Corpus Domini (B)


ANNO B - 14 giugno 2009
SS. Corpo e Sangue del Signore

Es 24,3-8
Eb 9,11-15
Mc 14,12-16.22-26

NELL'UOMO-DIO
È SIGILLATO UN PATTO

Il vangelo scelto per l'odierna solennità, come appare bene dalla sequenza dei versetti, è stato decurtato della sua parte centrale rendendone più difficile la comprensione globale. Passiamo, infatti, dalla scena preparatoria (vv. 12-16) alla cena vera e propria (vv. 22-26) senza poter udire il vero preludio all'istituzione dell'eucaristia. Tale preludio non è certo la semplice scelta e preparazione della sala. Il vero e decisivo antefatto è l'annuncio del traditore fra i Dodici. Due del gruppo certo individuano e preparano la sala. Ma Giuda ha fatto molto di più per "preparare la Pasqua": a causa sua quella sarà l'ultima cena consumata da Gesù con i suoi discepoli. L'eucaristia non avrebbe potuto essere istituita senza un luogo concreto dove celebrarla.
Ma l'annuncio del tradimento, come anche quello del rinnegamento di Pietro subito dopo (vv. 27-31) sono il luogo spirituale da dove comprendere i gesti e le parole del Messia. Marco, come anche gli altri evangelisti, ci impediscono così di pensare in modo romantico e idealizzato il dono che Gesù fa di sé. Non esiste infatti un dono che non comporti un destinatario. Chi lo riceve si trova a essere in debito nei confronti del donatore. Dunque la risposta al dono non è certamente secondaria. Ebbene se il tradimento precede, il rinnegamento segue alle parole con cui Gesù istituisce il sacramento che compendia in sé il supremo amore effuso dal Padre sull'umanità. Questa è la premessa e la risposta al dono. Nulla che lo giustifichi o lo assecondi. Esso è pura gratuità.

Se anche non verranno letti i fondamentali versetti 17-21 non dimentichiamo quale luce crepuscolare colora quest'ultimo pasto, tutt'altro che fraterno. È a questo "darsi" senza alcuna reciprocità che Gesù va consapevolmente incontro. Come mostrano i vv. 12-16, il Maestro non è un mago che preconosce gli eventi come se davanti a sé avesse il filmato di quanto sta per accadere. Egli piuttosto offre e consegna se stesso in piena coscienza e libertà. Gesù non verrà arrestato grazie alla perfetta riuscita del piano di Giuda, ma perché egli sceglie di introdurre un nuovo lievito «nel primo giorno degli Azzimi» (v. 12). La Pasqua era il tempo del lievito nuovo. Il Cristo, chicco di grano deposto nel grembo della terra, è anche quel lievito capace di far fermentare la storia intera. Ciò non avverrà senza spargimento di sangue: il primo giorno degli Azzimi è anche il giorno dell'immolazione degli agnelli pasquali. Si tratta allora di salire al «piano superiore» (v. 17), luogo della cena, dove solo è possibile comprendere la ricchezza dei misteri di Dio. La preparazione allora è essenziale. In pochi versetti, il verbo "preparare" ritorna quattro volte. È il modo in cui possiamo permettere alla celebrazione di raggiungerei veramente e coinvolgerei così come Cristo si lasciò totalmente immergere nel gesto che compì. L'uomo con la brocca d'acqua, guida alla stanza superiore, richiama fortemente il battesimo. Esso domanda l'eucaristia: il Padre che ci ha resi suoi figli ora desidera nutrirci attraverso la vita del suo Figlio donata per noi. Se il cammino battesimale non culmina nel pasto offerto dal Cristo è un cammino incompiuto.

La vita nuova che può crescere in noi è descritta dai quattro esemplari verbi pronunciati in sequenza da Gesù. L'unico modo vero di "prendere" qualcosa è "benedirlo". Se benedico ciò che afferro è come se non lo avessi preso davvero. Riconosco il Padre, fonte di ogni dono, come origine di ciò che tengo fra le mani. Lui me l'ha donato perché Dio è puro dono. Se da Lui l'ho ricevuto, allora posso condividere, "spezzando" e "dando". Tutto abbiamo ricevuto. Tutto siamo chiamati a benedire perché possiamo comprendere e spezzare per condividere. I quattro verbi eucaristici sono la dinamica della vita nella sua ultima verità. Gesù li applica al pane, non al frumento.
Il pane è frumento raccolto, impastato e cotto. Dentro c'è tutto il lavoro dell'uomo, il suo sudore, la sua fatica e anche coloro per i quali fatica. Il pane è segno di ciò che vogliamo non manchi mai ai nostri familiari. Riassume il senso del nostro lavoro e del nostro amore per coloro ai quali dedichiamo la fatica che compiamo. Potremmo dire che Cristo prendendo il pane non raccoglie nel suo sacrificio solo la natura creata, ma anche la cultura umana, con la propria forza e creatività. Quel pane è il suo corpo, protagonista di tutto il Vangelo, corpo speso, dunqule spezzato, a favore di ogni bisognoso e peccatore. È il corpo che sanò paralitici, guarì sordi, muti e ciechi. È il corpo che incarnò la sollecitudine come forma della vita. Noi siamo chiamati a nutrirci di quel corpo per assumerne lo stile esistenziale. Con l'offerta del vino in quanto sangue dell'alleanza Gesù rompe un fondamentale divieto veterotestamentario. Non si può bere il sangue di un essere vivente perché il sangue è la vita e la vita appartiene a Dio. L'interdetto risale addirittura all'alleanza noachica. Ma qui tutto muta. Dobbiamo bere il sangue perché, ancora, in noi, scorra quella stessa vita. L'eucaristia è una sorta di trasfusione. Il testo di Esodo indicato come prima lettura si compie oltre ogni immaginazione.



VITA PASTORALE N. 5/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)


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