Sacramentalità del diaconato



Il diaconato in Italia n° 166
(gennaio/febbraio 2011)

MOTU PROPRIO


Sacramentalità del diaconato
di Pasquale Violante


Manteniamo aperta la rubrica dedicata al Motu proprio Omnium in mentem, perché il documento continua a stimolare lo studio e la riflessione. Accogliamo dunque questo contributo di un aspirante diacono di Nola che ha desiderato approfondire la questione, nella speranza di suscitare un ulteriore dibattito.


Secondo il catechismo della Chiesa Cattolica, «l'Ordine è il sacramento grazie al quale la missione affidata da Cristo ai suoi Apostoli continua ad essere esercitata nella Chiesa sino alla fine dei tempi: è, dunque, il sacramento del ministero apostolico. Comporta tre gradi: l'Episcopato, il presbiterato e il diaconato»1 Quindi il diaconato è uno dei tre gradi dell'unico sacramento dell'Ordine, in quanto «il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato da diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, presbiteri, diaconi»2.

Premessa
Il carattere sacramentale del diaconato resta tuttavia una questione aperta e dibattuta fino ad oggi, in quanto sussistono due diverse opinioni teologiche:
1. Alcuni teologi ritengono il diaconato una realtà sacramentale come il presbiterato e l'episcopato (pur nella diversità delle funzioni e dei "poteri" attribuiti mediante l'ordinazione) e quindi considerano «il diaconato come parte integrante del ministero di successione apostolica»3.
2. Altri teologi pensano invece che il diaconato non sia una realtà sacramentale, essendo qualitativamente distinto dal presbiterato e dall'episcopato, per cui «il ministero apostolico dovrebbe essere limitato ai "sacerdoti" (vescovi e presbiteri), mentre i diaconi farebbero parte del ministero "ecclesiastico" e dovrebbero essere considerati, di conseguenza, come collaboratori ausiliari del ministero di successione apostolica, del quale, a rigore, non sarebbero parte integrante» (Dep 437). Capire quale delle due opinioni teologiche sia da preferire è fondamentale per comprendere l'identità teologica ed ecclesiale del diaconato. Nel seguito saranno esposti i motivi per cui ritengo corretto considerare il diaconato una realtà sacramentale che è parte integrante del ministero di successione apostolica.
Per il prosieguo del discorso è fondamentale capire cos'è un ministero ordinato. I ministeri sono stati voluti da Cristo stesso «per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio. […] I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti […] arrivino alla salvezza» (LG 18). È tramite i suoi ministri che Gesù «intende assicurare alla Chiesa di tutti i tempi la sua presenza salvifica di Maestro, Sacerdote e Pastore: nessuna di queste dimensioni del mistero di Cristo potrà mai mancare nella sua Chiesa»4.
La funzione del ministero ordinato è quella di attualizzare e «perpetuare l'azione di Cristo capo e pastore della Chiesa nella linea del ministero profetico, sacerdotale e regale»5, cioè di compiere i tre atti fondamentali della chiesa, la martyria (predicazione del Vangelo), la leiturghia (celebrazione del culto ed amministrazione dei sacramenti) e la diakonia (servizio, comunione fraterna e cura pastorale). Il ministro è segno e strumento dell'azione di Cristo, cioè opera in persona Christi. Infatti «nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo corpo, Pastore del suo gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore, Maestro di verità» (CCC 1548).
Ma per rendere presente Cristo si deve essere posseduti dal suo Spirito: per questo è necessaria un'ordinazione, affinché il dono dello Spirito faccia sì che, anche di fronte ai limiti ed alla condizione di peccatore del ministro, sia sempre Cristo a rendersi presente nei gesti e nelle parole del ministro stesso. L'ordinazione infatti «va al di là di una semplice elezione, designazione, delega o istituzione da parte della comunità, poiché conferisce un dono dello Spirito Santo che permette di esercitare una potestà sacra, la quale non può venire che da Cristo stesso, mediante la sua Chiesa» (CCC 1538). Solo chi possiede questa potestà sacra può agire in persona Christi ed è il sacramento dell'Ordine a comunicare tale potestà sacra (CCC 1551). Infatti «attraverso il ministero ordinato, specialmente dei Vescovi e dei sacerdoti, la presenza di Cristo quale Capo della Chiesa è resa visibile in mezzo alla comunità dei credenti» (CCC 1549). Ciò vuoi dire che ogni ministro ordinato (vescovo, presbitero, diacono), ciascuno nel suo grado agisce in persona Christi.

