Testimoni prima che Maestri

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da Come il Padre ha amato me...
365 pensieri per l'anno sacerdotale
2. autunno: l'agire


Settembre
19 Essere e agire
20 Distratti da troppe cose
21 Ciò che veramente conta
22 «Ascoltatelo!»
23 Felici nel praticarla
24 L'obbedienza radicale di Maria
25 Non ritornerà senza effetto
26 Tutto cambia
27 Pervasi dalla Parola
28 Persone e società realizzate
29 Vangelo, forza di unità
30 Senza la carità, non si predichi!

Ottobre
1 La mia vocazione è l'amore
2 Far "vedere" Gesù
3 Maestri perché testimoni
4 Sono miei signori
5 Ciascuno un modello
6 Parliamo perché abbiamo trovato
7 La bellezza del Vangelo rapisce
8 Antidoto al clericalismo
9 Essere "voce" della Parola
10 Santificarsi per santificare
11 Linguaggio per tutti
12 Parole che "trafiggano"
13 Parole che "risveglino"
14 L'applauso più vero
15 Il "primo" servizio
16 Risposta alla fame nascosta
17 Nel cuore stesso della Realtà
18 Ragione di fecondità



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19 settembre - Essere e agire

Non è tanto importante che cosa fai, ma è importante che cosa sei nel nostro impegno sacerdotale. Senza dubbio dobbiamo fare tante cose e non cedere alla pigrizia, ma tutto il nostro impegno porta frutto soltanto se è espressione di quanto siamo, se appare nei nostri fatti il nostro essere profondamente uniti con Cristo: essere strumenti di Cristo, bocca per la quale parla Cristo, mano attraverso la quale agisce Cristo.
L'essere convince e il fare convince solo in quanto è realmente frutto e espressione dell'essere.

Benedetto XVI
Ai sacerdoti della diocesi di Aosta, 25 luglio 2005

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20 settembre - Distratti da troppe cose

Spesso le cure pastorali tengono l'anima impegnata in tante cose e si diventa incapaci di attendere a tutto con mente assorbita da troppe ansie.
Il Saggio (dell'Ecclesiastico, ndr) ce lo vieta con sapienti parole: «Figlio mio, non impegnarti in troppe cose». Quando infatti la mente è distratta da tante preoccupazioni, non può applicarsi pienamente ai singoli campi della sua attività. Se l'assillo nell'agire è troppo grande, l'anima non ha più la forza che le proviene dal raccoglimento interiore: attenta solo a ben disporre la realtà in cui è impegnata, ma dimentica di se stessa, sa ben disporre di tante cose ma non provvede a sé.

San Gregorio Magno
Regola pastorale I, 4

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21 settembre - Ciò che veramente conta

Se abbiamo scelto Dio come Ideale - e questa è la nostra identità -, se l'abbiamo messo al primo posto, ciò richiede praticamente che mettiamo al primo posto nel nostro cuore la sua Parola, la sua volontà.
Essa deve venire a galla su tutto il resto. Di fronte ad essa, ogni altra cosa deve diventare in certo modo indifferente, di quella santa indifferenza di cui parlano alcuni santi. Non deve avere tanto importanza nella nostra vita, ad esempio, essere sani o ammalati, studiare o servire, dormire o pregare, vivere o morire. Importante è vivere la Parola, essere Parola viva.

Chiara Lubich
Essere tua Parola, Città Nuova, Roma 2008, p. 50

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22 settembre - «Ascoltatelo!»

Mentre i Vangeli ci offrono innumerevoli parole di Cristo, ne riferiscono solo tre del Padre. Quanto preziose dovrebbero essere per noi! Una di esse è un consiglio, l'unico consiglio del Padre ai suoi figli. Con quale infinito, filiale rispetto dobbiamo riceverlo, e con quanta premura seguirlo! Questo consiglio, che detiene il segreto di ogni santità, è semplice e si esprime in una parola sola: «Ascoltatelo» (Mt 17,5), dice il Padre, designando il suo Figlio prediletto.
Fare orazione è quindi il grande atto di obbedienza al Padre; come fece Maria, esso consiste nel sederci ai piedi di Cristo per ascoltare la sua Parola; anzi, per ascoltare lui che ci parla. In effetti, più che alle sue parole, dobbiamo essere attenti a lui. Di conseguenza, intraprendere l'orazione a partire da una pagina del Vangelo è molto raccomandabile, a condizione che la si legga non come un professore di letteratura, ma come un'innamorata che, al di là delle parole delle lettere che riceve ascolta i battiti di cuore dell' amato.

