Fratelli tra i fratelli

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da Come il Padre ha amato me...
365 pensieri per l'anno sacerdotale
2. autunno: l'agire


Novembre
19 Dimora nella luce
20 Duplice comunione
21 Il fratello "parte" di me
22 Chiesa: oltre la solitudine
23 A immagine di Dio Trinità
24 Chiesa famiglia
25 Discepoli e fratelli
26 Un solo Maestro
27 Segno efficace del Cristo
28 Un dinamismo d'amore
29 Maria tipo della Chiesa
30 Laici corresponsabili

Dicembre
1 Distinzione, non ineguaglianza
2 Matrimonio, verginità, sacerdozio
3 I diaconi: segno di Cristo servo
4 Cento case, cento fratelli
5 Sul modello della prima Chiesa
6 Compartecipazione ai beni materiali
7 Per la famiglia universale
8 Maria, Fiore dell'umanità
9 Questione di credibilità
10 Innamorati dell'unità
11 Essere prete è relazione
12 Riscoprire il presbiterio
13 Fraternità in scelte concrete
14 Una certa vita comune
15 Come Nazareth
16 Giovani e anziani
17 Un futuro dalla comunione
18 I volti della carità



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19 Novembre – Dimora nella luce

Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto fin da principio.
E tuttavia è un comandamento nuovo quello di cui vi scrivo.
Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v'è in lui occasione di inciampo.

Prima lettera di Giovanni
2,7.8.10

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20 novembre - Duplice comunione

L'idea della comunione come partecipazione alla vita trinitaria è illuminata con particolare intensità nel Vangelo di Giovanni. Nel tempo del pellegrinaggio terreno il discepolo, mediante la comunione col Figlio, può già partecipare della vita divina di Lui e del Padre: «La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1Gv 1,3).
Questa vita di comunione con Dio e fra noi è la finalità propria dell'annuncio del Vangelo, la finalità della conversione al cristianesimo: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi» (1Gv 1,2).
Quindi, questa duplice comunione con Dio e tra di noi è inseparabile. Dove si distrugge la comunione con Dio, che è comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, si distrugge anche la radice e la sorgente della comunione fra di noi. E dove non viene vissuta la comunione fra di noi, anche la comunione col Dio Trinitario non è viva e vera.

Benedetto XVI
Udienza Generale, 29 marzo 2006

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21 novembre - Il fratello "parte" di me

Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come "uno che mi appartiene", per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia.
Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un "dono per me", oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto.
Spiritualità della comunione è infine saper "fare spazio" al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie.

Giovanni Paolo II
Novo millennio ineunte 43

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22 novembre - Chiesa: oltre la solitudine

Si racconta che un infelice prete, alla sera della sua apostasia, abbia detto a un visitatore che si felicitava con lui: «Ormai non sono più che un filosofo, cioè un uomo solo». Riflessione amara, ma quanto giusta! Aveva lasciato la Dimora fuori della quale non ci sarà più per l'uomo che esilio e solitudine.
Molti non lo sentono, perché vivono (...) «abbarbicati al mondo come le alghe sulle rocce marine» (Clemente d'Alessandria) (...). O cercano per vie diverse, per tentare di ingannare la loro sete, qualche surrogato alla Chiesa. Ma chi comprende nel fondo del suo essere (...) la Chiamata che l'ha suscitato, capisce che né l'amicizia né l'amore né nessuno dei gruppi sociali che sostengono la sua esistenza può pacificare la sua sete di comunione (...).
Niente di ciò che l'uomo crea o di ciò che rimane sul piano dell'uomo strapperà l'uomo dalla solitudine. Questa addirittura si approfondisce di più nella misura che l'uomo scopre se stesso. Perché essa non è che il contrario della comunione alla quale è chiamato. Ne ha l'ampiezza e la profondità.

