VI Domenica del Tempo ordinario
Lv 13,1-2.45-46
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45
IL TOCCO DI CRISTO
GUARISCE IL LEBBROSO
C'è un'unica realtà che permane nella storia e nell'eterno e che nessuna traversia o peccato può scalfire: questa realtà è la comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. L'incarnazione del Verbo ha acceso sulla terra la fiamma di questa comunione. Come già domenica scorsa e la precedente, i segni che il Cristo compie nel primo capitolo di Marco possono essere letti sotto questa illuminante ottica: il ristabilimento della comunione. Sono di tre categorie diverse ma complementari gli "esclusi" che Gesù riammette alla comunione.
Anzitutto è riconquistato l'indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, separato da Dio e dai fratelli ad opera di colui che, per eccellenza, è il "divisore", - significato etimologico di diavolo\diàbolos. Anche la suocera di Pietro è una esclusa, non solo a causa della febbre, ma anche per ragioni di sesso. È una donna, e come tale ha meno valore di un uomo nella stessa condizione di malattia. È esclusa, diremmo, dal circolo di coloro che "contano" in società. Da ultimo, siamo posti di fronte a un lebbroso, escluso da una malattia che equivaleva a una scomunica sociale e religiosa come ben testimonia il brano del Levitico. Il lebbroso non solo non era sano, ma per i suoi contemporanei non era neppure innocente davanti a Dio.
L'aspetto religioso prevalente nel caso dell'indemoniato e quello sociale, evidente nel caso della suocera di Pietro, si fondono qui nelle piaghe di un volto sfigurato e ormai irriconoscibile. Chi è, infatti, un lebbroso? I connotati che svaniscono divorati dalla malattia alludono potentemente alla perdita di sé, come persona, come membro di una comunità sociale, come creatura di Dio.
Già il v. 40 comunica la misura di un dramma e di una fede: Gesù può guarire, se vuole, quell'uomo. Quasi a dire che alcune forme di separazione e scomunica nascono e si esauriscono nella volontà di allontanare. Se vuole, il Figlio di Dio può raggiungere anche questa remota lontananza che si è inginocchiata a pochi metri da lui. Tuttavia nella frase sta anche l'essenza dei miracoli neotestamentari: solo la fede permette alla potenza di Dio di manifestarsi appieno: il lebbroso crede che sia in potere di Gesù sanarlo. Non dubita, non azzarda un'ipotesi né formula una richiesta senza convinzione. Egli sa, poiché crede.
L'interno e viscerale movimento descritto nel v. 41 - Gesù sente compassione - è l'origine di un gesto che produce per l'altro quanto toglie a chi lo compie: il lebbroso è purificato, mondato dal tocco di Gesù. Ma, in forza della Legge, Gesù si è contaminato, toccando un lebbroso. Purità e contaminazione non appaiono dunque valori assoluti nel nostro testo. Anzi, finiscono per capovolgersi. Questo versetto mostra come esista una purità che uccide e un contagio che risana. La Pasqua di Gesù è, di questa verità, somma testimonianza: non è possibile assumere il peccato dell'uomo in guanti bianchi, senza essene contaminati. Il lebbroso riacquista la sua bellezza mentre il Nazareno inizia a perdere la propria fino a divenire, sulla croce, «come uno davanti al quale ci si copre la faccia» Is 53,3).
Il tocco di Cristo immediatamente guarisce l'uomo (v. 42), ma ciò non toglie che il Guaritore abbia una reazione per lo meno stupefacente. È difficile rendere la forza del participio greco che apre il v. 43. La nuova traduzione Cei ha conservato il senso della precedente: «ammonendolo severamente». Ma si può dire che il verbo abbia a che fare con il fastidio interiore di chi ne è soggetto più che indicare un modo di parlare all'altro o esortarlo con forza. Il senso originale allude allo sbuffare di un cavallo, dunque alla rabbia e all'impazienza. È come se la guarigione provocasse in Gesù un turbamento descritto anche altrove, nei vangeli. Si pensi all'intimo sconvolgimento provocato nel Cristo dalla risuscitazione di Lazzaro (Gv 11).
Non si tratta solo della perdita di un amico: Gesù è di fronte alla propria morte, come sottolinea tutto il racconto giovanneo. Vede nell'amico ciò che lo attende presto. Il confronto con il dolore dell'uomo e la sua malattia esistenziale è un confronto oneroso per il Figlio di Dio. Gesù quasi "sbuffa" e poi scaccia via il lebbroso, secondo la resa fedele della nuova traduzione. Lo allontana subito e in malo modo percependo tutto il peso e il dramma della redenzione.
Servirà un lungo cammino all'uomo per comprendere il senso della salvezza. Questo è il significato del silenzio imposto al lebbroso. Egli deve essere riammesso al mondo dei vivi senza troppo clamore. È quasi un fatto privato, anticipo di una salvezza offerta all'umanità intera. L'annuncio fatto dal lebbroso e descritto con lo stesso verbo greco usato per la predicazione del Vangelo costringe Gesù al nascondimento nel deserto. Non produce nulla di buono. Crea semplicemente quel sensazionalismo che spingerà le folle a seguire ovunque il rabbi di Nazareth, ma a gridare poi di crocifiggerlo nel momento della sua umiliazione. Il contatto con Cristo può sanarci e rivelarci la sua vera identità, se siamo in grado di lasciar decantare quanto Dio ha operato e opera in noi. Tuttavia, anche oggi tutto può facilmente essere ridotto a un serio miglioramento della nostra salute e della nostra vita, perdendo però di vista la Pasqua di Gesù, ultimo e definitivo scambio tra la sua bellezza e la nostra deformità, affinché giungiamo alla pienezza dello splendore battesimale.
VITA PASTORALE N. 1/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)