XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (B)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO B - XXVIII Domenica del Tempo Ordinario


DOMENICA «GIOVANE RICCO»

Sapienza 7,7-11 • Salmo 89 • Ebrei 4,12-13 • Marco 10,17-30
(Visualizza i brani delle Letture)


1. Significato spirituale delle parole del Signore: «Vendi ciò che hai» (Clemente di Ales., Quis dives, 11-14)
2. Le esigenze della perfezione cristiana (Giovanni Cassiano, Collationes, 21, 5, 1-3; 6, 1; 7, 2)
3. L'insegnamento della Legge (Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 12, 5)
4. Se vuoi essere perfetto (Dal libro «Quale ricco si salverà?» di Clemente Alessandrino)


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1. Significato spirituale delle parole del Signore: «Vendi ciò che hai»

"Vendi ciò che hai" (Mt 19,21). Che significa? Non quello che alcuni ammettono così a prima vista, che cioè il Signore ci comandi di far getto dei beni posseduti e di rinunciare alle ricchezze; ci comanda piuttosto di bandire dall'anima i pensieri usuali sulla ricchezza, la passione morbosa verso di essa, le preoccupazioni, le spine dell'esistenza che soffocano il seme della vita. Non è infatti nulla di grande e di desiderabile l'essere privi di ricchezze ma non per lo scopo di raggiungere la vita eterna: altrimenti i miserabili che non hanno nulla, che son privi di ogni mezzo, che mendicano ogni giorno il sostentamento, gli accattoni che giacciono per le vie e che pur non conoscono Dio e la giustizia di Dio, solo perché sono tanto poveri e non sanno procacciarsi da vivere e son privi anche del minimo necessario, dovrebbero essere i più beati e amati da Dio e i soli atti a possedere la vita.
Non è una novità rinunciare alle ricchezze ed elargirle ai poveri e ai mendici: molti l'han fatto, prima che il Salvatore scendesse quaggiù: alcuni per aver tempo di dedicarsi agli studi e alla sapienza morta, altri per una fama vuota ed una gloria vana: gli Anassagora, i Democrito, i Cratete.
Cos'è dunque la novità, da lui annunciata come qualcosa proprio di Dio, che solo vivifica e che non salvò gli antichi? Cos'è la rarità, cos'è la «nuova creazione», che il Figlio di Dio proclama e insegna? Non qualcosa di manifesto o che altri han già fatto egli ci prescrive, ma qualcosa d'altro, più grande, più divino e più perfetto, che da quella vien simboleggiato: liberare l'anima e la sua intima disposizione dalle passioni, e rescindere ed estirpare dalla radice ciò che è estraneo alla ragione. È questa la scienza propria dell'uomo di fede, è questo l'insegnamento degno del Salvatore. Quegli antichi disprezzarono le cose esteriori, rinunciarono ai loro beni e li distribuirono, ma son convinto che alimentarono così le passioni dell'anima. Crebbero nella superbia, nella millanteria, nella vanagloria, e nel disprezzo degli altri uomini, come se avessero compiuto qualcosa di sovrumano. E come potrebbe il Salvatore comandare a coloro che vivranno in eterno ciò che è di danno e di rovina per la vita che egli promette?
Inoltre è possibile anche questo: che uno deponga il peso dei propri possessi e tuttavia porti radicata e vivida in sé la brama e l'anelito alle ricchezze, ed è possibile anche che uno ne abbia perso l'uso, ma per la privazione e il desiderio di ciò che ha sperperato sia tormentato da una duplice sofferenza: la mancanza del necessario e il pentimento di ciò che ha fatto. È impossibile, è impensabile, infatti, che chi manca del necessario per la vita, non abbia l'animo tutto agitato e continuamente stimolato dalla continua ricerca di una situazione migliore: in che modo e dove se la possa procurare.
Ma quanto meglio è il contrario: che uno possegga il necessario, e così non debba soffrire lui e abbia da elargire agli altri ciò che conviene. Che possibilità ci sarebbe di beneficare il prossimo, se tutti non possedessero nulla? E come si potrebbe negare che questa dottrina non sia in netto contrasto con molti altri ottimi insegnamenti del Signore?
"Fatevi degli amici con il mammona di iniquità, affinché quando giungerete alla fine, vi accolgano nelle tende eterne" (Lc 16,9). "Preparatevi tesori in cielo, dove né la ruggine, né la tignola distruggono, né i ladri scavano" (Mt 6,20). E come si potrebbe dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini - e a quelli che non fan ciò vien minacciato il fuoco e le tenebre esteriori -, se prima non si possedesse tutto questo? Anzi, egli stesso comanda di accoglierlo come ospite a Zaccheo e a Matteo, che pur erano ricchi e pubblicani; e non comanda loro di rinunciare alle ricchezze, ma, dopo aver suggerito il retto uso e vietato quello ingiusto, soggiunge: "Oggi si è compiuta la salvezza per questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo" (Lc 19,9). Loda dunque l'uso delle ricchezze, imponendo però di comunicarle agli altri: dar da bere a chi ha sete, dar del pane a chi ha fame, accogliere lo straniero e vestire l'ignudo. Ora, nessuno può compiere questi uffici senza le ricchezze; eppure il Signore ci comanda di rinunciarvi. Che altro fa dunque se non imporre di dare e non dare, di nutrire e non nutrire, di accogliere e non accogliere, di comunicare agli altri e non comunicare? Ma ciò è assolutamente contraddittorio.
Non si hanno perciò da rigettare le ricchezze che devono servire a vantaggio del prossimo; sono possessi perché la loro caratteristica è di essere possedute e son dette beni perché servono al bene, e sono state preparate da Dio per i bisogni degli uomini. Esse dunque sono presenti, sono a portata, come materia, come strumento per servire ad un buon uso a chi bene le conosce. Se ne usi con intelligenza, lo strumento è intelligente; ma se manchi di intelligenza, partecipa alla tua mancanza di intelligenza, pur non avendone colpa.
Un tale strumento, dunque sono le ricchezze. Ne puoi usare con giustizia: ti sono ministre di giustizia. Qualcuno ne usa ingiustamente? Scopriamo che sono ministre di ingiustizia. La loro natura è di servire, non di comandare. Non dobbiamo dunque rimproverare loro di non avere in sé né il bene né il male e di essere fuori causa; bensì dobbiamo rimproverare chi può usarne o bene o male come gli pare, cioè la mente e il giudizio umano, che è libero in sé e padrone di usare delle cose a lui concesse. Nessuno cerchi dunque di distruggere la ricchezza, ma le passioni dell'anima, che non permettono l'uso migliore dei beni, non lasciano che l'uomo sia veramente virtuoso e capace di usare rettamente della ricchezza.
L'ordine dunque di rinunciare ai nostri beni e di vendere ciò che si possiede lo si deve intendere in questo modo: è stato impartito contro le passioni dell'animo.

