Prefazione

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da Come il Padre ha amato me...
365 pensieri per l'anno sacerdotale
4. primavera: le prospettive


«In un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda come segno profetico di unità e di pace», domanda la preghiera eucaristica V/d in un passaggio che sorprende e non può non invitare ad una riscoperta stessa dell'Eucaristia. Appare come una ripresa dilatata di quanto viene chiesto nella preghiera eucaristica II: «Per la comunione al corpo e al sangue del Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo». Chiesa e umanità sono tra loro intrecciate: e ciò che si opera nella Chiesa dovrebbe essere il "segno efficace" di ciò che si sviluppa, come attesa e come prospettiva, nell'umanità intera. Non per nulla il Concilio Vaticano II definisce la Chiesa «sacramento dell'intima unione con Dio e dell' unità di tutto il genere umano».
E se il Concilio ancora invita a guardare alla Chiesa come il "popolo di Dio" in cammino nella storia, ciò che compagina questo popolo non sono delle norme legislative o amministrative, ma una realtà di vita che crea un "corpo". I cittadini di questo popolo sono così articolati tra loro che la funzione dell'uno è essenziale per l'altro e, in questo senso, ciò che è dell'uno è anche dell'altro.
Basterebbe questo per dare volto nuovo all'intreccio di popoli, lingue, culture, etnie che costituisce l'umanità: una "bellezza" unica! La bellezza di manifestarsi reciprocamente ciò che si è: "figli" dell'unico Padre!
E per che cosa ci fa ringraziare l'Eucaristia se non «di averci ammessi al tuo cospetto a compiere il nostro servizio sacerdotale»? Un servizio che è "nostro" e "sacerdotale" perché insieme ci si rivolge al Padre e perché insieme si è lì a nome di tutti gli esseri umani.
In quest'ottica il ruolo del presbitero assume tutta la sua "grandezza", non perché è unica la sua dignità, ma perché coagula in sé una prospettiva di vita che va al di là della sua persona, della sua comunità, della Chiesa stessa.
Si spalanca allora per i ministri la prospettiva di una sintesi nuova e radicata, al tempo stesso, nella più pura tradizione. Benedetto XVI l'ha racchiusa all'inizio dell'Anno Sacerdotale in due avverbi: «umilmente e autorevolmente». Dove l'umiltà coincide con la scoperta di essere in cammino insieme ad un "popolo", che è "di Dio" e che da Dio riceve tutta la connotazione di "sacerdotale", e l'autorevolezza è la coscienza di non essere assimilato a un ruolo puramente "sociale".
«Dono di sé agli altri - secondo le parole di Giovanni Paolo II - nel servizio umile e disinteressato che Gesù ha proposto a tutti come programma di vita con la lavanda dei piedi».

Tonino Gandolfo
Hubertus Blaumeiser



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