Henry de Lubac
Méditation sur l'Eglise, Paris 1968, pp. 194-195

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23 novembre - A immagine di Dio Trinità

La Chiesa è comunione, e la salvezza è vivere in comunione. (...)
La stessa cultura moderna sta mettendo in evidenza che la creatura umana può trovare la propria verità e affermare la propria singolarità unicamente nella comunione.
Comunione e non divisione, singolarità e non confusione rispecchiano appunto l'essere creato a immagine e somiglianza di quel Dio che la fede ci presenta trinitario. (...)
Che questa comunione dei cristiani nella Chiesa debba essere visibile è una precisa indicazione di Gesù: «affinché il mondo creda»; e non è che espressione sociale del mistero trinitario, che a sua volta è ciò che caratterizza il cristianesimo rispetto alle altre religioni.

Silvano Cola
Scritti e testimonianze, Gen's, Grottaferrata 2007, pp. 39-40.42

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24 novembre - Chiesa famiglia

Su invito di Gesù Cristo, il Maestro, la comunità dei suoi discepoli, che è la Chiesa, è diventata una Famiglia di figli e figlie del Padre (cf Mt 5, 16.45.48; 6, 26.32; 7,11).
L'amore vissuto dal Figlio unigenito diventa la caratteristica dei membri di questa Famiglia, chiamata a seguire l'esempio del fratello maggiore con il servizio fraterno o diakonia. In effetti, dopo aver lavato i piedi dei suoi discepoli, Gesù dichiara loro: «Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).

Sinodo dei Vescovi per l'Africa (2009)
Instrumentum laboris 40

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25 novembre - Discepoli e fratelli

I sacerdoti del Nuovo Testamento, anche se in virtù del sacramento dell'ordine svolgono la funzione eccelsa e insopprimibile di padre e di maestro nel Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sono tuttavia discepoli del Signore, come gli altri fedeli, chiamati alla partecipazione del suo regno per la grazia di Dio.
In mezzo a tutti coloro che sono stati rigenerati con le acque del battesimo, i presbiteri sono fratelli, membra dello stesso e unico corpo di Cristo, la cui edificazione è compito di tutti.
Perciò i presbiteri nello svolgimento della propria funzione di presiedere la comunità devono agire in modo tale che, non mirando ai propri interessi ma solo al servizio di Gesù Cristo, uniscano i loro sforzi a quelli dei fedeli laici, comportandosi in mezzo a loro come il Maestro, il quale fra gli uomini «non venne ad essere servito, ma a servire e a dar la propria vita per la redenzione della moltitudine» (Mt 20,28).

Concilio ecumenico Vaticano II
Presbyterorum ordinis 9

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26 novembre - Un solo Maestro

La sapienza del Vangelo non comporta caste: un'umile ancella ne può sapere più di un teologo; il curato d'Ars più di Lamennais. «Uno solo è il vostro Maestro, e voi siete tutti fratelli», ha detto Gesù: e per essere tutti fratelli uno solo deve essere il Maestro, come unico è il Padre. E il suo magistero è questo: che si è tutti fratelli. A buon conto, chi ha funzioni più alte è posto più in basso: i criteri verso il mondo sono capovolti perché il livello dell' amore resta quello della fraternità.
Sotto questa grazia, questa generosità opera un'ascesi radicale: o tutto o niente. Chi accetta (...), accetta il Vangelo: lascia padre, madre, campi, l'anima stessa, per empire il vuoto con lo Spirito di Dio; e prende la croce, per domare l'Io.

Igino Giordani
Memorie di un cristiano ingenuo, Città Nuova, Roma 2005 4, p. 159

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27 novembre -Segno efficace del Cristo

Il sacerdote deve essere vicino alla comunità, deve vivere con gli uomini, capirli e farsi uno con loro; ma questo spogliamento, questa semplicità dell'essere cristiano fra i cristiani, dirà qualche cosa, rappresenterà l'amore di Cristo veramente, soltanto se il sacerdote, pur essendo vicino agli uomini con modestia e semplicità, porterà in sé tutta la grandezza e l'altezza del suo mandato e del carattere sacramentale del suo ministero.
Solo così egli è segno efficace e presenza del Cristo che spogliò se stesso.

