Domenica delle Palme
Is 50,4-7
Fil 2,6-11
Mc 14,1-15,47
NELLA CROCE DI CRISTO
DIO GIUDICA IL MONDO
Il vangelo di Marco è stato definito, e tale si presenta al suo lettore, come un «racconto di passione morte e risurrezione, preceduto da una lunga introduzione». Già in Mc 3,6 la prospettiva della morte di Gesù compare con forza a dare direzione a tutto il racconto. La struttura stessa del vangelo e il rapporto fra tempo della storia e tempo del racconto indicano che ci troviamo nella sezione centrale della vicenda narrata. Gli ultimi tre capitoli raccontano i fatti accaduti in 4 giorni, quando i 13 che precedono coprono, con tutta probabilità, se accettiamo la cronologia giovannea delle tre Pasque, tre anni di ministero pubblico. La domenica di Passione di questo anno B non ci presenta allora la conclusione della vicenda di Gesù e neppure un racconto semplicemente forte e toccante.
Siamo di fronte alle pagine che, da sole, costituirono il primo vangelo della Chiesa, lieto annuncio del passaggio compiuto da Cristo, risorto a vita nuova. Inutile sottolineare come queste pagine non possano essere gustate e meditate una sola domenica all'anno. Dimenticarle rende la lettura evangelica e la predicazione necessariamente moralistica e superficiale. Ogni pagina marciana che ascolteremo nelle domeniche del tempo ordinario va ancorata a questo decisivo racconto. Il testo marciano è noto per la sua durezza e crudezza. A differenza di Matteo e Luca, per fermarci ai Sinottici, non ha sottolineature particolari. Anche solo storicamente risulta difficile comprendere come sia potuto morire nel modo narrato da Marco un innocente. Per questo, meditare la passione non è mai stato semplice, anche per la Chiesa primitiva. La morte di Gesù comporta un'inspiegabile serie di errori, di decisioni affrettate e maldestre, di reazioni a catena e palleggiamenti di responsabilità. Non c'era reale motivo perché Gesù morisse.
La sentenza fu fissata in partenza. Poi si reperirono le prove. La narraziqne comunica il senso di una sconcertante assurdità. È imbarazzante ascoltare come si sia giunti così velocemente alla sentenza in una confusione di passioni, di sbagli e di paure. L'evangelista si dilunga particolarmente nel racconto proprio per far comprendere gradualmente una catena di fatti tragici e drammatici. Ma l'esito non è forse sempre disarmante quando coincide con la morte? Cosa può avere di grande una morte? Non c'è situazione in cui un uomo è meno se stesso della morte. Un cadavere ha un'espressione banale o goffa o tormentata o incredula. L'uomo morto rappresenta qualcosa che non dovrebbe essere. Pensare che questa realtà, il non-senso per la vita è stata affrontata dal Signore Gesù costituisce appunto il mistero dei misteri. Come Gesù, ossia la vita stessa, abbia voluto ridursi a tutte le degradazioni umane insite e precedenti alla morte, è inspiegabile. Eppure, a più riprese, il racconto sottolineerà come Gesù sia andato volontariamente e coscientemente incontro a questo mistero di non-senso. Si pensi all'ultima cena e alla scena del Getsemani. Gesù non ha voluto tirarsi indietro davanti a nessuna conseguenza del suo essere con noi.
Anche per noi fino a che le sofferenze non hanno una accettazione cosciente e libera non possono aver senso. Ci sono sofferenze leggere facili da tollerare che offriamo con leggerezza per altri. Ma ce ne sono altre in cui vediamo affacciarsi pesantemente il non senso. A volte, la cosa più pesante a cui acconsentire è costituita proprio da noi stessi e dalle nostre contraddizioni. Lo scandalo della Croce fu dunque tale da esigere una profonda rilettura teologica. Progressivamente, i quattro evangelisti affinarono sempre di più questo racconto condendolo di teologia, fino al Cristo di Giovanni che non è altro che un monarca regnante dalla Croce. L'unica chiave di lettura potente nel racconto marciano è lo sfondo veterotestamentario: Gesù, attraverso la sua morte, ha compiuto le Scritture. Certamente di fronte a una fine così scandalosa, i discepoli scrutarono con passione le Scritture per trovarvi l'annuncio della morte violenta del Messia. Questo avrebbe voluto dire che quella morte non era fuori dal progetto di Dio.
Il racconto della passione in alcuni dettagli fu riletto proprio in base alle narrazioni dei Salmi, il testo certamente più presente in filigrana, dietro al racconto. L'idea era chiara: Gesù compiva e ripercorreva il destino di tutti i giusti perseguitati che nel salterio invocano Dio e a lui si affidano. Fra tutti eccelle il salmo 22. C'è una radicale differenza, tuttavia. Mentre nei salmi spesso l'orante invoca da Dio che si faccia giustizia e che la sua innocenza sia riconosciuta, mentre siano condannati i suoi avversari, nel racconto di Marco il giusto Gesù muore esattamente per i propri crocifissori, senza alcuna rivalsa, se non l'attuazione della loro salvezza. Siamo immersi nella totale solidarietà tra Dio e l'uomo. Nessuno è abbandonato. Quanto più forte è il peccato e la distanza tra la santità e il delitto, tanto più Cristo è accanto al malfattore. Il crocifisso, misteriosamente, trasforma coloro che gli sono vicini. È solo nell'attenta contemplazione della passione che possiamo sciogliere i nodi di situazioni difficili a comprendersi e chiarire il giudizio su situazioni ambigue. La passione è elemento di sicuro discernimento perché la Croce di Cristo è il giudizio di Dio sul mondo.
VITA PASTORALE N. 3/2009 (commento di Claudio Arletti,
presbitero della arcidiocesi di Modena-Nonantola)
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