III Domenica di Avvento
Sof 3,14-17
Fil 4,4-7
Lc 3,10-18
IL BATTISTA PREPARA
LA VENUTA DEL MESSIA
Il principio che sancisce la vera religione è il riconoscimento assoluto dell’"altro". Quando questo accade il "diverso" da me cessa di esistere in funzione dei miei bisogni e delle mie necessità e diviene appello, domanda, provocazione. Mi sta di fronte con la sua libertà, con la sua progettualità e le sue istanze. Giovanni Battista è il profeta che vive, per eccellenza, il principio religioso. È l’uomo mosso dalla Parola che non schiaccia l’altro come i potenti di questo mondo, menzionati dall’incipit del vangelo proclamato domenica scorsa. Egli piuttosto diviene bocca di Dio e suo araldo. Non asserve ma si fa servo. Il suo proclama sostanzialmente era una lunga citazione di Isaia tramite la quale Israele era invitato a riconoscere la venuta dell’Altro, preparando la strada.
L’Avvento è tempo che ci educa a uscire dai nostri pensieri e dai nostri tempi per volgere lo sguardo a Colui che varca i cieli per congiungersi all’uomo. L’Avvento ci sospinge ad acquisire una mentalità davvero religiosa, dove l’Altro sia atteso, accolto, accettato nelle profondità dell’anima. Dio domanda di essere riconosciuto perché Egli, a sua volta, riconosce e promuove la propria creatura al massimo grado. Pensiamo a come terminava la citazione isaiana: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (3,6). YHWH è a tal punto piegato benevolmente verso la propria creatura da non dimenticarne nessuna. A tutti sarà concessa la salvezza rappresentata dalla venuta del Signore. Se Dio riconosce l’altro da sé al punto da limitare se stesso nella creazione e profondere se stesso nella redenzione, Giovanni Battista domanda a coloro che vengono a lui lo stesso processo di conversione.
I vv. 10-14 del nostro brano sono propri del solo Luca e manifestano l’indole squisitamente sociale del suo vangelo. Il quesito che pongono folle, pubblicani e soldati è tipico dell’opera lucana. La ritroviamo in At 2,37 in risposta al discorso di Pietro, il giorno di Pentecoste. Ma sono le medesime parole pronunciate da Paolo allorché incontra il Risorto sulla via di Damasco in At 22,10 secondo la sua stessa narrazione. È la domanda del singolo o di un gruppo o di una grande massa di gente che depone le proprie abitudini e convinzioni e si interroga su una nuova possibile fedeltà a Dio. È una domanda che manifesta una sorta di resa all’Altro, nell’istante del suo vero riconoscimento. Giovanni non sospinge i diversi gruppi che lo interpellano a improbabili itinerari pseudo-mistici lontani dalla propria concreta quotidianità. Proprio dalla vita di tutti i giorni dovrà nascere uno stile più evangelico. Nessuno resterà senza un messaggio appropriato perché tutti, in qualunque condizione o professione, possono essere fedeli a Dio. Tutte le risposte date dal Precursore rappresentano un esempio di verità nella carità a partire dalla scoperta autentica dell’Altro, YHWH, che vive nel fratello. L’amore o la semplice giustizia non vengono qui presentate come sforzo volontaristico ma come pura conseguenza dell’incontro con il Dio che vuole cambiare la nostra vita.
Il principio religioso che spinge a riconoscere il Signore è il medesimo che conduce a riconoscere il fratello. Sarebbe impensabile, come scrive Giovanni nella sua prima lettera, amare Dio che non vedi se non ami il fratello che vedi. Alle folle, dunque, il Precursore comanda di condividere l’essenziale: chi ha due tuniche e chi ha sovrabbondanza di cibo apra gli occhi davanti a coloro che sono privi del necessario (v. 11). La novità portata da Giovanni raggiunge, tramite i pubblicani, anche il drenaggio fiscale imposto dall’Impero romano. Gli esattori non dovranno prelevare più di quanto è stato loro ordinato (v. 13). Pure la sfera militare, particolarmente impermeabile per natura al rispetto dell’altro, è raggiunta da una parola calibrata e praticabile. I soldati vengono invitati a non esercitare la sopraffazione e a non estorcere nulla con la forza. Come si vede, ciascuno dei tre gruppi è chiamato a dare o a non prendere più di quanto spetti loro per giustizia. Tutti vengono riportati da Giovanni a quel prossimo che quotidianamente hanno davanti, a quel prossimo che possono derubare o angariare. La santità cristallina e coinvolgente del Battista non può non suscitare l’interrogativo fondamentale nelle folle. Forse proprio quel rude asceta che ha fatto breccia nel cuore di pubblicani e militari è il Messia atteso.
Qui più che mai il Precursore vive con una sconcertante lucidità e franchezza il proprio ruolo di segno indicatore, di mano protesa a Colui che solo è l’oggetto dell’attesa di Israele. Nel momento della massima popolarità, quando sarebbe stato facile anche solo indugiare nello sciogliere il dubbio che prendeva le folle, Giovanni annuncia la prossima venuta del Messia. Neppure una minima parte del consenso creato avrà in lui il termine ultimo. Non vi sarà personalismo o protagonismo alcuno. Se il Battista ha attratto le folle, le ha attratte al Veniente cui egli non potrebbe neppure sciogliere il legaccio del sandalo. Il Messia battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Lui possiede la forza stessa di Dio. La giustizia comandata alle folle, ai pubblicani, ai soldati trova qui una magnifica incarnazione. Sarebbe poca cosa riconoscere la dignità dell’altro attraverso l’equità e il rispetto se poi si misconoscesse la sua identità profonda. Giovanni non è il Messia. Ma conosce e riconosce Colui che è il legittimo sposo di Israele.
VITA PASTORALE N. 10/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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