Klaus Hemmerle
Il sacerdote oggi, Gen's 12 (l982/6) p. 11

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28 novembre - Un dinamismo d'amore

I pastori non sono separati dal gregge, ne fanno parte, soggetti come sono, anch'essi, a tutte le esigenze della vocazione cristiana. Il loro ministero non li autorizza affatto a formare una casta a parte; anzi, li pone a servizio della comunione in mezzo a tutti.
Quanto al sacerdozio comune, sarebbe alterarlo il ridurlo alla pratica di un culto individuale (...). Poiché il culto cristiano consiste nel trasformare il mondo per mezzo della carità divina, suo compito principale è di stabilire e di favorire la comunione. Unendosi con una vita d'amore al movimento dell'offerta di Cristo, il popolo sacerdotale mette in atto un dinamismo d'amore che si propaga nel mondo e lo trasforma progressivamente. Questo compito, è chiaro, ha più rapporto con un'attività mediatrice che con le offerte rituali concepite alla maniera del culto antico. Sta di fatto però che non è attuabile senza la mediazione sacerdotale di Cristo, e questa non può essere accolta se non si manifesta. Onde l'esigenza di un ministero, nel quale si rende visibile e operante.

Albert Vanhoye
Sacerdoti antichi e nuovo sacerdote, Elledici, Leumann (Torino) 1990, p. 243

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29 novembre - Maria tipo della Chiesa

Maria, laica come noi laici, sta a sottolineare che l'essenza del cristianesimo è l'amore e che anche sacerdoti e vescovi, prima di essere tali, devono essere dei veri cristiani, dei crocifissi vivi, come lo fu Gesù che sulla croce fondò la sua Chiesa.
Maria, mettendo in rilievo inoltre nella Chiesa l'aspetto fondamentale dell'amore che la rende "una", presenta al mondo la Sposa di Cristo quale Gesù l'ha desiderata e tutti gli uomini d'oggi l'attendono: carità ordinata, carità organizzata. E solo sottolineando questo suo fondamentale aspetto, la Chiesa oggi può adempiere degnamente la funzione di contatto e dialogo col mondo, al quale spesso interessa meno la Gerarchia, ma che è sensibile alla testimonianza dell'amore nella Chiesa, anima del mondo.

Chiara Lubich
La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2009 2, p. 174

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30 novembre - Laici corresponsabili

Occorre (...) migliorare l'impostazione pastorale, così che, nel rispetto delle vocazioni e dei ruoli dei consacrati e dei laici, si promuova gradualmente la corresponsabilità dell'insieme di tutti i membri del Popolo di Dio. Ciò esige un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli "collaboratori" del clero a riconoscerli realmente "corresponsabili" dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato.
Questa coscienza comune di tutti i battezzati di essere Chiesa non diminuisce la responsabilità dei parroci. Tocca proprio a voi, cari parroci, promuovere la crescita spirituale e apostolica di quanti sono già assidui e impegnati nelle parrocchie: essi sono il nucleo della comunità che farà da fermento per gli altri.

Benedetto XVI
Convegno Pastorale della Diocesi di Roma, 26 maggio 2009

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1° dicembre - Distinzione, non ineguaglianza

Uno solo è il Popolo eletto di Dio (...); comune la grazia dei figli, comune è la vocazione alla perfezione, una sola la salvezza, una sola la speranza e una carità senza divisione. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa (...). Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli per l'edificazione del Corpo di Cristo. (...)
Così nella varietà tutti danno testimonianza della mirabile unità del Corpo di Cristo (...), in modo che sia da tutti adempito il nuovo precetto della carità. A questo proposito dice molto bene sant'Agostino: «Se mi atterrisce l'essere per voi, mi consola l'essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza».