Sacramentalità del diaconato?
La sacramentalità del diaconato è stata affermata, anche se in maniera prudente, dal Concilio Vaticano II: «In un grado inferiore della gerarchia stanno i Diaconi, ai quali sono imposte le mani "non per il sacerdozio, ma per il ministero". Infatti, sorretti dalla grazia sacramentale, in comunione col Vescovo e il suo presbiterio servono il popolo di Dio nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità» (LG 29). Tuttavia «nel dibattito conciliare, non c'era unanimità circa la natura sacramentale del diaconato» (Dep 385), per cui «alcuni autori anche dopo il Concilio hanno manifestato più esplicitamente e in modo argomentato i loro dubbi nei confronti della sacramentalità del diaconato» (Dep 388). Anche il Codice di Diritto Canonico (CDC) del 1983 si esprime a favore della sacramentalità del diaconato. Infatti «nei cann. 1008-1009, il diaconato è uno dei tre ordini, e il CIC sembra applicare ad esso nella sua integrità la teologia generale del sacramento dell'ordine» (Dep 390), quando afferma che «con il sacramento dell'ordine per divina istituzione alcuni tra i fedeli mediante il carattere indelebile con il quale vengono segnati, sono costituiti ministri sacri; coloro cioè che sono consacrati e destinati a pascere il popolo di Dio, adempiendo nella persona di Cristo Capo, ciascuno nel suo grado, le funzioni di insegnare, santificare e governare, cioè le funzioni proprie di coloro che sono chiamati a condurre il Popolo di Dio» (CDC, can. 1008).
Invece nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) si afferma che da Cristo «i Vescovi e i presbiteri ricevono la missione e la facoltà (la "sacra potestà") di agire "in persona di Cristo Capo", i diaconi la forza di servire il popolo di Dio nella "diaconia" della liturgia, della parola e della carità, in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio» (CCC 875). Ne consegue quindi che nel CCC «l'espressione in persona Christi Capitis non è applicata alle funzioni diaconali del servizio. In questo caso la capacità di agire in persona Christi Capitis sembra riservata ai vescovi e ai preti. [...] D'altra parte, altri testi dello stesso CCE sembrano applicare l'espressione all'insieme del sacramento dell'ordine6, riconoscendo un ruolo primario ai vescovi e ai preti. Ci si trova allora davanti a una diversità di tendenze difficili da armonizzare, che si riflettono nettamente nelle diverse concezioni teologiche del diaconato»7.
In questo quadro già di per sé complicato, si inserisce la lettera apostolica in forma di "Motu proprio" Omnium in Mentem di Benedetto XVI del 26 ottobre 2009, con la quale vengono modificate alcune norme del Codice di Diritto Canonico ed in particolare i canoni 1008 e 1009 citati precedentemente. (Per una migliore comprensione delle modifiche introdotte, v. Il diaconato in Italia, 161 (2010) 24).
Il nuovo paragrafo 3 del canone 1009 riprende sostanzialmente il n. 875 del CCC sopracitato ed intende in questo modo eliminare una discrepanza tra il CDC (il quale nel vecchio testo affermava che tutti i ministri ordinati agiscono nella persona di Cristo Capo) ed il CCC (che invece al n. 875 assegna solo a vescovi e presbiteri la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo). Ma i nuovi can. 1008 e 1009 sono in evidente contrasto con i n. 1581, 1591 e 1548 del CCC (vedi nota 18), per cui anche con le modifiche apportate, rimangono notevoli discrepanze tra il CDC ed il CCC e ci troviamo ancora di fronte a «una diversità di tendenze difficili da armonizzare»8.
Comprendere se il diacono agisce o meno nella persona di Cristo (Capo), non è questione di poco conto, perché vuoi dire capire l'identità teologica, ecclesiale e pastorale del diaconato e quindi il senso ed il valore della sua missione al servizio della comunità ecclesiale. Ci si deve allora chiedere se la modifica del canone 1009 del CDC permette ancora di considerare il diacono come un ministro ordinato ed il diaconato come una realtà sacramentale. Dalla lettura del canone 1008 e del par. 1 del canone 1009 la risposta è senz'altro positiva; tuttavia il paragrafo 3 del canone 1009 sembra quasi introdurre due tipologie di ministri sacri, essenzialmente diversi: da un lato vescovi e presbiteri, ai quali l'ordinazione conferisce la missione e la facoltà di agire nella persona d Cristo Capo, dall'altro lato i diaconi, che invece vengono abilitati a servire i popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità.
Al riguardo è stato giustamente osservato che: «la differenza tra missione ed abilitazione non è solo semantica ma sostanziale. Una cosa è ricevere una specifica chiamata del Signore, confermata dall'autorità della Chiesa ed avere un mandato che [...] consente, a seconda del grado ricevuto, di agire in rappresentanza di Cristo stesso in tutto o parte nel suo triplice munus. Questa è una modificazione ontologica che orienta tutta la vita e l'agire del ministro ordinato. Altra cosa è un'abilitazione che [...] consiste solo nella possibilità di effettuare alcune azioni liturgiche o sacramentali in nome della Chiesa. [...] Anche i laici ministri della comunione sono abilitati a svolgere un servizio liturgico senza aver bisogno di alcuna particolare consacrazione»9. Si comprende allora che le modifiche dell'Omnium in mentem non rendono «più possibile individuare in modo chiaro il proprium del sacramento dell'ordine. [...] L'aver riservato ai vescovi e ai presbiteri la funzione di presiedere la comunità in nome di Cristo capo introduce una pericolosa divisione all'interno del sacramento dell'ordine, rende difficile determinare l'identità del diacono e non permette di dare una valutazione coerente al suo ministero: il diacono quando celebra il sacramento del battesimo o coordina per incarico del vescovo le attività caritative in diocesi non presiede la comunità in nome di Cristo capo? La diversità del diaconato dall'episcopato e dal presbiterato, evidenziata dalle modifiche introdotte, potrebbe offrire nuovi spunti a chi nega la sua dimensione sacramentale e propone di considerare i diaconi semplici battezzati, ai quali sono affidati ministeri particolari»10.

