Il testo del libro dei Re e quello del vangelo di Luca si richiamano l'un l'altro. Proprio per questo colpisce la differenza di tono tra i due. Quando capisce che il profeta Elia lo chiama alla sua sequela, Eliseo chiede di poter andare, prima di seguirlo, a salutare suo padre e non incontra, da parte del profeta, alcuna opposizione. Gesù tratta invece con tanta durezza uno che, chiamato alla sua sequela, desidera avere il tempo, prima di farsi suo discepolo, almeno di seppellire suo padre: perché? VITA PASTORALE N. 5/2013
XIII Domenica del Tempo ordinario
1Re 19,16b.19-21
Gal 5,1.13-18
Lc 9,51-62
RADICALE DI GESÙ
Nel vangelo di Luca, l'inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme rappresenta un punto di svolta. Gesù si trova a dover prendere la decisione di andare verso il luogo in cui sa che verrà messo a morte. Nella città santa egli non potrà più scegliere nulla e tutto dovrà subire. Per questo, la decisione di salire a Gerusalemme gli richiede di rendere la sua faccia dura come pietra (così il testo originale). E per questo, forse, i detti sulla sequela che egli pronuncia proprio all'inizio del suo "viaggio" verso Gerusalemme sono così duri e radicali: chi vuole seguire il Messia, deve sapere che si avvierà con lui sulla strada verso Gerusalemme.
Chi è più avanti con l'età, però, sa molto bene quanto il radicalismo di questi detti sulla sequela di Cristo si sia tradotto, in particolare per chi intraprendeva la vita religiosa, in imperativi morali che a volte potevano sconfinare perfino nella ferocia. E questo che Gesù chiede a chi desidera seguirlo, non avere dove dormire, rinunciare perfino alla pietas verso i propri genitori, non volgere mai lo sguardo verso ciò che si è vissuto e amato? Non c'è dubbio, poi, che questo modo di pensare e di presentare la sequela cristiana confligge apertamente con la cultura del benessere: è per questo che i nostri giovani, figli spesso inconsapevoli del mito liberista, sembrano impermeabili non solo alla chiamata alla vita religiosa, ma addirittura alla proposta evangelica?
È certamente possibile, e nessuno lo può negare, che la fame di pane e di studio è stata decisiva, soprattutto fra '800 e '900, per riempire seminari e conventi. Oggi, almeno nei nostri Paesi, non funziona più così. Forse, però, questa situazione nuova potrebbe rappresentare una risorsa per provare a capire il senso vero della radicalità evangelica. Prima di tutto, come richiesta rivolta a tutti e non soltanto ai "chiamati ad abbracciare i consigli evangelici". In secondo luogo, come impegno a favore degli uomini più che come autosuperamento ascetico. In fondo, quando saremo chiamati a rendere conto della nostra vita non verremo misurati sull'eroismo delle virtù, ma sulla capacità che avremo avuto di fare gesti di amore e di misericordia verso gli affamati e gli assetati, i malati e i carcerati.
Il radicalismo che caratterizza Gesù, la sua vita e il suo Vangelo, si spiega a partire dal fatto che, per lui, ormai "il tempo si è fatto breve", perché il regno di Dio non è più soltanto atteso, ma ha cominciato a farsi presente in mezzo agli uomini. Gesù sente fino in fondo l'urgenza di radunare le pecore perdute della casa di Israele e di annunciare loro che è ormai cominciata la realizzazione della salvezza promessa e attesa. Per questo, a differenza di Elia, Gesù non può permettere a chi vuole seguirlo di tergiversare neppure solo il tempo necessario per andare a seppellire il proprio padre. L'urgenza diviene il "clima" che pervade tutta la sua attività e connota tutta la sua missione. Con forza progressivamente sempre maggiore man mano che diviene chiaro che sarà messo a morte.
Per Luca, come per tutti i cristiani della sua generazione e di quelle successive, il significato dell'urgenza escatologica di Gesù va ricercato invece in una prospettiva fortemente mutata. La risurrezione rappresenta ormai il compimento definitivo dell'eschaton e questo comporta di guardare al mondo e alla sua storia non come il luogo dell' attesa e dell'imminenza, ma come il luogo della piena realizzazione di una vita nuova in Cristo. La pretesa di radicalismo, non più spiegabile con l'urgenza di un tempo ormai divenuto breve, ha cercato altri modi per esprimersi e si è confusa anche con forme di negazione di sé che poco hanno a che vedere con l'atteggiamento nei confronti della vita proprio di Gesù e della grande tradizione biblica prima di lui.
Forse Papa Francesco ci sta aiutando a ribaltare la prospettiva. Sempre, nelle sue parole, risuona con forza l'appello a prendere sul serio, più che la propria autorealizzazione, la storia degli uomini. Nella storia, infatti, la risurrezione agisce come potenza di Dio, il Regno avanza e si compie. Per questo, non è la povertà che dobbiamo amare e ricercare, ma i poveri. Non è la rinuncia che dobbiamo perseguire, ma l'amore per gli uomini e per la terra che essi abitano. Ci vuole purtroppo qualche generazione per far sparire dall'immaginario religioso il volto di un Dio che desidera il sacrificio dei propri figli, primo fra tutti quello del proprio Figlio, per ritenersi finalmente soddisfatto di una colpa che l'ha offeso e sdegnato. Ci vuole tempo a ritrovare il senso di un radicalismo evangelico che è misura della vita di ogni battezzato perché affonda le sue radici in quanto è alla portata di tutti, cioè la solidarietà. La solidarietà, che Dio ci ha insegnato con il dono di suo Figlio, è valore non negoziabile che decide la qualità della vita del mondo.
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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XIII Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C - 30 giugno 2013
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