Concilio Vaticano II
Lumen Gentium 32

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2 dicembre - Matrimonio, verginità, sacerdozio

Sacerdozio e verginità e matrimonio sono i tre lati d'un triangolo isoscele: due che s'alzano al cielo, puntando su Dio e in Lui incontrandosi; il terzo, che si stende sulla terra e generando sacerdoti e vergini, per loro, comunica col cielo. Gli uni trasportano grazie da Dio; l'altro le incarna nell'umanità; e reciprocamente aduna dalla umanità le istanze che per quei due tramiti fa salire al cielo. Triade di smistamento del divino nell'umano e dell'umano nel divino.
Se vi passa l'amore, sono tre e sono uno: sono il viadotto di Dio, per continuare l'Incarnazione del Figlio. E nell'amore, sono uniti e distinti: tutti apparteniamo al sacerdozio; tutti, come Chiesa che è vergine, partecipiamo la verginità spirituale; tutti siamo anime spose di Cristo.

Igino Giordani
Diario difuoco, Città Nuova, Roma 2005 10, p. 120

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3 dicembre - I diaconi: segno di Cristo servo

I diaconi sono consacrati e mandati al servizio della comunione ecclesiale, sotto la guida del vescovo con il suo presbiterio.
Come il Popolo di Dio al quale sono dedicati, i diaconi trovano la loro norma permanente e la loro identità fondamentale nella fedeltà al Vangelo e, illuminati dai segni dello Spirito, vivono e realizzano la loro missione in modalità che variano secondo il contesto storico concreto entro cui essa si svolge.
Proprio attraverso questa disponibilità essi sono chiamati a esprimere, secondo la loro grazia specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro sacerdozio, e animando con essi, mediante la Parola, i sacramenti e la testimonianza della carità, quella diaconia che è vocazione di ogni discepolo di Gesù e parte essenziale del culto spirituale della Chiesa.

Conferenza Episcopale Italiana
I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia, n. 8

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4 dicembre - Cento case, cento fratelli...

Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?».
Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi».
Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.
Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli».
Pietro, prendendo la parola, disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?».
E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele.
Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Vangelo di Matteo
19, 20-23.27-29

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5 dicembre - Sul modello della prima Chiesa

È indispensabile che [i sacerdoti] sappiano esaminare attentamente alla luce della fede tutto ciò che si trova sul loro cammino, in modo da sentirsi spinti a usare rettamente dei beni in conformità con la volontà di Dio (...).
Non trattino l'ufficio ecclesiastico come occasione di guadagno, né impieghino il reddito che ne deriva per aumentare il proprio patrimonio personale. (...)
Anzi, essi sono invitati ad abbracciare la povertà volontaria, con cui possono conformarsi a Cristo in un modo più evidente ed essere più disponibili per il sacro ministero.
Cristo infatti da ricco è diventato per noi povero, affinché la sua povertà ci facesse ricchi. Gli apostoli, dal canto loro, hanno testimoniato con l'esempio personale che il dono di Dio, che è gratuito, va trasmesso gratuitamente e hanno saputo abituarsi tanto all'abbondanza come alla miseria. Ma anche un certo uso comune delle cose - sul modello di quella comunità di beni che vanta la storia della Chiesa primitiva - contribuisce in misura notevolissima a spianare la via alla carità pastorale.

Concilio ecumenico Vaticano II
Presbyterorum ordinis 17

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6 dicembre - Compartecipazione ai beni materiali

La stessa certezza della radicalità della presenza di Dio nell'altro che favorisce la comunione (interscambio) tra persona e persona, postula pure la compartecipazione ai beni materiali.
La comunione dei beni - il fenomeno forse socialmente più nuovo e significativo della prima comunità cristiana - non può considerarsi un optional (...), è la prova effettiva (...) della personale risposta all'amore di Dio e quindi dell'amore al prossimo.
Anche questo è un modo di perdere per essere: ci si stacca dagli idoli per entrare nella comunione. Nel momento in cui un prossimo ha bisogno, se io ho e non do, sono - direbbero i Padri della Chiesa - un omicida; dare a chi non ha vuol dire restituire a Dio quel che è suo.