Henri Caffarel
Prier 15 jours avec Henri Caffarel, Nouvelle Cité, Parigi 2002, pp. 87-88

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23 settembre - Felici nel praticarla

Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va e subito dimentica com'era.
Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.

Lettera di Giacomo
1,22-25

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24 settembre - L'obbedienza radicale di Maria

All'inizio del Nuovo Testamento troviamo la figura di Maria. Il suo «fiat mihi secundum verbum tuum» non è più un fidanzamento, ma lo sposalizio di Dio con lei che personifica l'umanità obbediente alla Parola, alla volontà di Dio.
In questa obbedienza radicale di Maria la Parola non resta solo Parola ascoltata, ma diventa Verbo incarnato e generato tra noi che diventiamo così suoi fratelli.
Tutta la tradizione spirituale della Chiesa vedrà in questo avvenimento unico, del Verbo che diventa carne in Maria, il modello di ciò che succede nei singoli quando per amare Dio fanno la sua volontà: generano Cristo in se stessi.

Silvano Cola
Scritti e testimonianze, Gen's, Grottaferrata 2007, p. 86

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25 settembre - Non ritornerà senza effetto

Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
così sarà della Parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata.

Isaia
55,9-11

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26 settembre - Tutto cambia

Le parole di Gesù nel Vangelo sono uniche, affascinanti, scultoree, si possono tradurre in vita, sono luce per ogni uomo che viene in questo mondo e quindi universali.
Vivendole, tutto cambia: il rapporto con Dio, con i prossimi, con i nemici.
Quelle parole danno il giusto posto a tutti i valori e fanno spostare ogni cosa, anche il padre, la madre, i fratelli, il proprio lavoro... per metter Dio al primo posto nel cuore dell'uomo.
E perciò hanno promesse straordinarie: cento volte tanto in questa vita e la vita eterna.

Chiara Lubich
Essere tua Parola, Città Nuova, Roma 2008, p. 18

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27 settembre - Pervasi dalla Parola

I discepoli vengono tirati nell'intimo di Dio mediante l'essere immersi nella Parola di Dio. La Parola di Dio è, per così dire, il lavacro che li purifica, il potere creatore che li trasforma nell'essere di Dio.
E allora come stanno le cose nella nostra vita? Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto non lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa realmente dà un'impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero?
O non è piuttosto che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò che si dice e che si fa? Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti i criteri secondo cui ci misuriamo? Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nella superficialità di tutto ciò che, di solito, s'impone all'uomo di oggi? Ci lasciamo veramente purificare nel nostro intimo dalla Parola di Dio?

Benedetto XVI
Missa Chrismatis, 9 aprile 2009

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28 settembre - Persone e società realizzate

Le prime comunità cristiane hanno percepito perfettamente il messaggio di Gesù, e l'hanno vissuto socialmente, così da diventare un cuore solo e un'anima sola. Il mistero insomma di Dio-Trinità lo hanno tradotto in vita non limitatamente alla vita dello spirito, bensì anche nei rapporti sociali: la comunione dei beni, ad esempio, è la verifica effettiva di quanto essi credono e proclamano. Per essi aderire alla fede e non agire secondo il modello proposto dalla fede è menzogna che porta alla morte: non solo spirituale, bensì pure psicologica e ecclesiale. (...)
Lavorare, soffrire e persino morire per questo obiettivo non soltanto coincide col farsi partecipi del piano di Dio sulla singola persona e sull'umanità intera col raggiungimento della salvezza nell'aldilà, ma significa trovare anche umanamente l'espressione massima delle proprie potenzialità (...) che fa sperimentare in qualche modo di vivere la stessa avventura di Gesù, l'uomo-Dio.

Silvano Cola
Scritti e testimonianze, Gen's, Grottaferrata 2007, p. 104

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29 settembre - Vangelo, forza di unità

Il simbolo pentecostale delle varie lingue, nelle quali è compreso il Vangelo annunciato dagli apostoli, ha anche il significato di indicare che il Vangelo è un messaggio universale, cattolico, e può essere vissuto ed espresso in tutti i popoli e culture.
Per il fatto di essere universale, il Vangelo è anche una forza di unità per tutti i popoli. Questa forza viene dallo Spirito Santo, che produce l'unità, vincendo la divisione di Babele.
Per questa ragione, il Concilio Vaticano II ha potuto affermare che «la Chiesa è in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia, il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1). Non possiamo mai dimenticare questa vocazione e missione della Chiesa.

