Anno C – 8a domenica del Tempo Ordinario


Enzo Bianchi
OGGI SI COMPIE PER VOI LA SCRITTURA
Il vangelo festivo (Anno C)
Edizioni San Paolo, 2009

Anno C – 8a domenica del Tempo Ordinario

• Siracide 27,4-7 • 1 Corinzi 15,54-58 • Luca 6,39-45

FARE LA VERITÀ IN SE STESSI

Ascoltiamo oggi l'ultima parte del cosiddetto «discorso della pianura» di Gesù (cfr. Lc 6,17.20-49). Le parole proposte alla nostra meditazione si presentano come un testo composito creato dall'evangelista, che accosta paragoni apparentemente non collegati tra loro. Credo però che sia possibile rinvenire un filo rosso in questi detti: Gesù pone l'esigenza di fare la verità in se stessi come preliminare necessario per essere suoi discepoli.

«Se un cieco guida un altro cieco entrambi finiscono per cadere in un fosso». Matteo riferisce questo detto di Gesù ai fari sei, definiti «ciechi e guide di ciechi» (Mt 15,14), in quanto tesi a ingabbiare la volontà di Dio nelle loro categorie religiose (cfr. Mt 23,16-24); Luca invece lo applica ai discepoli di Gesù - dunque a noi -, chiamati a essere modelli gli uni degli altri nella comunità cristiana. L'unico modo per evitare di comportarsi da guide cieche consiste nel riconoscersi non superiori al Maestro, Gesù Cristo, cioè nel cogliere se stessi con realismo - uno dei sinonimi dell'umiltà - in rapporto a lui. E, si faccia attenzione, anche senza toccare gli estremi del folle orgoglio di chi presume di essere superiore a Gesù, il rischio è più quotidiano di quanto non sembri: è sufficiente smettere di coltivare la relazione con lui, ritenendo superflua l'assiduità con la sua vita e le sue parole, per ammalarsi di quella cecità tanto più grave quanto meno la si riconosce... Dirà Gesù nel quarto vangelo: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane» (Gv 9,41)...

Ma anche il nostro rapporto con gli altri può essere minato da una pericolosa cecità. Gesù ce lo ricorda con parole divenute proverbiali, costruite su una netta opposizione tra la pagliuzza, ovvero una piccola scheggia di legno, e una grossa trave. Questo paragone è comico nella sua sproporzione, eppure ritrae con esattezza la nostra realtà quotidiana. Siamo terribilmente zelanti nell'ergerci a giudici degli altri e delle loro piccole mancanze, proprio mentre siamo incapaci di riconoscere i nostri peccati; anzi, li custodiamo e li accudiamo gelosamente, mostrando al di fuori una presunta maschera di virtù: ma questa è l'ipocrisia, ossia l'atteggiamento perverso di chi simula, di chi finge agli occhi altrui di essere ciò che non è ... Contro questa falsità si leva l'ammonimento di Gesù: «Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello!». Sì, la correzione fraterna è un dovere di ogni cristiano, ma esige che prima ciascuno sappia fare autocritica, perché solo chi si riconosce peccatore ha la lucidità per vedere il reale e agire di conseguenza.

Gesù pone infine ciò che precede alla luce di un semplice criterio: «Ogni albero si riconosce dal suo frutto. Non vi è albero buono che produca frutti cattivi, né albero cattivo che produca frutti buoni». Evidentemente egli non si riferisce ai frutti nel senso di virtù con cui farsi belli davanti agli altri, ma li intende quali segni concreti della verità di una vita, quale manifestazione visibile di ciò che è invisibile: il cuore puro. Ecco perché prosegue: «L'uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male». Il vero problema è dunque quello di essere vigilanti e di lavorare sul nostro cuore, l'organo che nella mentalità biblica è la sede dell'intelligenza e della volontà, della ragione e della capacità decisionale, delle emozioni e dei sentimenti: in sintesi, dell'intera nostra persona. E la conversione del cuore ha una prima evidente conseguenza sul nostro modo di parlare, veicolo della verità o della falsità delle nostre relazioni con gli altri; «la bocca infatti parla dalla pienezza del cuore», svela ciò che ci abita in profondità...

Solo un comportamento sincero e umile, capace cioè di aderire alla realtà, può riempire di senso le nostre relazioni quotidiane con il Signore, con gli altri e con noi stessi. Fingere, simulare, vivere nella falsità equivale invece a vivere da «sepolcri imbiancati» (Mt 23,27), in una cecità e in una tristezza profonda che sono già forme di morte.

----------
torna su
torna all'indice
home