(Clemente di Ales., Quis dives, 11-14)

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2. Le esigenze della perfezione cristiana

Di conseguenza, dobbiamo sapere che a noi non è richiesto quel che prescrive la Legge, bensì quello che tuona alle nostre orecchie il precetto evangelico: "Se vuoi essere perfetto, va' vendi quanto possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi" (Mt 19,21); e offrendo le decime dei nostri beni rimaniamo in qualche modo sotto il giogo della Legge e non siamo ancora pervenuti alla sublime perfezione del Vangelo che non si limita ad accordare a chi l'osserva i benefici della vita presente, ma elargisce anche i premi futuri. A chi osserva la Legge non è dato in cambio il regno dei cieli, ma le consolazioni di questa vita, come è scritto: "Chiunque metterà in pratica i comandamenti, vivrà" (Lv 18,5). Invece, il Signore dice ai suoi discepoli: "Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3); e inoltre: "Chiunque avrà lasciato o casa, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi per causa mia, riceverà il centuplo e avrà la vita eterna" (Lc 19,29). E non a torto. Vi è infatti meno gloria nell'astenersi da cose vietate che non nel rinunciare a cose permesse, o nel non usarne affatto in ossequio a colui che ha permesso una tale larghezza alla nostra infermità.
Perciò, se coloro che obbediscono ai precetti antichi del Signore, offrendo fedelmente le decime dei loro frutti, non possono ancora ascendere alle vette evangeliche, non è difficile rilevare la distanza che li separa da chi non arriva neppure a tanto. Come avranno parte alla grazia evangelica coloro che disdegnano di praticare precetti molto piú accessibili dei precetti della Legge antica? Tale facilità dei precetti antichi è il tono imperativo del Legislatore che l'attesta. Non ha forse minacciato persino la maledizione per coloro che non li adempiono? "Maledetto", è scritto infatti, "chi non mantiene in vigore le parole di questa legge, per metterla in pratica!" (Dt 27,26). Qui, però, è tale la sublimità e l'eccellenza dei comandamenti che vien detto soltanto: "Chi può comprendere, comprenda" (Mt 19,12)...
Non poteva, invero, un tal precetto essere codificato per la generalità, né, per così dire, si poteva esigere da tutti come si trattasse di una norma, ciò che per la sua sublimità non può essere ritenuto indistintamente alla portata di tutti. È preferibile allora rivolgere l'invito alla grazia sotto forma di consiglio; così, i più validi hanno il modo di conquistare la corona della virtù perfetta; i più piccoli, che non possono colmare "la misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ef 4,13) - anche se possono sembrare ecclissati dallo splendore dei primi -, come da stelle di prima grandezza, sfuggano nondimeno alle tenebre delle maledizioni legali, né si vedano abbandonati ai mali presenti o condannati all'eterno supplizio.
Cristo dunque non costringe nessuno, con la necessità della norma, ad elevarsi alle vette sublimi della virtù; provoca invece la nostra libera scelta, ci eccita con la bontà del consiglio, ci infiamma con il desiderio della perfezione. Dove c'è il precetto, infatti, c'è del pari la necessità, e di conseguenza la sanzione. E poi, coloro che osservano solo quel minimo al quale lì costringe la severità di una legge categorica, evitano di incorrere nella pena prevista dalla sanzione, ma non guadagnano alcuna ricompensa.
È così che il Vangelo sa innalzare i forti verso ciò che vi è di più grande e sublime, senza permettere tuttavia che i deboli precipitino nell'abisso della miseria. Ai perfetti, esso procura la piena beatitudine, mentre accorda il perdono a coloro che si lasciano vincere dalla propria fragilità...
Però, non è solo chi si rifiuta di adempiere il precetto della Legge che va visto come ancora soggetto alla Legge, ma anche colui che, soddisfatto di osservare ciò che essa prescrive, non porta frutti degni della vocazione e della grazia cristiane. Infatti, Cristo non ci dice: "Tu offrirai le decime e le primizie dei tuoi beni al Signore tuo Dio" (Es 22,29), bensì: "Va', vendi quanto possiedi, dallo ai poveri ed avrai un tesoro in cielo, poi, vieni e seguimi", dove la magnificenza della perfezione appare tale che, al discepolo che lo interroga (Gesù) non concede neppure il breve spazio di tempo per la sepoltura del padre, subordinandosi il dovere della umana carità alla virtù dell'amore divino.

