La liturgia dell'ultima domenica di Avvento sembra quasi voler ergere una barriera di contenimento alla valanga di adulterazioni che concorrono ad alterare o a offuscare il senso teologico del Natale. È anche vero, però, che la tradizione ha spesso ridotto il significato del racconto della visita di Maria, la madre di Gesù, a Elisabetta, la madre del Battista, a un esempio di dedizione di una giovane verso una parente più anziana. VITA PASTORALE N. 10/2012
IV Domenica di Avvento
Mic 5,1-4a
Eb 10,5-10
Lc 1,39-45
IL VIAGGIO DEL MESSIA
Quando sono protagoniste le donne, infatti, va sempre a finire che il loro ruolo viene sapientemente costretto dentro modelli di altruismo e di cura e le loro storie sono solo edificanti. In realtà, la visita di Maria, la giovane, a Elisabetta, l'anziana, non va considerata come gesto di solidale vicinanza. Per Luca, infatti, il tema della visita ha sempre una forte coloritura messianica: Dio, che tante volte ha visitato il suo popolo, non permetterà ora che esso si perda nelle tenebre, ma gli renderà visita di nuovo. E sarà la visita definitiva, la visita messianica.
Il Messia è la visita di Dio al suo popolo. Per la cultura israelitica rendere visita a qualcuno aveva un significato forte soprattutto quando a rendere visita era un re o, addirittura, Dio stesso. L'iniziativa di Maria di rendere visita a Elisabetta è dunque il segno che Dio sta per rendere visita al suo popolo. Maria, che porta dentro di sé il frutto dello Spirito e che entra nella casa di Zaccaria, segna la continuità tra la storia del popolo d'Israele e la storia del Messia: il Messia nasce dentro Israele come definitivo dono dello Spirito di Dio al suo popolo.
Sotto forma di racconto storico, dunque, Luca trasmette l'annuncio del primo gesto salvatore del figlio di Maria: diversamente dalla madre di Esaù e Giacobbe, che sentiva nel suo seno la lotta tra i suoi due figli, Elisabetta percepisce invece la gioia messianica di suo figlio di fronte alla presenza del salvatore. Lo spirito di profezia che per secoli ha accompagnato e animato dall'interno la storia del popolo di Dio, cede il passo alla profezia nello spirito che prende carne e sangue nel Messia di Dio. Tutto quello che avviene dopo, perfino la stessa nascita di Gesù, può trovare la sua verità solo nel gesto compiuto da queste due donne e nelle parole che ciascuna pronuncia sull'altra.
Maria, una donna che sta per generare un figlio, suggella così in modo definitivo l'alleanza di Dio con il suo popolo e incarna la profezia della nuova alleanza che non potrà mai più essere abrogata. Forse su questa icona si dovrebbe maggiormente riflettere. Non tanto sulla forza mitica dell'immagine della donna gravida. Nell'immaginario religioso israelita la donna che genera il figlio rappresenta altro. È infatti condizione indispensabile per l'esistenza stessa di Dio come Dio-con-noi, in quanto condizione dell'esistenza e della sussistenza stessa del popolo a cui Dio parla e si rivela, per il quale si prodiga e si dona, con cui stabilisce un'alleanza eterna. Non si tratta di cedere a una stucchevole retorica sul femminile o sul materno. L'immagine di Maria che, incinta, intraprende un viaggio rimanda al punto di non-ritorno del paradosso biblico: Dio si fa presente non soltanto nelle vicende della storia del suo popolo, ma nella carne stessa del suo popolo.
Né è un caso che i due episodi successivi all'annunciazione, che vedono Maria come protagonista, la presentino in viaggio. Verso una città di Giuda per andare da Elisabetta e verso Betlemme di Giuda per onorare l'obbligo del censimento ma, soprattutto, per garantire alla nascita di suo figlio il suggello del messianismo regale. In Maria comincia il "viaggio" del Messia. Un viaggio che è, sempre, opera dello Spirito.
L'incontro di Maria ed Elisabetta si traduce in un inno allo Spirito: Elisabetta e Maria, ciascuna nel proprio ruolo, di madre dell'ultimo dei profeti antichi la vecchia Elisabetta e di madre che non conosce uomo la ragazza di Nazaret, sono entrambe testimoni dell'azione profetica dello Spirito di Dio che ha condotto Israele fino alla pienezza messianica. La "gestazione" di queste due donne ha richiesto che ciò che era diventato sterile tornasse a dare la vita e che la novità messianica precedesse qualsiasi intenzione umana.
Inni di benedizione, sussulti di gioia, reciproco riconoscimento che si traduce in augurio di beatitudine: sarà questo ad accompagnare la nostra celebrazione della nascita di Gesù? Bisognerebbe avere la sensibilità teologica dell'autore della lettera agli Ebrei e capire che la grande novità di Dio si gioca ormai tutta nel corpo. Un corpo "messianico", di un uomo e di un popolo, di Cristo e della Chiesa. Un corpo in cui si consuma l'obbedienza e in cui è ormai sancita definitivamente la pace.
Il Natale avanza con il suo carico di desideri e di bisogni condannati troppo spesso a essere insoddisfatti, di illusioni spesso mal riposte. Tutto ci dice, però, quanto sia necessario che «colei che deve partorire» partorisca, perché finalmente tutti noi, sani o malati, buoni o cattivi, cittadini di un mondo ancora, ma forse solo per poco, opulento o abitanti di un mondo nemico e di una terra ostile possiamo dire: anch'io vengo a fare la tua volontà!
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
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IV Domenica di Avvento (C)
ANNO C - 23 dicembre 2012
IN MARIA COMINCIA