Alcune questioni
Le modifiche introdotte dall'Omnium in mentem come possono essere conciliate con l'unità del sacramento dell'ordine e con il fatto che «la posizione dottrinale a favore della sacramentalità del diaconato si presenta ampiamente maggioritaria nell'opinione dei teologi dal secolo XII sino a oggi e si presuppone nella prassi della Chiesa e nella maggior parte dei documenti del Magistero» (Dep 393)? È possibile concepire dei ministri ordinati (i diaconi) che non agiscono nella persona di Cristo (Capo), ma solo in virtù di un'abilitazione? Se fosse così, quale sarebbe il senso dell'ordinazione diaconale? Per rispondere a queste domande si deve comprendere meglio qual è l'effetto dell'ordinazione e cosa vuoi dire agire nella persona di Cristo (Capo). Ricordiamo quindi che il sacramento dell'Ordine «configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo. Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re» (CCC 1581). Non si può quindi dire che il diacono non opera nella persona di Cristo (Capo), senza intaccare l'unità del sacramento dell'Ordine, che abilita ogni ministro ordinato ad agire come rappresentante di Cristo. Infatti, «se si applica all'insieme del sacramento dell'ordine, in quanto partecipazione specifica al triplice munus di Cristo, allora si potrebbe dire che anche il diacono agisce in persona Christi [Capitis]» (Dep 422).
Questa tesi è rafforzata dalla considerazione che ogni ordinazione «conferisce un carattere spirituale indelebile» (CCC 1582) ed «i diaconi partecipano una maniera particolare alla missione e alla grazia di Cristo. Il sacramento dell'Ordine imprime in loro un sigillo ("carattere") che nulla può cancellare e che li configura a Cristo, il quale si è fatto "diacono", cioè servo di tutti» (CCC 1570). È in virtù del carattere indelebile impresso dall'ordinazione diaconale che il diacono agisce in persona Christi (Capitis). Il diaconato «è sacramentale non solo per l'evocazione della grazia sacramentale che conferisce (LG 29a) per la natura stessa del ministero ordinato, cioè ricevuto per l'imposizione delle mani, l'epiclesi e la preghiera consacratoria che la Tradizione costante ha inteso come azione sacramentale»11. Infatti l'effusione dello Spirito Santo sul candidato viene invocata affinché si attui una consacrazione sacramentale: «Ora, o Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questi tuoi figli, e noi consacriamo come diaconi perché servano al tuo altare nella santa Chiesa. Ti supplichiamo, o Signore, effondi in loro lo Spirito Santo, che li fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compiano fedelmente l'opera del ministero»12. Dunque è lo Spirito Santo che «sancisce la sacramentalità del ministero diaconale e dona la grazia al diacono»13.
Ne consegue che, se si vuole salvaguardare l'unità del sacramento dell'Ordine, si deve necessariamente ammettere che anche il diacono agisce in persona Christi (Capitis), perché è l'ordinazione stessa a donare questa capacità. Tuttavia un diacono non equivale ad un presbitero o ad un vescovo, poiché «la partecipazione sacramentale propria del diaconato, [...] si configura in forma differente rispetto a quella del presbiterato ed ha un suo ruolo attivo insostituibile all'interno della comunità ecclesiale»14.
