Dopo il racconto della moltiplicazione dei pani da parte di Gesù, il testo giovanneo avanza con una seconda scena che ha funzione preparatoria rispetto al discorso sul pane di vita. Per l'evangelista Giovanni, infatti, il discorso di Gesù rappresenta una delle chiavi di volta della grande rivelazione al mondo e ne costituisce un momento discriminante: di fronte a questo discorso, infatti, tutti, anche coloro che già avevano creduto in lui e perfino i suoi discepoli provano difficoltà. Gesù pronuncia il discorso sul pane di vita come rivelazione al mondo, non soltanto ai suoi discepoli. Siamo di fronte a una rivelazione pubblica, che Gesù fa dopo un miracolo, la moltiplicazione dei pani, che non ha nulla di segreto, ma avviene in favore delle folle. VITA PASTORALE N. 6/2012
XVIII Domenica del Tempo ordinario
Es 16,2-4.12-15
Ef 4,17.20-24
Gv 6,24-35
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LA NUOVA MANNA
È GESÙ STESSO
È questa la chiave di lettura dell'intero discorso e questo, quindi, il filo rosso che ci permette di comprenderne il significato e il valore. La scena della moltiplicazione ha una forte carica evocativa perché quanto Gesù compie richiama e attualizza quanto Dio stesso ha operato rispondendo alla mormorazione del popolo nel deserto. Dio ha operato e opera sempre per tutto il popolo. Non per un gruppo né per un uomo o una donna particolari. Gesù ha convocato l'intero Israele: come nel deserto la manna ha sfamato tutto il popolo, così la predicazione di Gesù si è rivolta a tutto il popolo e il suo pane ha sfamato una grande folla indistinta.
Cercare Gesù è davvero bisogno di tutti. Perché tutti, in un modo o in un altro, andiamo in cerca di qualcuno che ci possa salvare. Noi forse, come individui che conducono la propria vita nel benessere, abbiamo rafforzato le nostre difese facciamo fatica a esprimere un anelito di redenzione. È certo, però, che nessuno può guardare al di là del proprio orto senza sentire profondamente che il mondo e la storia anelano a poter diventare un altro mondo e un'altra storia. Per non percepirlo, bisogna davvero tapparsi occhi e orecchi e diventare, come dice Paolo, "insensibili" e preoccupati solo della propria dissolutezza. Per questo, forse, secondo Giovanni, Gesù ha preteso che tutti coloro che lo cercavano e per i quali egli aveva moltiplicato i pani nel deserto arrivassero a cogliere il significato salvifico delle immagini simboliche e dei gesti rituali più complessi e profondi della fede post-pasquale. È davvero possibile a tutti capire che la nuova manna con cui Dio ha sfamato il popolo che mormorava nel deserto è Gesù stesso, «Parola di vita eterna» e «pane disceso dal cielo»?
Gesù, però, deve sempre rettificare le aspettative e le pretese: dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani, la folla vuole acclamare Gesù "re" e Gesù sfugge a questa pretesa. Tutta la storia biblica si snoda come permanente rettifica: Dio non è quello che gli uomini vorrebbero che fosse. Per questo, anche nel caso del racconto giovanneo, la prima cosa che Gesù deve fare è rettificare. Il Dio che si rivela lungo tutta la storia di liberazione del suo popolo e che si rivela definitivamente nella sua Parola fatta carne non sceglie piccoli gruppi di iniziati, ma sceglie piuttosto di educare al rapporto con lui un intero popolo. Il pane che Gesù ha distribuito, come la manna, non significa quello che gli uomini di ogni tempo vorrebbero raggiungere attraverso la fede, cioè la risoluzione definitiva della fatica e dello scandalo della vita fatta di fame e di morte. Gesù ancora una volta chiede di passare dalla pretesa di ottenere da Dio ciò che si ritiene giusto alla fede che ciò che Dio compie è giusto.
Cosa significa, allora, "darsi da fare" per procurarsi il cibo che non muore? In fondo, né il popolo nel deserto, né la folla della moltiplicazione hanno fatto nulla per ottenere la manna oppure il pane, tranne, forse, mormorare e protestare. Gesù non lascia dubbi al riguardo: non ci sono opere meritorie che ci possano conquistare il diritto a ricevere da Dio il pane dal cielo. Un'opera sola, la più difficile, è necessaria e sufficiente: credere in Gesù, nella sua parola. Di più: credere nel suo essere Parola discesa dal cielo. La prima parte del discorso del pane di vita non è sacramentaria, ma sapienziale, non rimanda cioè all'eucaristia, ma alla rivelazione che Dio ha fatto di sé in Gesù di Nazaret. Questo è il punto di non ritorno: credere che Gesù è l'opera di Dio perché è la parola di Dio fatta carne.
La Chiesa cattolica si prepara all'Anno della "fede" e molti sono i significati della scelta di dedicare un tempo lungo a quella che Gesù indica come l'unica "opera" da compiere e, soprattutto, di farlo ecclesialmente. Si scriveranno libri nuovi, se ne rispolvereranno altri; si faranno convegni e riunioni, predicazioni popolari ed esercizi spirituali; si darà risalto alle formule di fede presenti nella liturgia e si curerà con attenzione la preparazione ai sacramenti. Tutto necessario, certo. Nella prima parte del discorso sul pane di vita, però, Gesù è perentorio al riguardo. Credere significa solo una cosa: credere che Gesù, la sua persona e la sua parola, sono il pane di vita. L'unico vero. Ed è un pane dato al mondo. Quel mondo che Dio ama fin dal giorno della creazione, quel mondo che il Figlio ha vissuto nella pienezza delle sue possibilità, perfino quelle più malvagie, quel mondo in cui lo Spirito soffia dove vuole. Gesù, pane che sazia e acqua che disseta: per sempre. Saremo capaci di mettere Gesù al centro dell'Anno della fede?
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)
XVIII Domenica del Tempo ordinario (B)
ANNO B – 5 agosto 2012