Questo brano della Genesi ha avuto un grande successo fra i teologi per l'uso che ne fa l'autore della lettera agli Ebrei per parlare del sacerdozio di Cristo, sia per giustificarlo individuando in Melchisedek il capo stipite di quel sacerdozio e sia per determinarne la superiorità, mostrando come Abramo stesso offra a Melkisedek la decima. La messa in scena del pane e del vino è stata interpretata come un'allusione al sacrificio di Cristo; il nome del sacerdote misterioso, come un riferimento alle caratteristiche del Messia, re di giustizia e di pace. In chi ascolta questo brano nella celebrazione del Corpus Domini si affacciano collegamenti diversi da quelli indicati dalla teologia e dall'esegesi, si ha la sensazione che quelle parole abbiano a che fare con l'eucaristia. S'intuisce che quello che in quelle parole è raccontato, la vittoria, la benedizione, l'offerta del pane e del vino e l'offerta della decima, sia quello che serve perché si possa celebrare l'eucaristia.
La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 4/2016)
SS. Corpo e Sangue di Cristo
Gen 14,18-20
1Cor 11,23-26
Lc 9,11b-17
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CHE DÀ LA VITA VERA
L'eucaristia è benedizione prima della battaglia e ringraziamento dopo la vittoria; è offerta di cose semplici come lo sono il pane e il vino, il segno più efficace per esprimere l'amore di un uomo e la presenza di Dio; è condivisione generosa di tutto. In quell'incontro fra Melchisedek e il padre dei credenti non si celebra l'eucaristia, ma certo si prepara perché essa ci sia, ci sarà bisogno che i segni diventino concreti ancora di più, ci sarà bisogno di Cristo.
L'apostolo Paolo riprende la più antica tradizione del racconto della cena del Signore e dice di raccontare quello che ha ricevuto a sua volta, facendo riferimento alla trasmissione delle memorie degli apostoli, di cui, vista la formulazione chiara del racconto, l'istituzione dell'eucaristia doveva costituire uno dei punti centrali. Paolo riferisce le parole della cena a una comunità che forse le conosceva, ma che ne aveva perduto il senso; per questo, dopo aver legato gli eventi a una notte precisa, perché non diventassero un racconto slegato, una specie di mito, sottolinea le parole di Gesù che, mostrando il pane spezzato, dichiara che quello è il suo corpo "per voi". Come potevano i Corinti fare memoria di questo ed essere così divisi ed egoisti?
Il commento dell'Apostolo serve a dire loro che quello che celebrano non è una memoria che si va perdendo, ma un memoriale di un evento che continua a salvarli. Qui Paolo sceglie inoltre di menzionare la morte di Cristo, non perché non gli interessi la risurrezione ma perché in questo contesto la sottolineatura della morte serve a richiamare alla concretezza del dono della croce. Un cristianesimo senza croce, senza dono, senza il pane/corpo spezzato per voi, è un cristianesimo che rende inutile anche la risurrezione. L'eucaristia è il luogo dove s'impara a essere cristiani, perché lì si fa memoria del dono, del pane spezzato, della croce. Il cristiano non celebra l'eucaristia per dimenticarsi della vita e delle croci che si piantano, ma per imparare a vincere con la croce. Impara il dono, la vita orientata al bene degli altri, la condivisione; impara, come si legge in un'antica omelia del Sabato santo, come la croce possa rendere fertile il Golgota.
Certo, Gesù nel vangelo che si legge oggi non è uno che fa finta di niente, circondato com'è di folle che hanno bisogno di essere guarite nell'anima e nel corpo. Gesù guarisce l'anima annunciando il regno di Dio, e mostrando quanto sia vero quello che annuncia prendendosi cura delle malattie di quelli che si affollano attorno a lui. In modo particolare, al tramonto di una delle sue giornate, il bisogno diventa collettivo, perché tutti hanno bisogno di qualcosa da mangiare e ci si trova in una zona deserta.
Alla proposta sensata dei discepoli, Gesù dà una risposta che serve a capire che c'è in gioco qualcosa di più. L'invito: «Voi stessi date loro da mangiare» è invito a prendersi cura di quella gente; i discepoli continuano a dire che non sanno come fare, riconoscono però di avere qualcosa, anche se poco. Gesù risponde ordinando di mettere in ordine la folla, che non appare più come una massa, ma un insieme di persone ordinate in piccoli gruppi. Poi Gesù prega, spezza il pane e lo fa distribuire fino a sazietà. Il pane è molto di più di quello che serve.
Nelle scelte dei discepoli e nei loro ragionamenti c'è il buon senso delle cose concrete, lo stato di necessità, la mancanza di mezzi, la grandezza del problema; in loro c'è il riconoscimento che, con quanto hanno a disposizione, non c'è niente da fare. Non sono diversi quei ragionamenti da quelli che si fanno anche nelle nostre chiese quando si parla di fenomeni come l'immigrazione, la povertà emergente e altro. Gesù non rimprovera, nemmeno si mette a offendere i suoi discepoli e a trattarli da egoisti, ma chiede loro di dargli una mano, di fare quello che possono, di non arrendersi, di mettere ordine; insegna a fare comunque qualcosa.
Mostrandosi in preghiera, Gesù insegna ad accettare che non tutte le soluzioni sono alla nostra portata, che bisogna essere umili, e che bisogna avere fiducia in Dio, che benedice e moltiplica la condivisione di quello che serve per vivere, benedice e moltiplica il pane. L'eucaristia è pane, un frammento di pane, eppure Gesù dice che quella briciola è il suo corpo capace di dare la vita a molti; insegna a tutti a non aver paura del poco che si ha.
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SS. Corpo e Sangue di Cristo (C)
ANNO C – 29 maggio 2016
L'EUCARISTIA, CIBO