Il diaconato in Italia n° 167
(marzo/aprile 2011)
LE INTERVISTE
Poveri, piccoli e diaconi
di Vincenzo Testa
Proseguono le nostre interviste. Questo mese abbiamo incontrato Mauro Albino che svolge il suo ministero in Guatemala ma è un italiano della Pia Società di San Gaetano fondata da don Ottorino Zanon (http://www. donottorino.org). Intervistarlo è stata una vera grazia di Dio. Vi invito allora a conoscerlo in questo colloquio che ha le caratteristiche di un "racconto dell'anima".
D. Come nasce la tua vocazione?
R. Sono un friulano di quasi 60 anni di età. Da bambino sentivo parlare i miei genitori il dialetto sloveno, io parlavo in friulano con la mia gente, a scuola imparai la prima lingua "straniera" e cioè l'italiano. A quattordici anni emigrai per necessità con tutta la famiglia in Germania. Lì a contatto con la mia gente e con molta altra del sud d'Europa ho scoperto la mia vocazione. Questi non sempre erano trattati bene. Spesso erano ignorati o sopportati e io mi potevo considerare un privilegiato. Posso dire di essere anche stimato solo perché friulano. Vivevo tutto ciò con inquietudine.
Iniziai così a donare tutto il mio tempo libero per aiutare un missionario italiano a fondare una associazione italo- tedesca a beneficio degli altri. Ad un certo punto notai che il tempo non mi bastava più e che il Signore mi chiedeva, invece, tutto il mio tempo e la mia persona. A ventuno anni entrai nella Pia Società San Gaetano convinto dalla argomentazioni presentate da un opuscolo "preti e diaconi" pubblicato dalla medesima Congregazione. Era un libretto fatto stampare dopo la ordinazione dei primi diaconi permanenti religiosi nel lontano 1969.
Ma l'esperienza che più ha inciso drammaticamente nella mia vita è stato il terremoto del Friuli nel 1976. Coinvolto in prima persona, perché il mio piccolo paese era stato distrutto per il 90% ho sperimentato tutta la fragilità dell'esperienza umana e la forza della solidarietà. Ho visto come ci si può mobilitare grazie alla fede e ho cercato di tradurla in carità per essere segno del Regno di Dio.
È così che ho vissuto esperienze indimenticabili perdendo tutto e vivendo cosa può significare il rapporto e il calore umano in profondità: ...essere la persona giusta nel luogo giusto e con la relazione e l'atteggiamento giusto.
Adesso, a distanza di tempo comprendo che, più che quello che può fare o dare un volontario ed un diacono è importante la sua presenza. Significativa è, per me, l'immagine del buon samaritano . Ebbene dopo questa esperienza la mia vocazione si è fatta più chiara e ho iniziato ad esercitare il ministero diaconale per quasi 20 anni in Italia ed il resto in America latina dove la mia vocazione sta crescendo ancora di più.
Tutto qui... ma se guardando indietro, mi accorgo che la mia vita è stata un pò turbolenta e movimentata, ma sono contento di averla vissuta in questo modo. Di una cosa sono convinto: rifarei tutto quello che ho fatto e forse lo farei con ancora più entusiasmo.
D. Perché hai scelto di vivere il tuo ministero in Guatemala?
R. Nella mia esperienza ho vissuto la mondialità già da adolescente proprio come missionarietà aiutando, quando ero in Germania come emigrante, il missionario italiano. Lì ho imparato la precarietà e il rispetto delle diversità . Fin da piccolo, infatti, mi sentivo chiamato ad aiutare gli altri. Nella casa dell'Immacolata in Vicenza sede della mia Congregazione, quando ci andavo, vedevo sulle pareti mappe di altri paesi e continenti, si parlava di America e sud Italia. A me piaceva molto il clima "familiare" della casa e mi è sempre piaciuta l'idea diventare missionario.
Il primo impegno di servizio diaconale è stato nel sud Italia. Era il 1986, quando dopo l'ordinazione diaconale a Monterotondo vicino Roma, sono stato inviato a Crotone. Lì cercai di fare quello che potevo e ho esercitato il mio primo amore missionario. Ci rimasi quasi 20 anni, con una parentesi significativa di vita e ministero, fatta nella Locride. Nel 2003 i miei superiori mi proposero il Guatemala... io amavo il sud e mi parve un tradimento... e non sapevo che fare. Entrai nella chiesetta santuario della Madonna della Catena in Bruzzano Zeffirio che è un balcone sul mar Ionio e quasi scorgendo oltre il mare e l'Oceano vidi un lembo di terra latinoamericana. In quella Chiesa ho sentito che lo Spirito e la Madonna mi aiutavano a dir di sì e allora mi sono buttato fra le braccia di Dio e in quest'avventura.
