Solennità di Tutti i Santi
Ap 7,2-4.9-14
1Gv 3,1-3
Mt 5,1-12a
A FAVORE DEL REGNO
Quanto Matteo presenta nell'odierno vangelo delle Beatitudini è quanto vediamo realizzato nella prima lettura dove Giovanni descrive l'eterna liturgia celeste vissuta dai santi. Anche la seconda lettura si muove nella stessa direzione, congiungendo ciò che siamo fin d'ora, ossia figli di Dio, con ciò che ancora non gustiamo: vedere Dio come egli è. L'eternità ha però salde radici nel nostro presente. Qui percepiamo e accogliamo la trasformazione che il Padre vuole operare in ciascuno di noi. Siamo già santi. Se così non fosse, non potremmo mai diventarlo. Basta aprire alcune lettere di Paolo per trovarvi un saluto rivolto ai "santi" che vivono in una determinata Chiesa locale. Quei santi siamo noi, chiamati, purificati, destinati a un avvenire di salvezza.
La prima, ineludibile e necessaria, parola che oggi ci aiuta a comprendere che cosa sia la santità è la parola "beati". È un termine ricco di storia, che affonda le sue radici nella tradizione sapienziale di Israele. Indica la felicità come compimento di una vita trascorsa saggiamente. Ma indica, in ogni epoca, il sogno comune dell'umanità, il sogno di una vita felice e beata.
I nostri santi dobbiamo vederli anzitutto sotto questa prospettiva: sono stati uomini autenticamente felici e realizzati. Troppe volte il miracoloso, lo straordinario, assieme a statue dorate così poco umane, non fa altro che aumentare la distanza tra noi e loro e creare superuomini, tanto perfetti da scivolare presto fuori dalla nostra memoria. Se il santo è un uomo beato, rimane a portata di mano. Resta in mezzo alle nostre strade. Ai santi, con grande bravura abbiamo dato una fama, una storia, una leggenda e un'aureola. L'episodio più comune della loro vita sempre si colora di straordinario. Ma, in questo modo, la devozione li ha collocati troppo lontano da noi. L'umanità del santo è invece come quella del Cristo: nei vangeli, Gesù si lascia toccare il lembo della veste da una donna malata, avvicinare dai fanciulli, lavare i piedi dalle lacrime di una prostituta e persino baciare da Giuda.
Oggi i santi ci vengono incontro tutti insieme, ma festeggiamo e ricordiamo anche l'innumerevole schiera di coloro che non hanno un nome consegnato alla storia e che nulla hanno compiuto di mirabile per occhi affamati di prodigi se non un cammino di sequela che li ha resi simili a Cristo per chi li ha conosciuti e avvicinati. Ciò che è straordinario è questo. Non sapremmo come definire questa immensa schiera anonima se le Beatitudini non ci avessero offerto un chiaro frontespizio con cui iniziare a leggere la loro esistenza. Ognuno di loro, ha vissuto una esistenza piena e felice. Questo ci consente, forse, di concludere che chi dice se stesso "felice" in Cristo è vicino alla santità. La gioia dei santi ha un criterio inconfondibile di verità: essa rimane salda dentro alle fatiche della vita. La loro beatitudine, come annuncia il testo di Matteo, non è successiva alla difficoltà. Non è paragonabile alla quiete dopo la tempesta. Nasce come un fiore fra le rocce, come un filo d'erba che ha l'ostinazione di rompere la pietra. La gioia cristiana nasce e cresce anche dentro all'afflizione, alla fame e sete di giustizia, alla persecuzione. Questo è possibile solo se riusciamo a cogliere la miscela di presente e futuro che ci offre la pagina delle Beatitudini.
La santità è innamorata dell'oggi, vive intensamente il presente: essa è una precisa scelta di campo a favore del regno di Dio. Si manifesta nella mitezza, nell'operare la pace, nella scelta della purezza del cuore e della povertà dello spirito. In questo mondo, una scelta del genere si traduce anche in afflizione, persecuzione, fame e sete della giustizia. Tuttavia i poveri in spirito possono dirsi oggi beati, anche se afflitti, perché sanno che l'istante non è tutto. Sono beati oggi perché vedono il domani che proviene dalle mani di Dio. Sono innamorati del presente perché esso è come seme gettato nel grembo della storia, che fiorirà alla luce dell'amore divino. Sono beati oggi perché uomini di speranza: vedono ora la storia che si compirà domani. Ma l'orizzonte che scrutano non li esilia dal presente, per quanto sia duro, come fosse una maledizione da cui fuggire.
La promessa di Dio fa loro gustare e amare ogni istante che vivono. Possiamo dire che la santità è il culto dell'istante che vivo, perché Dio lo corona di un significato eterno. Il tempo dei santi è dunque una realtà che si dilata. Questo è il segreto della loro virtù. L'oggi ha un "doppio fondo", una bellezza nascosta. E la bellezza di domani si riflette su ogni momento che passa: dal futuro al presente, da Dio all'uomo, dal regno dei Cieli alla storia. E ritorno. Pensiamo a quanto sia difficile per noi vivere un rapporto autentico con il presente, dando senso ai tanti attimi che ci piovono addosso, senza che facciamo altro dal subirli alla meno peggio. Tanti spremono l'oggi, cercandovi emozione o piacere. Ma non si ritrovano altro tra le mani se non la loro fugacità e transitorietà. Esorcizzano il dolore, succhiando il midollo della vita: ma, in questo modo, ne perdono il mistero. È Dio, non il piacere, che fa bello ogni passo del mio cammino. È la speranza che alimentò la vita dei santi a donarmi la giusta lente con cui guardare alla vita che conduco. Nella fede, sostenuta dalla speranza, posso accarezzare il mio presente, perché ne scorgo il recondito segreto.
VITA PASTORALE N. 9/2009 (commento di Claudio Arletti, parroco di Maranello)