Enzo Bianchi
ASCOLTATE IL FIGLIO AMATO!
Il vangelo festivo (Anno B)
Edizioni San Paolo, 2008
• Levitico 13,1-2.45-46 • 1 Corinzi 10,31 - 11,1 • Marco 1,40-45
IL SANTO CHE CI GUARISCE
La nostra esperienza ci rende consapevoli del fatto che noi soffriamo non solo a causa della malattia che aggredisce il nostro corpo, ma anche, e forse più spesso, a causa del male che ci assale, ci vince, fino a renderci insopportabili a noi stessi. È per questo che ricorriamo sovente al linguaggio della malattia, per esprimere la nostra condizione di peccatori; e Gesù, come vedevamo domenica scorsa, «si è fatto prossimo» (cfr. Lc 10,34.36) a uomini e donne preda del male nelle sue molteplici forme.
Il testo odierno ci presenta l'incontro di Gesù con un malato di lebbra. Va ricordato che nell'Israele antico il lebbroso rappresentava la persona emarginata per eccellenza: colpito da una malattia sentita non solo come ripugnante, ma anche come dovuta a una punizione divina per i peccati commessi, il lebbroso viveva la condizione più disperante e vergognosa in Israele. Alle sofferenze fisiche si aggiungevano infatti quelle connesse alla sua separazione dalla famiglia e dalla società, nonché il giudizio religioso che faceva di lui un peccatore e, dunque, un castigato da Dio (cfr. Nm 12,14; Lv 13,45-46). Occorre però non scandalizzarsi troppo di fronte a questa ingiustizia, perché è la stessa che noi commettiamo ancora oggi, quando siamo tentati di giudicare la malattia di un altro quale esito di un comportamento immorale; quando, di fronte alla nostra malattia, ci poniamo la domanda: «Che peccato ho fatto? Perché questo castigo da parte di Dio?»...
Dopo aver lasciato Cafarnao e la folla di quanti lo cercavano (cfr. Mc 1,36-37), nel suo andare per la Galilea Gesù incontra un lebbroso. O meglio, accetta di incontrare una persona che tutti evitavano, che era costretta a vivere in luoghi deserti e a svelare la propria condizione a chiunque stesse per avvicinarglisi. Ebbene, Gesù lo lascia avvicinare a sé, fino ad ascoltare ciò che il lebbroso vuole dirgli: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Chi chiede purificazione e guarigione è un «impuro», vittima ma anche colpevole, secondo i parametri religiosi, e la sua malattia è contagiosa; a tale condizione dovrebbero corrispondere solo emarginazione e condanna... Ma Gesù alla vista di quest'uomo prova compassione, sa soffrire con lui, e quasi naturalmente lo tocca, contravvenendo alla legge e accettando il rischio di contrarre la sua malattia! In tal modo, lo purifica, lo guarisce, lo restituisce alla condizione di vita piena.
Il lebbroso aveva detto a Gesù: «Se vuoi, tu puoi», con parole che in profondità significavano un enorme atto di fiducia: «Io conto su di te, so che tu vuoi il mio bene e, di conseguenza, so che a te è possibile guarirmi». La purificazione che noi uomini possiamo conoscere è legata alla nostra fiducia in Gesù, che con la sua santità può comunicarci la purità e la salute piena; più in generale, nella nostra quotidianità la guarigione ha inizio quando sappiamo di poter contare su qualcuno che vuole il nostro bene, che ci sta accanto, ed è disposto a portare il nostro male, sia esso malattia o peccato... Ecco, la compassione radicale vissuta da Gesù chiede a ciascuno di noi di interrogarsi sulla propria capacità di stare accanto a chi si sente impuro e malato. Come dimenticare che, proprio il giorno in cui ha deciso di abbracciare un lebbroso, Francesco d'Assisi ha capito sinteticamente tutto il cristianesimo e ha incominciato il suo cammino di sequela fino a divenire «somigliantissimo a Gesù»?
Gesù è la santità che brucia ogni nostro peccato, è la vita che guarisce le nostre infermità, ma questo suo servizio agli uomini ha un caro prezzo. Egli non può più entrare pubblicamente nei villaggi, ma è costretto a rimanere in luoghi deserti, a vivere cioè la situazione che era prima del lebbroso: Gesù cura e guarisce gli altri al prezzo dell'assunzione su di sé del loro male. Il testo latino della profezia di Isaia sul Servo del Signore dice, tra l'altro: «Noi lo consideravamo come un lebbroso» (Is 53,4b); sì, Gesù, il Servo, il Messia, il Salvatore, si è fatto per noi come un lebbroso, per guarire la nostra lebbra nel corpo e nello spirito! Così, sulla croce sarà piagato come un lebbroso: ma noi possiamo fissare su di lui il nostro sguardo nella speranza della guarigione, certi della compassione di colui che «ha preso su di sé le nostre sofferenze e i nostri mali» (Is 53,4a).
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