Card. Claudio Hummes
Sempre discepoli di Cristo, San Paolo, Milano 2002, pp. 142-143

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30 settembre - Senza la carità, non si predichi!

Il Signore manda a due a due i discepoli ad annunciare il Vangelo, per significare i due precetti della carità, cioè verso Dio e verso il prossimo, per il fatto che la carità non può esercitarsi fra meno di due persone. Nessuno infatti, propriamente parlando, esercita la carità verso se stesso, ma l'amore deve tendere ad un altro per poter diventare carità.
Questo gesto del Signore che invia i discepoli a due a due a predicare, significa pure, anche senza il commento della parola, che non deve in alcun modo esercitare il ministero della predicazione, chi non ha carità verso il prossimo.

San Gregorio Magno
Omelie sui Vangeli 17, 1

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1 ottobre - La mia vocazione è l'amore

Sento la vocazione del sacerdote. Con quale amore, o Gesù, ti porterei nelle mie mani... E con quale amore ti darei alle anime…
Mentre desidero essere un sacerdote, ammiro e invidio l'umiltà di san Francesco d'Assisi e sento la vocazione ad imitarlo, rifiutando la dignità sublime del sacerdozio. (...)
La carità mi diede la chiave della mia vocazione. Compresi che se la Chiesa aveva un corpo composto da membra diverse, il più necessario e nobile non le mancava, ed allora capii che la Chiesa aveva un cuore e che questo cuore brucia d'amore. Capii che solo l'amore faceva agire le membra della Chiesa e che se l'amore si spegneva, gli apostoli non avrebbero più predicato il Vangelo, i martiri non avrebbero versato il loro sangue.
Capii che l'amore comprendeva tutte le vocazioni, che l'amore era tutto... Nell'eccesso della mia gioia delirante, esclamai: O Gesù, amore mio... Ho trovato finalmente la mia vocazione... La mia vocazione è l'amore!... Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore.

Santa Teresa di Lisieux
Harvey Egan, I mistici e la mistica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, pp. 571.573

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2 ottobre - Far "vedere" Gesù

«Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). Questa richiesta, fatta all'apostolo Filippo da alcuni Greci che si erano recati a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale è riecheggiata spiritualmente anche alle nostre orecchie in questo Anno giubilare.
Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di "parlare" di Cristo, ma in certo senso di farlo loro "vedere". E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?

Giovanni Paolo II
Novo millennio ineunte 16

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3 ottobre - Maestri perché testimoni

Per la Chiesa, la testimonianza di una vita autenticamente cristiana, abbandonata in Dio in una comunione che nulla deve interrompere, ma ugualmente donata al prossimo con uno zelo senza limiti, è il primo mezzo di evangelizzazione. L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri (...) o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni.
San Pietro esprimeva bene ciò quando descriveva lo spettacolo di una vita casta e rispettosa che «conquista senza bisogno di parole quelli che si rifiutano di credere alla Parola».
È dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità.

Paolo VI
Evangelii nuntiand 41

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4 ottobre - Sono miei signori

Il Signore dette a me, frate Francesco, (…) e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro.
E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano non voglio predicare contro la loro volontà.
E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro io vedo corporalmente, in questo mondo se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri.

San Francesco d'Assisi
Testamento, in Fonti francescane, Ed. Francescane, Padova 2004, pp. 99-100

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5 ottobre - Ciascuno un modello

Sia il contadino che ara la terra innalzando di continuo il suo cuore a Dio, sia il falegname, il fabbro, l'impiegato, l'intellettuale - ogni cristiano, insomma -, tutti devono essere un modello per i loro colleghi, senza orgoglio, perché è ben chiara nelle nostre anime la convinzione che soltanto facendo affidamento su di Lui saremo vittoriosi: noi, "da soli", non possiamo neppure sollevare da terra un filo di paglia (Gv 15, 51).
Pertanto, ciascuno nel suo lavoro, nel posto che occupa nella società, deve sentirsi obbligato a fare un lavoro di Dio, che semini dappertutto la pace e la gioia del Signore.
«Il cristiano perfetto porta sempre con sé la serenità e la gioia. Serenità, perché si sente alla presenza di Dio; gioia, perché si sente circondato dai Suoi doni. In tal caso il cristiano è davvero un personaggio regale, un santo sacerdote di Dio» (Clemente Alessandrino).