Qui, in Guatemala, ho iniziato subito a costruire una pastorale diaconale assieme ad un giovane prete ed un altro diacono. Eravamo nella periferia di una grande città del Guatemala. Ho incontrato problemi diversi. Per esempio nella colonia La Verbena non si vive proprio tanto bene. Lì si è costretti dall'economia e dalla finanza mondiale a lavorare con le immondizie degli altri, e solo per sopravvivere. Qui esiste l'immondezzaio più grande del centro america.
C'è un sanatorio dove a causa della tubercolosi vengono ricoverati la maggior parte della gente senza possibilità economiche. In Guatemala ci sono solo 2 sanatori pubblici e non esiste l'assistenza sanitaria gratuita, pertanto lascio immaginare il trattamento. Inoltre c'è il secondo cimitero più grande della capitale. Ogni giorno una decina e oltre di persone senza identificazione vengono qui sepolte (sono i cosiddetti xx che in Italia si chiamano nn). Si tratta di gente uccisa con violenza o per altre circostanze sempre tragiche o problematiche.
Da un anno lavora in questo luogo una fondazione che ha il compito di riesumare e catalogare i resti di persone uccise durante il conflitto armato (durato 36 anni e terminato nel 1996). Le ossa si trovano in borse gettate in 5 pozzi di 30 metri di profondità e 5 di diametro. Al momento hanno terminato il lavoro nel primo pozzo estraendo 2.440 resti. Si procede all'identificazione con i parenti che magari a distanza di 30 anni si sottopongono al Dna.
Senza dubbio potrei elencare qui altre problematiche comuni a tutte le periferie e parrocchie popolari come la nostra di 65.000 abitanti ma non mi resterebbe spazio per descrivere le cose belle che ci sono e che riempiono il cuore di ciascun missionario, come la solidarietà, la semplicità e lo spirito popolare che qui si vivono.
In un libretto di G. Gutiérrez ho trovato questa frase: «Se ho fame è un problema fisico, ma se ha fame mio fratello è un problema etico» e allora cerco di fare il possibile affinché anche qui si possa vivere come gli di Dio e fratelli.
La missionarietà e mondialità si abbracciano e combaciano. Dobbiamo considerare che il 20% degli esseri umani possiede e accaparra l'80% delle risorse e viceversa l'80% del mondo deve accontentarsi e condividere il 20% dei beni della terra. È una tragedia... e noi diaconi dobbiamo andare dove ci sono le tragedie. La tragedia della fame, dell'esclusione. Quando abbiamo aperto una missione in Albania, un mio parente della lega mi ha detto: «In Albania andate?! Se tutti vengono via?!». «Appunto per questo ci andiamo».
Così dicasi del Guatemala... Tanti in questo paese sono fuori, emigrati. Così dicasi pure dell'Africa, se tutti scappano... noi ci andiamo! A portare la rivoluzione della diaconia! Il bisogno è il nostro Signore e padrone. Dobbiamo portare un po' d'amore. Perché la logica del profitto, della finanza e dell'accaparramento genera esclusione e noi andiamo fra gli esclusi (quelli che spesso anche noi europei o Americani del Nord escludiamo).
Solo la cultura della diaconia salverà il mondo e non solo la bellezza. Per amore e servizio vale la pena perdersi fra gli ultimi, i prediletti di Dio-Amore, come lo fece madre Teresa e non solo.
D. Puoi raccontare il tuo ministero?
R. Senza presunzione, mi piace più vivere che raccontare proprio perché lo scrivere è difficile e ti dà il senso di perdere tempo... ma non è così. Posso dire che così come lo è per la vocazione, il ministero di diacono è un dono grande che non riusciremo a comprendere mai a fondo, come non riusciamo a capire il mistero di Gesù sacerdote servo. Sinteticamente, e a mo' d'immagine, posso dire che p come una "camicia" che ti sei messo e che ti piace e con spirito giovanile ti fa sentire "orgoglioso"; non si tratta, però, di indossare la maglietta di qualche giocatore famoso ma quella semplice e umile di Cristo Gesù.
D. Qual è la tua opinione sullo sviluppo del ministero diaconale in questo tempo?
R. La situazione del diaconato nella chiesa è molto variegata. Non vorrei esprimere dei giudizi affrettati né tantomeno dettare sentenze che a me non competono, ma per quello che so ed ho visto, posso ringraziare il Buon Dio per le esperienze che riscontro in giro per il mondo.
In Europa vedo i diaconi "più cappellani", essendo quest'ultimi scomparsi e per la scarsità di clero; ma ci sono anche significative esperienze. Nell'America del nord molti sono "funzionari" nelle innumerevoli istituzioni che questi paesi hanno sia nell'ambito educativo che assistenziale e della carità. In America latina il diaconato è ancora una novità per alcune Conferenze Episcopali ed inoltre qui c'è una forte presenza ed incidenza dei ministeri laicali che lo ostacolano quasi. In America latina il diaconato è visto ed auspicato come il "ministro" fra la gente e i suoi problemi.