Silvano Cola
Scritti e testimonianze, Gen's, Grottaferrata 2007, p. 66

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7 dicembre - Per la famiglia universale

La chiamata di Gesù implica qui, chiaramente, il distacco dalla famiglia naturale come condizione per entrare a far parte di una nuova famiglia, soprannaturale. Gesù non dice che non si debba amare il padre e la madre, di non onorarli - non uno jota o un apice della Legge devono cadere -; è che la vocazione implica il distacco totale dalla famiglia per andare ad annunciare il regno di Dio.
È qui, mi sembra, che troviamo implicito il legame profondo tra la chiamata sacerdotale e il celibato, perché il distacco dalla famiglia particolare è implicito nella vocazione a seguire Gesù per il bene della famiglia universale.
Visto così, il celibato non è una rinuncia; possiamo vederlo negativamente solo se non mettiamo chiaramente in evidenza che colui che è chiamato è destinato a diventare in Gesù "padre di tutti i credenti", a generarli fratelli di tutta la famiglia umana.

Pasquale Poresi
Problematica d'oggi nella Chiesa, Città Nuova, Roma 1970, pp. 95-96

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8 dicembre - Maria, Fiore dell'umanità

Tutta l'umanità fiorisce in Maria. Maria è il Fiore dell'umanità. Ella, l'Immacolata, è il Fiore della Maculata.
L'umanità peccatrice è fiorita in Maria, la tutta bella!
E, come il fiore rosso è grato alla piantina verde con le radici e il concime che la fece fiorire, così Maria è, perché vi fummo noi peccatori, che costringemmo Dio a pensare a Maria.
Noi dobbiamo a Lei la salvezza, Ella la vita sua a noi.
Che bella, Maria! È la creazione che va in fiore, la creazione che va in bellezza. Tutta la creazione fiorita, come la chioma di un albero, è Maria. Dal Cielo Dio s'innamora di questo Fiore dei fiori, l'impollina di Spirito Santo e Maria dà al Cielo ed alla terra il Frutto dei frutti: Gesù.

Chiara Lubich
Maria, trasparenza di Dio, Città Nuova, Roma 2003, pp. 86-87

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9 dicembre - Questione di credibilità

Oggi, come forse mai prima, la credibilità del ministero sacerdotale dipende da come il singolo sacerdote vive radicato in un'unità vissuta, in una forma di vita nella quale il servizio sacerdotale riesce ad essere una testimonianza comune, con il Signore stesso, unico Sacerdote, in mezzo. Il sacerdote, se deve essere specialista, lo deve essere nella communio, nell'unità. La spiritualità e la forma di vita del sacerdote sono quelle dell'unità. (...)
Ma un tale servizio all'unità e per l'unità, il sacerdote non lo può fare se vive isolato. Soltanto vivendo dell'unità col suo vescovo e nell'unità del presbiterio, potrà rendere manifesto che non è lui che opera e parla, ma il Signore.

Klaus Hemmerle
Il sacerdote oggi, Gen's 12 (1982/6) p. 12

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10 dicembre - Innamorati dell'unità

È necessario, con l'aiuto divino, vivere al servizio dell'unità, esserne innamorati, essere suoi servi, suoi apostoli, suoi profeti e suoi martiri. Ecco quindi, negli ambienti di vita o di lavoro nei quali Dio ci fa muovere:
a) la necessità di non dire e non fare nulla che serva la causa della disunione, che promuova intrighi, provochi sfiducia o freddezza;
b) l'attenzione a non lasciarsi trascinare dal padre della perfidia e dai suoi messaggeri, a volte persone virtuose e buoni amici usati dal Maledetto;
c) la gioia di risolvere i litigi, di promuovere l'unione, di portare a scoprire il lato buono delle creature, di servire il dialogo.
Per consumarsi, la sete di unità deve includere tutte le creature di tutti i tempi e di tutti i luoghi, di tutte le razze, tutti i partiti, tutti i credo.