San Josemaría Escrivá De Balaguer
Tra le braccia del Padre, Marietti, Genova 2000, p. 59

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6 ottobre - Parliamo perché abbiamo trovato

Noi sappiamo tutti come è difficile per un giovane di oggi vivere da cristiano. Il contesto culturale, il contesto mediatico, offre tutt'altro che la strada verso Cristo. Sembra proprio rendere impossibile vedere Cristo come centro della vita e vivere come Gesù ce la mostra. Tuttavia mi sembra che molti sentono sempre di più l'insufficienza di queste offerte, di questo stile di vita che alla fine lascia vuoti (...).
I giovani devono sentire che non diciamo parole non vissute da noi stessi, ma parliamo perché abbiamo trovato e cerchiamo di trovare ogni giorno di nuovo la verità come verità per la mia vita. Solo se siamo in questo cammino, se cerchiamo di assimilare noi stessi a questa vita e di assimilare la nostra vita a quella del Signore, allora anche le parole possono essere credibili e avere una logica visibile e convincente.

Benedetto XVI
Al Clero di Roma, 7 febbraio 2008

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7 ottobre - La bellezza del Vangelo rapisce

Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche.
Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo; bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio.

Card. Carlo Maria Martini
Lettera Pastorale 1999-2000, Milano 1999, pp. 12-13

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8 ottobre - Antidoto al clericalismo

Il clericalismo è quella deformazione - chiaramente combattuta da Gesù - a cui sono esposti tutti i "professionisti" della religione, e si manifesta nel sentirsi superiori o nel predicare per gli altri senza vivere a fondo essi stessi o nella ricerca di privilegi e riconoscimenti, ecc. Sono tutte espressioni della debolezza umana, che si trovano in ogni ambito sociale e quindi è purtroppo inevitabile che si diano anche in quello religioso.
Noi non dobbiamo preoccuparci di essere né anti clericali né antilaicisti, ma sforzarci di rivivere in noi la vita di Gesù, per tendere sempre più a quello che dice san Paolo: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Qui si trova il migliore antidoto contro il clericalismo.

Pasquale Foresi
Colloqui. Risposte sulla spiritualità dell'unità, Città Nuova, Roma 2009, p. 73

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9 0ttobre - Essere "voce" della Parola

La predicazione cristiana non proclama "parole", ma la Parola, e l'annuncio coincide con la persona stessa di Cristo (...).
Quindi, un autentico servizio alla Parola richiede da parte del sacerdote che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire con l'Apostolo: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Il presbitero non può considerarsi "padrone" della Parola, ma servo. Egli non è la Parola, ma, come proclamava Giovanni il Battista (...) è "voce" della Parola.
Ora, essere "voce" (...) presuppone un sostanziale "perdersi" in Cristo, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione con tutto il proprio io: intelligenza, libertà, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente. (cf Rm 12,1-2). Solo la partecipazione al Sacrificio di Cristo, alla sua kènosi, rende autentico l'annuncio!

Benedetto XVI
Catechesi all'udienza generale, 24 giugno 2009

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10 ottobre - Santificarsi per santificare

Giovanni Maria Vianney si santificava per essere più atto a santificare gli altri. Certo, la conversione resta il segreto dei cuori, liberi della loro decisione, e il segreto della grazia di Dio. Col suo ministero il sacerdote non può che illuminare le persone, guidarle al confessionale e donar loro i sacramenti. Questi sacramenti sono sì atti di Cristo, la cui efficacia non è diminuita dall'imperfezione o dall'indegnità del ministro, ma il risultato dipende anche dalle disposizioni di colui che li riceve, e queste sono grandemente favorite dalla santità personale del sacerdote, dalla sua comprovata testimonianza, come anche dal misterioso scambio di meriti nella comunione dei santi.
San Paolo diceva: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Giovanni Maria Vianney voleva in qualche modo strappare a Dio le grazie di conversione, non soltanto con la sua preghiera, ma col sacrificio di tutta la sua vita.

