Immacolata concezione della B.V. Maria

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2016)



ANNO A - 8 dicembre 2016
Immacolata concezione della B.V. Maria

Gen 3,9-15.20
Ef 1,3-6.11-12
Lc 1,26-38
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LA VERGINE MARIA
ICONA DELLA CHIESA

La solennità odierna ci riconduce a Maria, icona dell'Avvento. Come si sa ciò che celebriamo è l'assenza in lei degli effetti negativi della colpa originale. Per questa ragione la prima lettura è tratta dal libro della Genesi. In essa i protoparenti che, scoperta la loro nudità, si nascondono a Dio, si rinviano l'un l'altro la responsabilità in una sequenza che per ultimo chiama in causa lo stesso tentatore. Ed è nella condanna di quest'ultimo, nella sua maledizione, che si apre uno spiraglio per l'umanità ormai fuori dalla beatitudine edenica: "Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». In questo versetto, chiamato anche "protovangelo" la tradizione cristiana ha da sempre intravisto colei dalla cui stirpe sarebbe stato sconfitto il serpente.
La narrazione genesiaca è riconducibile al mito, inteso non come favola ma come esperienza ancestrale e profonda, come vissuto originario che segna l'umanità irrevocabilmente. E, difatti, il mito della caduta è presente anche in altre tradizioni religiose, non meno di quello della condizione edenica originaria. Più complesso è identificare il peccato originale e soprattutto dar conto della sua universalità. Appunto a questo sfugge la genitrice del Signore a ragione della grazia che la riempie sin dall'inizio. La tradizione latina con laboriosa fatica ha risospinto questo inizio sino al concepimento. Né le ragioni della proclamazione di questo "nuovo" dogma (1854) sono limpide, mischiate come sono al travaglio della Chiesa nel secolo XIX. Nella sostanza però le Chiese convergono. Si pensi all'epiteto di panaghia, la "tutta santa", con cui l'Oriente la onora.

Nella madre del Signore raggiunge compiutezza - ella è icona incoativa della Chiesa proprio perché la mostra nella sua santità costitutiva e originaria - il mistero della santità a cui Dio ci chiama. Lo attesta la seconda lettura, l'eulogia della lettera agli Efesini. Il mistero della predestinazione altro non è che questa chiamata per grazia che Dio ci ha rivolto nel Figlio. In lui ci ha scelti prima della creazione per essere santi e immacolati al suo cospetto. Il piano della grazia si sviluppa nelle bellissime espressioni di questo testo, che certamente sono dicibili di santa Maria, ma dicono anche la sorte, la condizione cui in Cristo siamo tutti chiamati. Noi gratificati nel figlio amato. Noi in lui eredi, predestinati a essere lode della sua gloria. E lo splendido manifesto della communio sanctorum, il canto esaltante ed esaltato della condizione cristiana, della grazia che ci vivifica nel disegno d'amore di Dio. La lettera agli Efesini, lo ricordiamo, appartiene alle lettere della prigionia. Se ne accetti o meno l'autenticità paolina, si tratta di una lettera di grande spessore, che nel suo awio disegna il piano divino di salvezza.

La pericope evangelica è anch'essa nel segno della grazia. La tematizza - in rapporto alla solennità odierna - quel kaire chekaritomeneí, "rallegrati, piena di grazia" con cui la saluta l'angelo annunziante. Sì, la liturgia oggi proclama i vv. 26-38 del vangelo di Luca, quelli dell'annuncio a Maria. Il genere letterario dell'annunciazione è ben noto all'Antico Testamento. Nel racconto di Luca vengono contestualizzate la regione e la città dove ha luogo l'annuncio. Ci viene dato il nome dell'annunciatore e dell'annunciata, una fanciulla promessa sposa di un uomo della casa di Davide. In altra chiave bisognerebbe mettere a fuoco questi dati e il contenuto dell'annuncio. Ci basta oggi tesaurizzare il saluto dell'angelo e la risposta di Maria. Chaire, salve, shalom sono un saluto abituale nel mondo qui testimoniatoci dalla Scrittura. Costituiscono un augurio di bene e di pace, di ottimizzazione della vita. La nostra traduzione suona: "rallegrati" ed esprime la forza ottimizzante del saluto. Ciò che è fuori dall'aspettativa è l'epiteto che segue: "piena di grazia".
La traduzione italiana lascia intatta la locuzione latina gratia plena, già presente nella Vulgata. In realtà il termine con cui l'angelo identifica Maria - il suo nome di grazia, il suo carisma, il suo dono - la addita come colei che ha trovato grazia presso Dio. Maria è la graziosa, la gratificata, colei su cui si è riversato il favore di Dio. È tale per pura gratuità, per puro dono. Chiamata a collaborare al mistero dell'Incarnazione è, per così dire, posta nelle condizioni ottimali per corrispondere alla chiamata. E tuttavia non per questo smarrisce la sua peculiarità, la sua presenza a sé stessa. Non è puro e passivo strumento. E se è vero che la domanda che l'evangelista le pone sulle labbra è un espediente retorico, in forza del quale potrà dire il come dell'incarnazione, resta evidente che l'espressione letteraria non vanifica la verità di fondo di una creatura che, per grazia, corrisponde in pienezza alla gratuità di cui la riveste il suo Signore.
Detto altrimenti, occorre restituire Maria alla sua identità. Certo non è facile raggiungere la Maria della storia. Ma è facile toccare la fedele discepola del suo Signore. Maria non è una donna che tace, una donna scorporata, esangue, unicamente centrata sulla singolarità di ciò che le accade. È la serva del Signore, pronta ad assecondarne il disegno, pronta a dirlo vindice dei poveri e degli oppressi. Celebrarla nella sua totale santità è riconoscerla capace di ricevere e trafficare il dono ricevuto. È riconoscerla prolessi, anticipazione della Chiesa nella condizione ottimizzante acquistatale dal suo Signore.


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