La prima lettura dal libro della Sapienza contiene la famosa preghiera di Salomone, che all'inizio del suo regno deve chiedere un dono a Dio. Il dono, che Salomone chiede è proprio quello della sapienza, la cui preziosità è descritta per essere altra cosa dalle cose che un uomo può possedere. La ricchezza e il potere, che normalmente accendono il desiderio degli esseri umani, sono sabbia e fango di fronte alla sapienza, che assume così caratteristiche divine. Il brano contiene l'elenco di tutto quello che preme a un uomo; oltre a quelle accennate si parla di salute e di bellezza; tutto è altra cosa dalla Sapienza, perché essa è eterna e perché è fonte di tutte le altre cose. Si può osservare come queste parole non devono essere lette come invito al disprezzo delle cose che contano nella vita di ognuno, ma come non rendere quelle cose più importanti di quello che sono. Questo accade se si pensa di dover scegliere fra esse e Dio, che ne è, invece, la fonte. VITA PASTORALE N. 8/2015
XXVIII Domenica del Tempo ordinario
Sap 7,7-11
Eb 4,12-13
Mc 10,17-30
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È VERA SAPIENZA
Essere ricchi è possibile, anche a costo di trovare delle scorciatoie inconfessabili; essere potenti è possibile anche a costo di compromessi di cui non andare fieri. Essere saggi è un dono di Dio, che non richiede mercati o sotterfugi, ma raggiunge il cuore dell'uomo quando, come Salomone, si preoccupa di come essere utile agli altri e non solo a sé stesso. La Sapienza è guardare le cose con gli occhi di Dio e valutarie secondo il suo cuore; è dare a tutte le cose il loro giusto valore, senza disprezzare o idolatrare niente e nessuno.
Questa domenica colleziona brani che sono fra quelli più citati fuori dai vangeli, così è per la prima lettura e così anche per la seconda, tratta dalla lettera agli Ebrei. Si tratta di una specie di inno alla Parola, che è ricco di echi biblici. Quello che si ricava dalla lettura del piccolo brano è la sensazione della potenza della Parola, e che questa forza le deriva da Dio, che ne è la fonte. La Parola, come la Sapienza, è la presenza concreta di Dio nella vita degli uomini. Ogni volta che se ne ha l'occasione, è bene riflettere sul dono della parola di Dio, qui descritta come una possibilità che permette a chi l'ascolta di fare un viaggio verso l'essenziale della vita. Dio, che si comunica all'uomo, che parla la lingua dell'uomo, con tutto quello che questo significa, lo fa perché l'uomo non perda la memoria del cammino; non si dimentichi di essere immagine di Dio. La parola di Dio crea, libera, guarisce; veramente non ascoltarla è una scelta che produce disorientamento e infelicità.
Marco riferisce un episodio presente, anche se con sfumature diverse, anche nei vangeli di Matteo e Luca. L'inizio del racconto mostra una persona entusiasta che corre e si inginocchia davanti al maestro, e lo chiama buono. Si tratta quasi di una professione di fede, che Gesù ridimensiona. La domanda è quella su che cosa deve fare per avere la vita eterna. La prima risposta di Gesù è quella di indicare il cammino dei comandamenti, ricordando quelli che riguardano il prossimo. La reazione di quel tale manifesta la soddisfazione di uno studente, che ha fatto bene tutti i compiti. Gesù non giudica, però, negativamente; anzi rilancia con una proposta, che chiede di superare l'autosufficienza di cui quel tale aveva dato segno; a superare la domanda che si centrava sul fare per avere e a diventare un'altra persona, che non s'interessa più di avere. La reazione negativa di quella persona apre a uno dei temi più sensibili nella comunità cristiana, quello del rapporto con la ricchezza. Non c'è alcun dubbio che la frase di Gesù, comunque si voglia girare il testo per far sembrare la cruna dell'ago più grande di quello che è o per rimpicciolire il cammello, serve a sottolineare in maniera paradossale una difficoltà vera.
Si noti come la frase sulla cruna d'ago segua la considerazione sulla difficoltà dei ricchi di entrare nel regno dei cieli. Si deve anche dare importanza alla riflessione dei discepoli, che chiedono chi potrà salvarsi. Poiché si può supporre che i discepoli non fossero così ricchi da preoccuparsi della loro possibilità di entrare nel regno, probabilmente intendono bene che cosa voglia dire Gesù. La ricchezza che impedisce la relazione con Dio è quella che appartiene a chi pensa di essere sufficiente a sé stesso e di non avere nessun bisogno di Dio; è la condizione di chi identifica il proprio essere con il proprio avere e fa dipendere il secondo dal primo. Certamente la ricchezza economica, la disponibilità di mezzi aumenta nelle persone la sensazione di sufficienza, la grande considerazione di sé, favorisce l'atteggiamento di affidarsi alle cose più che a Dio, ma non è solo una questione di soldi.
Per comprendere bene chi sono i ricchi bisogna ricordare chi sono i poveri nella Bibbia. Essi sono più di una categoria economica, sono una categoria spirituale, riferita a quelle persone che si affidano a Dio e che confidano in lui. La condizione economica di precarietà può favorire la condizione spirituale di povertà, ma non ne è premessa necessaria o sufficiente. Un cristiano deve sempre combattere la povertà, deve soccorrere il povero e aiutarlo a non esserlo più. Il povero, però, rimane come un segno sempre presente, una provocazione a considerare una persona per quello che è e non per quello che ha; è un richiamo alla condivisione e alla solidarietà. Se è vero che osservi i comandamenti, sii un povero, mostra di fidarti di Dio e avrai la vita eterna.
(commento di Luigi Vari, biblista)
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XXVIII Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 11 ottobre 2015
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