Ci si deve allora chiedere: qual è il proprium del diacono, cosa cioè lo distingue dal presbitero e dal vescovo? In altri termini, «come precisare ulteriormente, entro l'unità del sacramento, la particolarità del carattere diaconale nella sua relazione distintiva al carattere presbiterale ed episcopale? Quali mezzi adoperare per differenziare simbolicamente in ogni caso la configurazione specifica a Cristo?» (Dep 422). Il diacono è un ministro ordinato e quindi deve avere qualcosa in comune con gli altri ministri ordinati (presbiteri e vescovi), ma deve avere anche qualcosa di diverso, che gli assegna una precisa identità e lo distingue dagli altri ministri. A questo proposito, la LG ha precisato che ai diaconi «sono imposte le mani "non per il sacerdozio, ma per il ministero"» (LG 29). Quest'espressione riprende un testo «tratto dalla Traditio apostolica di Ippolito di Roma (inizio del III secolo) che recitava ad ministerium episcopi, "per il ministero del vescovo"»15. Dunque, secondo la formula di Ippolito, i diaconi sono ordinati per il ministero del vescovo. Qui «non si tratta solamente né principalmente del ministero o del servizio che ha per oggetto il vescovo. I diaconi non sono in questo senso dei servitori del vescovo. Essi non sono al "suo" servizio ma sono destinati al ministero di cui egli è il soggetto di attribuzione. L'espressione è un genitivo soggettivo: i diaconi sono ordinati per il ministero di cui il vescovo è il titolare». In altri termini «i diaconi sono ordinati per il ministero apostolico di cui il vescovo in primo luogo è incaricato: a eccezione della presidenza ecclesiale ed eucaristica, essi esercitano le loro funzioni in tre ambiti o "diaconie": la liturgia, la parola e la carità»16.
Ma per comprendere appieno l'identità teologica ed ecclesiale del diacono «bisogna innanzitutto uscire da una problematica dei "poteri" conferiti dall'ordinazione. [...] Un buon numero di cattolici pensa ancora il ministero ordinato in termini di abilitazione a porre certi atti. Il prete è così colui che offre il sacrificio eucaristico e concede l'assoluzione sacramentale dei peccati. […] L'identità del prete è pensata prima di tutto a partire da ciò che egli può fare, e anche da ciò che egli solo ha il potere di fare, e che i laici e i diaconi non possono fare. In questa prospettiva, il diaconato trova difficilmente la sua identità: ciò che fa il diacono può, in definitiva, essere fatto dai laici».
Nella mentalità comune dei cristiani ricevere il sacramento dell'ordine significa diventare prete; «essere vescovo è qualcosa di più; essere diacono, è non essere ancora prete, anche se oggi si può essere diaconi sposati... ma in questo caso non si sarà mai preti. […] Tutto ciò è il normale prodotto di una concezione "lineare" dei gradi dell'ordine: i tre gradi costituiscono come una scala; bisogna passare dal primo per accedere al secondo, poi eventualmente al terzo». In una concezione "lineare" dei gradi dell'ordine, il presbitero deve necessariamente essere prima diacono e poi presbitero, mentre il vescovo deve essere diacono, poi presbitero ed infine vescovo. In questo modo, «ogni grado contiene tutti i precedenti, più qualcos'altro»17. Ne consegue che, secondo tale concezione, il diacono è essenzialmente inferiore al presbitero e quindi ad egli subordinato; lo stesso si può dire del presbitero rispetto al vescovo.
Tuttavia «il Nuovo Testamento non esige che il presbitero-episcopo sia stato in precedenza diacono, pur non escludendolo neanche. Non vi è alcun passo che testimonia che i vescovi o i presbiteri siano scelti fra i diaconi già in carica». Infatti ci sono stati «vescovi che non sono stati scelti fra i preti già ordinati, ma, eccezionalmente, fra i laici, non così raramente fra i diaconi»18. Ne consegue che abbandonare la concezione "lineare" del sacramento dell'ordine non sarebbe in contrasto né col Nuovo Testamento, né con le origini del cristianesimo.