Dom Helder Camara
Roma, due del mattino. Lettere dal Condio Vaticano II, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, p. 135

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11 dicembre - Essere prete è relazione

Don Marco è un'ottima persona dal punto di vista del prete fedele ai suoi impegni, a cominciare dalla castità celibataria e dalla vita di preghiera, è parroco zelante e annunciatore convinto della sacra dottrina. Ma vacci a parlare assieme se ci riesci, o stacci un po' assieme. È buono e bravo "in sé", ma rovina tutto quando entra in relazione.
Chissà di quanti preti si potrebbe dire più o meno così! Ebbene, in questi casi la valutazione potrebbe esser anche peggiore: non esiste prete buono in sé e poi scadente nella vita di relazione, o promosso in vita interiore-privata e bocciato (o rimandato) in vita sociale-relazionale. (...)
La relazione è dimensione costitutiva dell'essere umano, di qualsiasi persona, tanto più di chi ha scelto di offrire la propria vita per annunciare la salvezza. Annuncio è relazione, salvezza è relazione, esser prete è relazione. (...)

La relazione non è un accidens... ma sostanza dell'essere e del diventare uomini; uomini sani; preti veraci; seguaci credibili.

Amedeo Cencini
La grazia della relazione, Presbyteri (2007/6) pp. 437-438

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12 dicembre - Riscoprire il presbiterio

Tutti noi veniamo da una concezione e da una formazione individualistica dell'Ordine dovute all'occultamento del presbiterio fin dal secolo IV. (...) L'ecclesiologia di comunione e di missione impone di parlare del prete con altre categorie, ma soprattutto ripropone l'istanza del presbiterio inteso nella sua pregnanza teologica e pastorale. La verità assodata, ma poco assimilata e vissuta, è che l'evento sacramentale dell'ordinazione forma un unico presbiterio (PO 8). Affermazione che richiede una conversione, nuove forme presbiterali e scelte pastorali.
Nessun presbitero infatti può realizzare appieno la sua missione «se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri presbiteri, sotto la guida di coloro che governano la Chiesa» (PO 7).

Commissione Presbiterale Lombarda
Una lettura dell'esperienza presbiterale, Rivista Settimana (2001/8) pp. 8-9

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13 dicembre - Fraternità in scelte concrete

Animati da spirito fraterno, i presbiteri non trascurino l'ospitalità, pratichino la beneficenza e la comunità di beni avendo speciale cura di quanti sono infermi, afflitti, sovraccarichi di lavoro, soli o in esilio, nonché di coloro che soffrono la persecuzione. È bene che si riuniscano volentieri per trascorrere assieme serenamente qualche momento di distensione e riposo (...).
Inoltre, per far sì che i presbiteri possano reciprocamente aiutarsi a fomentare la vita spirituale e intellettuale, collaborare più efficacemente nel ministero ed eventualmente evitare i pericoli della solitudine, sia incoraggiata fra di essi una certa vita comune o una qualche comunità di vita, che può naturalmente assumere forme diverse, in rapporto ai differenti bisogni personali o pastorali: può trattarsi, cioè, di coabitazione là dove è possibile, oppure di una mensa comune, o almeno di frequenti e periodici raduni.

Concilio ecumenico Vaticano II
Presbyterorum ordinis 8

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14 dicembre - Una certa vita comune

Non si raccomanderà mai abbastanza ai sacerdoti una certa loro vita comune tutta tesa al ministero propriamente spirituale; pratica di incontri frequenti con fraterni scambi di idee, di consigli e di esperienze tra confratelli; l'impulso alle associazioni che favoriscono la santità sacerdotale.
Riflettano i sacerdoti al monito del Concilio Vaticano II, che li richiama alla comune partecipazione nel sacerdozio perché si sentano vivamente responsabili nei confronti dei confratelli turbati da difficoltà, che espongono a serio pericolo il dono divino che è in essi.
Si sentano ardere di carità per coloro, che hanno più bisogno di amore, di comprensione, di preghiere, di aiuti discreti ma efficaci, e che hanno titolo per contare sulla carità senza limiti di quelli che sono e devono essere i loro più veri amici.