D. Ho letto la tua tesi di laurea: "Diaconia: la fede si fa azione. Verso una Chiesa diaconale". Hai qualcosa da suggerire ai diaconi per il loro servizio?
R. Più che suggerire io vorrei ancora tanto imparare ma se è utile condividere qualcosa lo faccio attraverso quello che ho scritto nella tesi e di cui sono convinto. Mi par utile e sempre più opportuno collocare il ministero diaconale dentro il contesto della "diaconia" di Gesù e della Chiesa. Questa è poco conosciuta e apprezzata pertanto si può rischiare di collocare il ministero ordinato in contesti poco chiari.
Vorrei, perciò, iniziare raccontando un piccolo aneddoto che mi è capitato durante una visita al tempio di Tikal (famoso luogo Maia) in Guatemala. Ho chiesto alla guida turistica: «Ci sono differenze e quali tra i gringos (nordamericani), gli europei e i latinoamericani?». Mi ha risposto con queste parole: «Sì, ci sono differenze. I gringos hanno potere, denaro e strutture. Gli europei hanno la storia. I latinoamericani hanno la loro cultura».
Perbacco! E pensare che è a partire da queste differenze che si costruisce la diaconia. Come pure è a partire dalla cultura che si costruisce la diaconia. È arrivato il momento di riscattare la cultura di questi popoli, è il momento di aiutarli a ricuperare le loro radici e non si tratta semplicemente di magia! Per niente! Innanzitutto significa lavorare insieme alla gente.
La sfida attuale per la Chiesa latinoamericana è "andare alle radici" originarie di questo popolo, nelle quali ritroveremo dignità, forza, coraggio e l'animo stesso di questa gente. Grazie a Dio, per costruire relazioni e per costruire la diaconia di Gesù non sono necessari tanti soldi, né tanto potere... né tanta storia e mi pare che i latinoamericani e tutta la gente del mondo hanno dimostrato che per andare avanti c'è soltanto bisogno di unità, forza e un grande desiderio di lottare.
L'esperienza dei minatori cileni ne è un esempio. Ricordiamo che la diaconia di Gesù nasce in mezzo al popolo, vive nel popolo e si fa forte nel cuore (nella cultura) di questi popoli, che, giorno per giorno, lavorano per un solo scopo ed ideale: vivere. Quindi possiamo dire che tutti abbiamo tanto da dare; tutti abbiamo "una differenza" che ci rende complemento o complementari.
Parlare della diaconia nella Chiesa cattolica, insomma, non è facile in questo momento, per molti motivi. La struttura e le funzioni della Chiesa sono cambiate molto nel corso dei secoli. Per esempio, si è perso negli ultimi cinquecento anni il fare riferimento alle Sacre Scritture, che si è ricuperato ultimamente grazie all'impulso del Concilio Vaticano II.
Anche riguardo alla diaconia si è perso il senso e il significato profondo che questa aveva fin dai primi secoli; ed è per questo che adesso non se ne comprende l'importanza nella vita e nella struttura ecclesiale. Mi pare che l'eccessiva istituzionalizzazione della Chiesa abbia fatto perdere il senso della semplicità ed autenticità delle relazioni presenti nella comunità di Nazaret e nelle prime comunità cristiane, eliminando allo stesso tempo anche la diaconia, che si forma a partire da relazioni. Inoltre, abbandonando il riferimento alle Sacre Scritture si tralascia anche la fonte dalla quale proviene la vera essenza della diaconia, trasmessa da Gesù agli Apostoli e da questi alle prime comunità. Fondamentalmente, Gesù ha vissuto la diaconia riabilitando e restituendo la dignità alla persona. La parabola del buon samaritano è l'icona che esprime in modo più chiaro e profondo questo concetto.
Gli apostoli hanno imitato Gesù costituendo comunità nelle quali la dignità cristiana dava importanza e sanava la realtà umana ferita. La Chiesa, nella sua lunga storia, ha fatto lo stesso, soprattutto quando gli ordini religiosi si sono impegnati nel lavorare alla promozione della dignità umana. Negli ultimi anni, la Chiesa ha sottolineato nuovamente questo aspetto che le appartiene, attraverso la dottrina sociale e gli insegnamenti del Concilio Vaticano II.
La mia esperienza di vita e lavoro tra i poveri dell'America Centrale mi porta a dire che, a differenza dell'Europa e anche degli stati ricchi dell'America, in questo contesto è importante valorizzare e prendere coscienza dell'azione diaconale. È un passaggio fondamentale per l'applicazione di questa dottrina e delle encicliche sociali della Chiesa. L'aspetto comunitario della Chiesa è stato considerato molto negli ultimi tempi e, come naturale conseguenza di questo, anche il ministero sacerdotale e il sacerdozio comune.
