Il libra della Sapienza parla, nella lettura di questa domenica, di quella che può essere definita la tentazione del giusto. S'immagina un complotto di persone empie verso il giusto, che fanno conto del fatto che i ragionamenti e le parole delle persone giuste sono sempre molto deboli e non vincono mai nell'immediato. Il tema del giusto che perde il confronto con l'empio è sempre molto attuale e importante, perché mette in questione Dio stesso, la sua capacità d'intervenire nella storia, la sua provvidenza. Il ragionamento dell'empio appare sempre vincente perché, come accennato, si fonda sull'immediato, non ha orizzonte, non richiede nessuna profondità e profezia. L'empietà sta nel rifiuto di prospettive altre da quelle del proprio immediato vantaggio. Il collegamento che il testo permette con il Salmo 22 e con la scena del calvario dove gli empi sfilano come vincitori sotto la croce, dimostra come questo tema sia centrale nella Bibbia. VITA PASTORALE N. 8/2015
XXV Domenica del Tempo ordinario
Sap 2,12.17-20
Gc 3,16-4,3
Mc 9,30-37
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SCELTA DI FARSI SERVI
Sarebbe interessante chiedere, a chi legge questo brano, la definizione di empio; si avrà come risultato probabile il fatto che gli empi sono tali per il comportamento e, soprattutto, che gli empi sono gli altri. II brano suggerisce, però, che ognuno potrebbe essere definito tale per il fatto di non prevedere Dio nel corso della storia umana e della propria storia. L'assenza di prospettiva, la spinta a decidere secondo il vantaggio immediato rendono difficile ogni ragionamento di giustizia, pace, perdono. Questa è la difficoltà di chi vuole vivere la vita del giusto, la continua lotta contro l'evidenza per cui a vincere sono quelli che passeggiano sotto la croce e non il condannato appeso ad essa.
L'apostolo Giacomo aiuta in questa riflessione sulla sapienza del giusto, definendola come sapienza che viene dall'alto. Questo tipo di sapienza si apprezza solo se si ha la pazienza di guardare con più attenzione le vicende della vita e giudicare la bontà delle scelte dopo averne visto i frutti. Se la sapienza che non tiene conto di Dio è empietà, il suo frutto è il disordine e ogni sorta di cattiva azione. Dove è la sapienza di Dio a dettare le regole c'è aria pulita, pace e mitezza. La lettera fa un elenco dei frutti della sapienza, che richiama un po' le beatitudini evangeliche. Il brano continua con una serie di esempi che confermano come l'empietà genera frustrazione, facendo intravvedere una possibile empietà che riguarda anche chi crede, visto che l'ultimo esempio riguarda la preghiera rivolta a Dio per soddisfare le proprie passioni.
Nella sua lettera l'apostolo Giacomo ha presente una comunità cristiana, le sue parole vanno sempre comprese come verifica comunitaria, anzi quello che lui dice ha senso solo se si hanno in mente persone che desiderano vivere una vita da discepoli di Cristo. Quindi è possibile che anche nell'esperienza di una comunità ci possa essere tensione fra sapienza di Dio e altri tipi di sapienza; questo più che scandalizzare deve spingere a una scelta, quella di far funzionare sempre meglio la sapienza di Dio, quella delle beatitudini. Secondo Giacomo è molto facile rendersi conto se questo avviene o meno. Egli fa tutto l'elenco delle possibili malattie di una comunità come a dire che più esse sono presenti più bisogna dubitare delle scelte che si fanno. È vero che la comunità della lettera è delimitata, gestibile e non paragonabile alle comunità odierne; ma pure se cambiano regole e dimensioni, la regola del discernimento e la sapienza delle beatitudini non sembra che possano essere disattese.
Il vangelo di Marco presenta la seconda previsione della passione; lo schema ripete quello della prima, letta nel vangelo di domenica scorsa: annuncio, incomprensione, rimprovero di Gesù e catechesi. L'incomprensione traspare dalla discussione che fanno i discepoli dopo le parole di Gesù. Marco sottolinea bene come i discepoli abbiano paura di domandare spiegazioni al maestro a proposito delle parole che parlano di cattura, morte e risurrezione. Non pare una paura che nasce dalla riverenza, quanto la paura di sentire confermata la consapevolezza che il cammino sta inerpicandosi per un sentiero difficile.
La discussione dei discepoli non è a presa diretta. È Marco che informa il lettore. Il rimprovero, non evidente come nel caso di quello rivolto a Pietro, è presente nella domanda di Gesù e nella catechesi che, si immagina, crea imbarazzo e vergogna in loro che avevano discusso di grandezza. Gesù capovolge le prospettive dei discepoli a proposito della grandezza, dichiarando che il primo è l'ultimo e che il grande è il piccolo. Se si vuole, pure a rischio di qualche forzatura, leggere il brano in armonia con le prime due letture, il giusto è chi capovolge le prospettive, superando le evidenze e vede la croce, intesa qui come servizio, come fonte della vera sapienza. La sapienza della croce si traduce, in chiave comunitaria, nella scelta di farsi servo di tutti.
In questo secondo annuncio della passione, la comprensione che si richiede non è quella della testa, ma quella dell'esistenza. Comprendere la croce è collocarsi nella vita con una domanda che non riguarda il come poter dominare gli altri, ma come poterli servire. Questa domanda, molto semplice, è quella più difficile da rivolgersi. Chi si fa questa domanda non ha pace finché non trova risposta.
(commento di Luigi Vari, biblista)
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XXV Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 20 settembre 2015
LA SAPIENZA STA NELLA