Paolo VI
Sacerdotalis caelibatus 80-81

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15 dicemhre - -Come Nazareth

Essere una cosa sola significa fare famiglia tra noi, quel tipo di famiglia di cui è modello in terra la famiglia di Nazareth, una convivenza di vergini, soprannaturale sì, ma anche la più umana che si possa immaginare perché ha come unico vincolo quella carità umano-divina che sazia e supera le esigenze di qualunque affetto umano. (...) E se siamo famiglia si risolverà anche il problema dei sacerdoti anziani, perché è assurdo e contrario al comandamento di Gesù permettere che un parroco, perché vecchio o malato, debba vivere abbandonato alla sua solitudine o nell'anonimato. (...)
Questa famiglia è bella e attraente, perché in essa risplende l'armonia dell'uno; è casa aperta a confratelli e seminaristi, centro di comunione, perché dove vive Gesù non si sente lo stacco fra generazioni: Gesù è il sempre attuale, il sempre moderno; è il Logos di Dio, il teologo, è la Sapienza continuamente generata sulla terra da chi rivive Maria.

Silvano Cola
Scritti e testimonianze, Gen's, Grottaferrata 2007, p. 24

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16 dicembre - Giovani e anziani

Ho visto parroci e cooperatori-vicecurati diversissimi di carattere, di formazione, di età... ma di buono spirito: poco a poco per la buona volontà giunsero ad intimità, a completarsi nel lavoro pastorale, ad amore e concordia edificanti nella popolazione. Fino a qui: meditazione in comune; confessarsi vicendevolmente; divisione equa dei proventi del ministero; il giovane fatto esperto dall'anziano, l'anziano sostenitore delle iniziative del giovane. (...)
Il sacerdote anziano: illumina, istruisce, mostra confidenza, gli presenta un ambiente santo; accoglie e tratta il sacerdote come cooperatore; lo assiste amorevolmente e lo corregge dignitosamente; gli mostra fiducia e ha l'ambizione di formare un futuro parroco o forse anche il suo successore; svolge in lui tutte le buone doti; soprattutto lo ama e ne cerca il vero bene.
Il sacerdote giovane: è umile, sottomesso, parla in bene; si offre alle opere, si lascia guidare, diffonde e difende la persona e l'opera pastorale; compie il bene che è possibile e si prepara alle opere e a un ministero futuro più largo.

Giacomo Alberione
Don Alberione ai sacerdoti, Vita pastorale (Supplemento) 1996, p. 104

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17 dicembre - Un futuro dalla comunione

È importante avere intorno a sé la realtà del presbiterio, della comunità dei sacerdoti che si aiutano, che stanno insieme in un cammino comune.
Questo mi sembra importante anche perché se i giovani vedono sacerdoti molto isolati, tristi, stanchi, pensano: se questo è il mio futuro, allora non ce la faccio.
Si deve creare realmente questa comunione di vita che dimostra ai giovani: sì, questo può essere un futuro anche per me, così si può vivere.

Benedetto XVI
Ai sacerdoti della diocesi di Aosta, 25 luglio 2005

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18 dicembre - I volti della carità

Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno,
gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Rallegratevi con quelli che sono nella gioia,
piangete con quelli che sono nel pianto.
Abbiate i medesimi sentimenti
gli uni verso gli altri;
non aspirate a cose troppo alte,
piegatevi invece a quelle umili.
Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi.
Non rendete a nessuno male per male.
Cercate di compiere il bene
davanti a tutti gli uomini.

Lettera ai Romani
12, 9-10.14-18


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