(Giovanni Cassiano, Collationes, 21, 5, 1-3; 6, 1; 7, 2)

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3. L'insegnamento della Legge

La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: "Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti". Quegli chiese: "Quali?", e il Signore soggiunse: "Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,17ss). Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: "Ho fatto tutto ciò" - e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi" (ib.). Con queste parole prometteva l'eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall'inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all'inizio, a liberarsi dall'antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: "Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo" (Lc 19,8).

(Ireneo di Lione, Adv. haer. , IV, 12, 5)

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4. Se vuoi essere perfetto

Questo è scritto nell'evangelo di Marco; ma anche negli altri evangelisti si trovano le stesse cose, forse con qualche parola diversa, ma in tutti e quattro è contenuta la medesima dottrina. Noi sappiamo con sicurezza che il Salvatore non ha detto nulla in modo puramente umano, ma ha insegnato a tutti con arcana e divina sapienza; è bene perciò che non ascoltiamo questi discorsi in modo semplicemente umano, ma che ne cerchiamo con diligenza e studio adeguato il senso recondito per approfondirlo.
«Se vuoi esser perfetto» (Mt 19,21). Dunque non era ancora perfetto. Chi è già perfetto infatti non può divenire perfetto. Del resto, quello splendido e divino «Se vuoi», dimostra la libera facoltà di scelta dell'anima che sta dialogando; nell'uomo infatti, poiché è libero, è libera la scelta della volontà; in Dio, come Signore e arbitro, è libero il dono. Egli dona a coloro che vogliono e che col massimo impegno si sforzano e pregano per ottenere la propria salvezza. Dio infatti non costringe - la violenza è nemica di Dio - ma dona a chi desidera, concede a chi chiede e apre a chi bussa. Se vuoi dunque, ma se vuoi davvero senza ingannare te stesso, procurati ciò che ti manca. Ti manca una cosa sola: la sola che rimane, che è veramente la buona, che è al di sopra della legge, che la legge non dà e non contiene, e che è propria di coloro che possiedono la vita vera. In una parola, colui che aveva osservato tutta quanta la legge fin dalla giovinezza e che aveva parlato di sé in modo tanto presuntuoso e orgoglioso, non poté procurarsi quell'unica cosa che solo il Salvatore può dare, necessaria per ottenere la vita eterna di cui aveva desiderio; ma si allontanò triste, scoraggiato dalle esigenze di quella vita eterna a motivo della quale era venuto a interrogare il Maestro. Non la desiderava seriamente come sembrava dalle parole, ma desiderava far mostra di buona volontà.
Certamente sarebbe stato sollecito nel fare tante cose, ma non era disposto a compiere quella che è la sola e unica opera di salvezza, per la quale era debole e indolente. Come Gesù disse a Marta, che si preoccupava di molte cose e si distraeva e agitava per servirlo, rimproverando inoltre la sorella come oziosa perché invece di aiutarla restava seduta ai suoi piedi estatica come una discepola: «Ti preoccupi per molte cose; Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42), così raccomanda anche a lui di lasciare ogni altra preoccupazione terrena per attaccarsi all'unico necessario, dimorando nell'amore di colui che gli offriva la vita eterna.

(Dal libro «Quale ricco si salverà?» di Clemente Alessandrino)



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