo porsi per il futuro anche in relazione alla modifica recente di alcuni canoni del Codice di Diritto Canonico (CDC). In questi mesi sono giunte alla redazione della Rivista molte lettere ed articoli che chiedono chiarimenti ed esprimono interrogativi circa la modifica del can. 1009 § 3 del CDC posta in essere con il Motu proprio Omnium in Mentem. Secondo tale modifica, il testo del canone suindicato adesso stabilisce che «Coloro che sono costituiti nell'ordine dell'episcopato o del presbiterato ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, i diaconi invece vengono abilitati a servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità».
Pur nel rispetto pieno ed assoluto che ognuno di noi deve all'autorevolezza insita nel Motu proprio, diamo voce qui di seguito ad alcune riflessioni in merito. Mi permetto di fare due considerazioni. La prima sul versante prettamente linguistico, visto che la traduzione italiana non ufficiale ed attualmente in circolazione del testo, là dove recita «i diaconi … vengono abilitati a …» travisa in certa misura il testo latino «diaconi vero vim populo Dei serviendi in …», che facendo dipendere quell'accusativo "vim" (forza, facoltà) dallo stesso verbo "accipiunt" (ricevono, prendono) che ricorre nella prima parte della frase in riferimento ai vescovi e ai presbiteri imprime all'azione dei diaconi stessi un valore non passivo, ma attivo. La seconda considerazione è sugli aspetti essenziali della sacramentalità e dell'identità del diaconato così come emergono limpidamente dalla preghiera di ordinazione, che presenta gli elementi fondamentali relativi all'identità teologica del diacono e si collocano dentro un preciso contesto evocativo (anamnesi), consacratorio (epiclesi) ed invocativo (intercessioni). Ora, è fuor di dubbio che la preghiera di ordinazione richiama più volte e in forme diverse il "carattere indelebile" che il Rito imprime nel consacrato/diacono, tanto da costituire quasi - nel suo articolarsi - una sorta di graduale esplicazione della sacramentalità specifica del ministero diaconale. Il dono dello Spirito, quindi, imprime nel diacono un indelebile carattere sacramentale ed è per la sua vita ministeriale fonte di grazia. Il riferimento dell'epiclesi ai "sette doni dello Spirito" esprime proprio questa abbondanza di effetti spirituali. La configurazione a Cristo attraverso l'ordinazione sacramentale avviene, dunque, in modo tale che «ogni ministro è immagine di Cristo sotto un determinato aspetto». Ma sarà forse il "tempo" a rendere più chiaro a tutti il senso delle cose, con la saggezza consolante e feconda che lo Spirito sempre dona al misterioso camminare ed operare degli uomini alla luce della fede.




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