Giovanni Paolo II
Lettera ai sacerdoti sul Santo Curato d'Ars, 16 marzo 1986

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11 ottobre - Linguaggio per tutti

Qualcuno dirà: io non ho memoria e mi manca l'eloquenza per proclamare la Parola di Dio. Temo che questa scusa non possa servire di difesa nel tremendo giudizio a noi che ben sappiamo come nostro Signore ha scelto ad annunciare la sua Parola non professori e retori, ma pescatori senza istruzione e custodi di greggi, del tutto poveri e spregevoli.
Parimenti, se si trova in qualche sacerdote un'eloquenza profana bella e del tutto ridondante (...) è certamente fuori luogo, se vorrà parlare in chiesa cosicché la sua esortazione non possa essere compresa da tutto il gregge del Signore, come conviene, ma il suo discorso raggiunga a malapena un esiguo numero di persone colte.
Per questo i vescovi devono predicare ai fedeli con un linguaggio semplice e comune che tutti possano intendere, facendo quanto l'apostolo dice: «lo mi sono fatto tutto a tutti, per guadagnare tutti», e secondo il santo e salutare consiglio del beato Gerolamo che dice: «Conviene che il sacerdote che predica, provochi più alla contrizione che al plauso».

Cesario di Arles
Sermones 1,15

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12 ottobre - Parole che "trafiggano"

Dobbiamo anche tener conto della durata del nostro discorso; perché, se uno è incapace di sopportare lunghi discorsi, tirando troppo in lungo l'esortazione o il rimprovero, finiamo per annoiare il nostro ascoltatore. Per cui il medesimo illustre predicatore si rivolge agli Ebrei dicendo: «Vi raccomando, fratelli, accogliete di buon grado questa parola di esortazione: proprio per questo molto brevemente vi ho scritto».
Questo conviene principalmente ai deboli: che ascoltino poche parole, quelle che sono in grado di capire, ma che trafiggano il loro animo con il dolore del pentimento. Poiché, se ad essi in un unico tempo vien rivolto un discorso complesso di esortazione, siccome non sono in grado di ritenere tutto, perdono tutto insieme.

San Gregorio Magno
Omelie su Ezechiele I 11,16-17

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13 ottobre - Parole che "risveglino"

Ordinariamente vediamo che quanto più il predicatore è di santa vita, tanto più copioso è il frutto che riporta, ancorché adoperi umile stile e poca retorica ed esponga una dottrina comune. Ciò avviene perché il calore emana dallo spirito vivo: chi non ha questo, ricaverà poco profitto, quantunque sia fornito di dottrina e stile elevato. Certo non si può negare che la dottrina sublime e il forbito linguaggio e il bel modo di porgere hanno il loro valore e fanno più effetto, purché vadano accompagnati da buono spirito; però, senza di questo, daranno gusto al senso e all'intelletto, ma poco o niente fervore comunicheranno alla volontà, la quale per solito rimarrà come prima debole e fiacca nell'operare, benché con grazia ammirabile siano state dette le cose più meravigliose possibili. In tale caso, queste serviranno solamente a dilettare l'udito, come farebbe il suono armonioso di strumenti musicali o di campane, ma non risveglieranno l'anima dal suo torpore, perché la sola voce non ha virtù bastante per risuscitare il morto dal suo sepolcro.

San Giovanni della Croce
Salita del Monte Carmelo, Libro 3, 45, 4

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14 ottobre - L'applauso più vero

Voi lodate ora queste mie parole? Ma a me non occorrono applausi né tumultuose acclamazioni. Una sola cosa voglio: che voi, dopo aver ascoltato pacatamente e con attenzione, mettiate in pratica tutto quanto vi dico. Questo è per me l'applauso, questo è l'elogio che desidero.
Ma se voi vi limitate a lodare le parole che vi sono dette senza metterle in pratica, attirerete su di voi una condanna ben più severa e un supplizio tanto più grave, mentre noi saremo derisi e ricoperti di vergogna.
Questo non è un teatro né voi siete qui seduti a guardare commedianti e, per questo, ad applaudire soltanto. Qui c'è un magistero spirituale, una scuola di santità: perciò c'è un solo studio, una sola aspirazione: mettere in pratica quanto si ascolta e testimoniare con le opere la vostra obbedienza. Solo allora io mi considererò ben ricompensato; mentre ora mi trovo quasi ridotto alla disperazione.