Uno schema triangolare
Il ministero ordinato potrebbe allora essere inteso, non secondo uno schema "lineare", ma secondo uno schema "triangolare", in cui «l'episcopato costituisce "la pienezza del sacramento dell'ordine" (LG 21), si trova dunque al vertice del triangolo; il diaconato e il presbiterato sono due maniere distinte di "partecipare" a questa pienezza e di realizzarla all'interno della Chiesa locale: sono i due lati del triangolo, che discendono dal vertice. [...] Il diaconato, in questa visione, come il presbiterato, sarà una maniera specifica di essere ordinato "in modo completo" nella Chiesa».
Nello schema triangolare, il diacono non è più subordinato al presbitero, né il presbitero deve necessariamente divenire "diacono transitorio" prima della sua ordinazione, ma ciascuno di questi due gradi ha una consistenza ed un'identità propria. Ogni grado ha «qualcosa di comune con l'altro, più qualcosa di specifico che l'altro non ha»19.
Lo schema triangolare del ministero ordinato può essere compreso facilmente pensando alla teologia trinitaria, secondo cui il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo possiedono ciascuno interamente tutta la natura divina, ma sono tre persone differenti. Ognuna delle tre persone divine ha qualcosa di comune con le altre, più qualcosa di specifico che le altre non hanno: il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, ma il Padre non è il Figlio e non è lo Spirito Santo, il Figlio non è il Padre e non è lo Spirito Santo, lo Spirito Santo non è il Padre e non è il Figlio. In maniera analoga potremmo dire che è in virtù di ciò che hanno in comune (il sacramento dell'Ordine), che vescovi, presbiteri e diaconi agiscono tutti e tre "in persona Christi", senza essere tra loro equivalenti, ma complementari.
Con il Concilio Vaticano II la Chiesa è stata compresa «nella sua realtà di communio, icona della Santissima Trinità, strutturata a immagine e somiglianza della comunione trinitaria. I...] In quanto azione di Dio ad extra, la Chiesa è necessariamente trinitaria: è un progetto di salvezza che non ha per causa efficiente solo il Padre, o il Figlio o lo Spirito Santo, bensì le tre Persone divine. [...] Al Padre spetta l'iniziativa, il Figlio occupa il posto centrale nel compimento della salvezza e lo Spirito Santo è chiamato a concludere l'opera divina»20. Come la salvezza è offerta all'uomo non solo dal Padre o dal Figlio o dallo Spirito Santo, ma congiuntamente dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, così la presenza salvifica di Gesù quale Maestro, Sacerdote e Pastore, è resa possibile congiuntamente da vescovi, presbiteri e diaconi. Infatti «è proprio della natura sacramentale del ministero ecclesiale avere un carattere collegiale» (CCC 877). Anche Ignazio di Antiochia aveva affermato: «tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come pure il vescovo, che è l'immagine del Padre, e i presbiteri come il senato di Dio e come l'assemblea degli apostoli: senza di loro non si può parlare di Chiesa»21.
È quindi proprio nella sua struttura ministeriale che la Chiesa si mostra icona della Trinità: «Vescovi, preti e diaconi [...] rappresentano il Cristo nei suoi molteplici aspetti, [...] essi agiscono in persona Christi. Ma [...] nessuno racchiude il tutto, [...] insieme essi esercitano la missione del Cristo. Non è il vescovo che possiede tutto e poi delega, per delle ragioni solamente pratiche. Ma insieme, vescovo, presbiteri e diaconi sono portatori del solo e medesimo sacramento dell'ordine, nelle loro specificità proprie e nella loro complementarietà: il sacramento configura ciascuno al Cristo, secondo uno dei molteplici aspetti della sua missione terrena ed eterna. Che nessuno dei gradi possa fare a meno degli altri due significa che è solamente insieme che essi rappresentano il Cristo, unico grande sacerdote»22.
Se l'ordinazione sacramentale fa sì che ogni ministro diventa immagine di Cristo sotto un determinato aspetto, allora il diaconato deve essere inteso «come un ministero ordinato completo, [...] e il presbiterato come diverso dal diaconato e che non lo include. [...] I chierici dovrebbero smettere di pensare che sono sempre diaconi, poi in più preti, poi eventualmente vescovi. [...] Il diaconato non può semplicemente essere un "tempo di pronazione" in vista di qualcos'altro», anche perché «l'identità del diacono permanente resterà sfumata finché bisognerà necessariamente essere ordinato diacono prima di essere ordinato prete, finché il modello di subordinazione occulterà il modello di complementarità, finché il prete monopolizzerà - o supplirà a - tutti i ministeri non attributi chiaramente»23.
Riguardo alle funzioni del diacono, esse si esplicano «nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità» (LG 29). Al riguardo è importante chiarire che «le diverse funzioni attribuite al diaconato (permanente) nei testi conciliari e postconciliari ci giungono generalmente dall'antica tradizione liturgica, dai riti di ordinazione e dalla riflessione teologica corrispondente. [...] In genere si ammette una triplice "diaconia" o un triplice "munus" che serve da struttura di base per l'insieme delle funzioni diaconali. Nei documenti e nelle numerose elaborazioni teologiche, si attribuisce una certa preminenza ai compiti caritativi; tuttavia, sarebbe problematico considerarli come specifici del diaconato, poiché sono anche responsabilità propria dei vescovi e dei preti, di cui i diaconi sono gli ausiliari. Inoltre, le testimonianze della tradizione ecclesiale invitano a integrare le tre funzioni in un tutto» (Dep 442). Non si può quindi identificare il proprium del diaconato nella carità e nel servizio ai fratelli, cioè nella rappresentazione di Cristo "Servo". Non è possibile «separare "essere capo" e "servizio" nella rappresentazione di Cristo per fare di ognuno dei due un principio di differenziazione specifica» (Dep 423), in quanto «i ministeri del vescovo e del prete, proprio nella loro funzione di presidenza e di rappresentazione di Cristo Capo, Pastore e Sposo della Chiesa, rendono visibile anche Cristo Servo e richiedono di essere esercitati come servizi».
Eppure l'Omnium in mentem, nel descrivere come i ministri ordinati rappresentano Cristo, sembra introdurre proprio questa separazione, quando afferma che vescovi e presbiteri «ricevono la missione e la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo»24, mentre i diaconi, poiché «vengono abilitati a servire il popolo di Dio»25, agirebbero in persona Christi Servi. La Commissione Teologica Internazionale, presieduta nel 2002 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, ha invece ritenuto «problematica una dissociazione che stabilisca come criterio distintivo del diaconato la sua rappresentazione esclusiva di Cristo come Servo» (Dep 424), affermando invece che si debba «tenere conto insieme dell'unità della persona di Cristo, dell'unità del sacramento dell'ordine e del carattere simbolico dei termini rappresentativi (capo, servo, pastore, sposo)» (ib.). Ed infatti «è forse diviso il Cristo?» (1 Cor 1,13). Non è quindi possibile «considerare l'episcopato, il sacerdozio e il diaconato come tre realtà sacramentali totalmente autonome, giustapposte e paritarie. L'unità del sacramento dell'ordine sarebbe gravemente lesa» (Dep 428).