Il ministero diaconale è nato per favorire il servizio comunitario. E il primo servizio è dare dignità a coloro ai quali Gesù ha manifestato la sua predilezione e verso i quali ha prestato particolarmente attenzione. Guardando la situazione della maggior parte dei popoli dell'America Latina constatiamo che c'è molto da fare nelle nostre comunità, soprattutto nell'ambito dell'animazione e della promozione. Ecco perché prima del fare Chiesa è importante essere Chiesa. E s'afferma che non ci può essere chiesa senza il Vescovo con i suoi preti e diaconi.
Credo che qui non ci riferiamo solamente al diacono liturgo durante i pontificali, con tutti i bisogni ed emergenze che ci sono in ogni comunità cristiana. Fin dai primi secoli la Chiesa nasceva con un unico sacramento dell'Ordine, con i vari gradi dell'episcopato, del presbiterato e del diaconato, come risposta alle necessità del tempo. Adesso, per evidenti ragioni pastorali e per dare forma alla Chiesa locale, si è reso necessario ricorrere all'uso del ministero diaconale in complemento a quello del vescovo, che ha il compito di favorire l'unità e la comunione.
Gli ultimi documenti pontifici affermano chiaramente che la figura del vescovo e del sacerdote sono indispensabili alla comunione ecclesiale e alla celebrazione dell'Eucaristia, ma che è altrettanto necessaria la presenza della diaconia e del diaconato, indispensabile per formare una Chiesa aperta al mondo e attenta alle sue necessità. Così si esprime il Papa nell'enciclica Deus Caritas est: «L'intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l'uno dall'altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza» (Deus Caritas est, n. 25).
Ministero e sacerdozio sono due facce della stessa moneta. Ed è giusto che il ministero si possa vivere in maniera distinta e complementare, dentro e fuori dal tempio, sanando la frattura tra fede e vita, mettendo in pratica sacerdozio e diaconato ministeriale, sacerdozio e diaconia comune. È necessario creare una nuova mentalità a partire da una corretta lettura della Parola di Dio e instaurare un diverso modo di vivere le relazioni con la gente e i suoi problemi.
I diaconi, che nella maggior parte dei casi sono sposati e lavorano nella comunità civile, possono contribuire proprio con la loro stessa professione ad avvicinare la Chiesa al mondo e il mondo alla Chiesa. Credo che questa sia un'urgenza del nostro tempo. La Chiesa come istituzione religiosa ha dei principi che si fondano nella diaconia, perciò stesso deve ritornare alle sue radici perché questo sia il motore che conduca il suo cammino nel mondo.
La comunità cristiana è un terreno di sementi di diaconia, è la quotidianità della vita. È lasciarci impressionare da Gesù Diacono che si fa semplice e piccolo tra i semplici. Quelli che si sentono chiamati alla vocazione del "servizio o diaconia" hanno bisogno di una formazione che li renda capaci di distinguere la diaconia non solo come ministero in quanto tale, ma anche un modo di vivere in maniera conforme alla volontà di Gesù Diacono.
Favorire e creare spazi di riflessione sulle necessità reali della gente. Ascoltare e vivere momenti che ci avvicinino al vero senso della vita. Il nostro compito con i poveri non è di continuare ad assisterli, ma credere in loro, lavorare con loro, andare avanti con loro e con i loro stessi mezzi.
La diaconia è una novità per la quale la Chiesa è chiamata a dare uno spazio, perché questa, se ben vissuta, può restituirle il senso per la quale è stata creata. Non c'è dubbio che la Chiesa sia immersa in tutti gli ambiti della vita ed è in continua relazione con il potere e con il servizio. La sua missione, dunque, è quella di essere in continua relazione con la sua radice che è Gesù e con la sua opzione per i poveri. Dare spazio a una Chiesa diaconale sarà la medicina contro la ricerca del potere.
Per finire, vorrei dire che non ho voluto parlare tanto del ministero diaconale e dei suoi progetti e delle sue difficoltà, ma di "diaconia" - così come ha fatto papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica - perché questa è l'urgenza per la Chiesa. Per cercare di esprimere meglio questa urgenza, mi viene in mente l'immagine della rondine che ritorna quando si creano le condizioni adeguate. Così è per il diaconato: esso rifiorisce quando la diaconia ne crea le condizioni. Vorrei sottolineare molto questo concetto: una Chiesa che vive e promuove la diaconia favorisce ed incrementa il diaconato che a sua volta la garantisce.
D. Esprimi un sogno che vorresti si avverasse.
R. Che si realizzi il "sogno" di Gesù, che si estenda il Regno fatto di giustizia e pace e che i poveri e piccoli della terra possano contare su una presenza diaconale e amica che assomigli molto al volto evangelico del buon Samaritano.
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