San Giovanni Crisostomo
Commento al Vangelo di Matteo, Omelia 17,7

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15 0ttobre - Il "primo" servizio

Con certezza il primo e più importante servizio che la Chiesa può e deve svolgere per l'uomo concreto e storico di oggi è l'evangelizzazione. Questo vale sempre, anche per l'uomo consumistico, edonistico, materialistico, trasgressivo e religiosamente indifferente. L'annuncio diretto e kerygmatico del Vangelo ha e avrà sempre una forza propria in qualunque situazione umana, con la condizione che sia inculturato il massimo possibile e concretamente situato. (...)
«Noi non possiamo tacere» (At 4,20), hanno detto gli apostoli Pietro e Giovanni davanti. al Sinedrio. Anche noi pastori di oggi, non possiamo tacere. Dobbiamo dare continuità, coraggiosamente e con molto vigore, all'evangelizzazione missionaria, senza aver paura delle resistenze, da qualunque parte esse vengano. Solo così saremo fedeli a Gesù Cristo e potremo offrire un servizio insostituibile all'uomo d'oggi, post-moderno, urbano e globalizzato, il quale, come in tutte le altre epoche della storia, cerca un senso concreto per la sua esistenza.

Card. Claudio Hummes
Sempre discepoli di Cristo, San Paolo, Milano 2002, pp. 73.159

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16 ottobre - Risposta alla fame nascosta

C'è, anche nella moderna società secolarizzata, nelle sue piazze e nelle sue vie - ove sembrano dominare incredulità e indifferenza, ove il male sembra prevalere sul bene, creando l'impressione della vittoria di Babilonia su Gerusalemme - un anelito nascosto, una speranza germinale, un fremito d'attesa. Come si legge nel libro del profeta Amos: «Ecco verranno giorni in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare la parola del Signore» (8, 11). A questa fame vuole rispondere la missione evangelizzatrice della Chiesa. Anche il Cristo risorto agli apostoli esitanti lancia l'appello a uscire dai confini del loro orizzonte protetto: «Andate e fate discepoli tutti i popoli... insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20). La Bibbia è tutta attraversata da appelli a "non tacere", a "gridare con forza", ad "annunciare la Parola al momento opportuno e non opportuno", ad essere sentinelle che lacerano il silenzio dell'indifferenza.

Sinodo dei Vescovi 2008
Messaggio 10

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17 ottobre - Nel cuore stesso della Realtà

Le regioni, le nazioni, le categorie sociali hanno avuto ciascuna i loro apostoli. lo, o Signore, per la mia umilissima parte, vorrei essere l'apostolo, e (per così dire) l'evangelista del tuo Cristo nell'Universo. Vorrei, con le meditazioni, la parola, con la pratica dell'intera mia vita, rivelare e predicare le relazioni di continuità che fanno, del Cosmo in cui ci moviamo, un ambiente divinizzato dall'Incarnazione, divinizzante dalla comunione, divinizzabile dalla nostra cooperazione. Portare il Cristo, in virtù di legami propriamente organici, nel cuore stesso delle Realtà ritenute più pericolose, più naturalistiche, più pagane, ecco il mio Vangelo e la mia missione.

Teilhard de Chardin
Il Sacerdote, Queriniana, Brescia 1991, pp. 36-37

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18 ottobre - Ragione di fecondità

Nessuno mai dei nostri veri missionari si è avventurato nelle missioni senza avere approfondito nelle sue meditazioni il mistero della divina Redenzione, la quale, come non si è operata senza la croce di Gesù, così senza le croci e le sofferenze dei suoi apostoli non continua ad operarsi nelle anime.
Dobbiamo assolutamente avere su questo punto gli stessi sentimenti di nostro Signore, se vogliamo essere suoi missionari genuini e veraci. «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù... il quale per glorificare il Padre e salvare le anime umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 5.8).(...)
I figli non si partoriscono senza dolore. È morendo sulla croce che Gesù ci ha partorito alla vita eterna; fu ai piedi della croce che Maria divenne nostra madre. Nell'ordine soprannaturale, il dolore e spesso anche la morte sono ragione di fecondità.

Beato Paolo Manna
Virtù apostoliche, Bologna 1997, pp. 223-224


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