Ermeneutiche a confronto
Come interpretare allora l'Omnium in mentem? A me sembra che il suddetto documento esprima ancora una concezione lineare e sacerdotale del sacramento dell'ordine, piuttosto che una concezione triangolare e ministeriale, capace di mostrare un'ecclesiologia di comunione ed una Chiesa icona della Trinità. Infatti, affermare che solo presbiteri e vescovi agiscono in persona Christi Capitis è corretto se si riduce il ministero ordinato unicamente al sacerdotium, inteso come potere conficiendi eucharistiam, perché solo i presbiteri ed i vescovi possono consacrare l'Eucarestia, ma non i diaconi.
Ma il ministero ordinato non è solo sacerdotium. I munera del ministero ordinato sono tre: insieme al munus santificandi (che include il potere conficiendi eucharistiam) esistono anche il munus docendi ed il munus regendi. Si è già detto precedentemente che «vescovo, presbiteri e diaconi sono portatori del solo e medesimo sacramento dell'ordine, nelle loro specificità proprie e nella loro complementarietà: il sacramento configura ciascuno al Cristo, secondo uno dei molteplici aspetti della sua missione terrena ed eterna»26. Ciò significa che il diacono non può agire in persona Christi Capitis per consacrare l'Eucarestia, ma che agisce in persona Christi (Capitis) nel triplice munus con una specificità propria, diversa e complementare a quella del presbitero e del vescovo, senza essere legata ad «una concezione restrittiva riguardo a un "potere sui sacramenti"»27.
Affinché la Chiesa sia espressione concreta di un'ecclesiologia di comunione ed icona della Trinità, deve essere ridimensionata nel ministero ordinato «l'importanza del problema dei "poteri". Farne una questione una soluzione piuttosto riduzionista e snaturerebbe il vero senso del ministero ordinato. D'altra altra parte, la constatazione, già antica, che un laico può svolgere i compiti del diacono non ha impedito che, nella prassi ecclesiale, questo ministero sia stato considerato sotto ogni punto di vista come sacramentale. […] Anche se apparentemente si tratta delle stesse funzioni che esercita un fedele non ordinato, ciò che rimane decisivo sarebbe "l'essere" piuttosto che il "fare": nell'azione diaconale si realizzerebbe una presenza particolare del Cristo Capo e Servo propria della grazia sacramentale» (Dep 443-444).

(P. Violante è aspirante diacono permanente della diocesi di Nola, NA)



Note:

1 Conferenza Episcopale Italiana, Catechismo della Chiesa Cattolica (=CCC), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 19992, 1536.
2 Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, in Enchiridion Vaticanum 1, Edizioni Devoniane, Bologna 200619, 28.
3 Commissione Teologica Internazionale, Il diaconato: evoluzione e prospettive (=Dep), cit. in Enzo Petrolino, Enchiridion sul diaconato. Le fonti e i documenti ufficiali della chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, p. 436.
4 G. Frosini, «Ministeri», in G. Barbaglio, G. Bof, S. Dianich (ed.), Dizionario di Teologia, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo, 2002, p. 985.
5 Ivi, p. 992.
6 «Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, capo della Chiesa […]»: CCE, n. 1581; «[...] sacramento dell'Ordine, la cui funzione è di servire a nome e in persona di Cristo Capo in mezzo alla comunità»: CCE, n. 1591; «nel servizio ecclesiale del ministero ordinato è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa in quanto Capo del suo corpo [...]»: CCE, n. 1548.
7 Commissione Teologica Internazionale, Il diaconato: evoluzione e prospettive, o.c., p. 422-423.
8 Ivi.
9 F. Appiotti, Vecchio e nuovo a confronto, in Il diaconato in Italia, 161 (2010) 25.
10 A. Longhitano, Come leggere il Motu proprio?, in Il diaconato in Italia, 161 (2010) 27.
11 A. Borras - B. Pottier, La grazia del diaconato. Questioni attuali a proposito del diaconato latino, Cittadella Editrice, Assisi 2005, p. 29.
12 Pontificale romano riformato a norma del Concilio ecumenico Vaticano II, promulgato da papa Paolo VI riveduto da Giovanni Paolo II. Ordinazione del vescovo, dei presbiteri, dei diaconi, LEV, Città del Vaticano 1992.
13 L. Napoleone, Ecclesiologia del servizio. I diaconi nella Chiesa, Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2010, p. 78.
14 Ib., 79
15 A. Borras - B. Pottier, La grazia del diaconato, o.c., 29.
16 Ib., 31.
17 Ib., 100.
18 Ib., 84.
19 Ib., 101.
20 L. Napoleone, Ecclesiologia del servizio, o.c., p. 58, 60.
21 Ignazio di Antiochia, Lettera ai Tralliani, cit. in Enzo Petrolino, Enchiridion sul diaconato. Le fonti e i documenti ufficiali della chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, p. 37.
22 A. Borras - B. Pottier, La grazia del diaconato, o.c., p. 101-102.
23 Ib., 102.
24 Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Omnium in mentem, cit. in F. Appiotti, Vecchio e nuovo a confronto, in Il diaconato in Italia, 161 (2010) 25.
25 Ivi.
26 A. Borras - B. Pottier, La grazia del diaconato, o.c., p. 102.
27 Ib., p. 104.




----------
torna su
torna all'indice
home