XIII Domenica del Tempo Ordinario (B)
Letture Patristiche

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Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.


ANNO B - XIII Domenica del Tempo Ordinario


DOMENICA «DELLA FIGLIA DI GIAIRO E DELL'EMORROISSA»

Sapienza 1,13-15; 2,23-24 • Salmo 29 • 2Corinzi 8,7.9.13-15 • Marco 5,21-43
(Visualizza i brani delle Letture)


1. I medici e il medico (Efrem, Diatessaron, VII, 6, 19-23)
2. La guarigione dell'emorroissa (Romano il Melode, Hymn., 33, 15-21)
3. Cristo ha vinto la morte (Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 31,2)
4. Dio offre misericordia; la disperazione viene dal demonio (Rabano Mauro, De moto poenit., 4)
5. Cristo è toccato dalla fede (Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59)
6. Dio è la gloria dell'uomo (Ireneo di Lione, Adv. haer., III, 20, 2)
7. Presso Dio la morte è davvero un sonno (Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo.)


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1. I medici e il medico

La sua fede arrestò in un istante, come in un batter d'occhio, il flusso di sangue che era sgorgato per dodici anni. Numerosi medici l'avevano visitata moltissime volte, ma l'umile medico, il figlio unico la guardò soltanto un momento. Spesso, quella donna aveva profuso forti somme per i medici; ma all'improvviso, accanto al nostro medico, i suoi pensieri sparsi si raccolsero in un'unica fede. Quando i medici terreni la curavano, ella pagava loro un prezzo terreno (cf. Mc 5,26); ma quando il medico celeste le apparve, ella le presentò una fede celeste. I doni terrestri furono lasciati agli abitanti della terra, i doni spirituali furono elevati al Dio spirituale nei cieli.
I medici stimolavano coi loro rimedi i dolori causati dal male, come una belva abbandonata alla sua ferocia. Così, per reazione, come una belva inferocita, i dolori li diffondevano dappertutto, essi e i loro rimedi. Quando tutti si affrettavano di sottrarsi alla cura di quel dolore, una potenza uscì, rapida, dalla frangia del mantello di Nostro Signore; colpì violentemente il male, lo bloccò e s'attirò l'elogio per il male domato. Uno solo si prese gioco di quelli che s'erano presi gioco per molto. Un solo medico divenne celebre per un male che parecchi medici avevano reso celebre. Proprio quando la mano di quella donna aveva distribuito grandi cifre, la sua piaga non ricevette alcuna guarigione; ma quando la sua mano si tese vuota, la cavità si riempi di salute. Finché la sua mano era ripiena di ricompense tangibili, essa era vuota di fede nascosta, ma quando si spogliò delle ricompense tangibili, fu ripiena di fede invisibile. Diede ricompense manifeste e non ricevette guarigione manifesta; diede una fede manifesta e ricevette una guarigione nascosta. Sebbene avesse dato ai medici il loro onorario con fiducia, non trovò per il suo onorario una ricompensa proporzionata alla sua fiducia; ma quando diede un prezzo preso con furto, allora ne ricevette il premio, quello della guarigione nascosta...
E coloro che non erano stati capaci di guarire quest'unica donna coi loro rimedi, guarivano frattanto molti pensieri con le loro risposte. Nostro Signore, invece, capace di guarire ogni malato, non voleva mostrarsi capace di rispondere anche ad un solo interrogativo; conosceva quella risposta, ma descriveva in anticipo coloro che avrebbero detto: "Tu, con la tua venuta, dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera" (Gv 8,13). La sua potenza aveva guarito la donna, ma il suo parlare non aveva persuaso quella gente. Eppure, per quanto la sua lingua restasse muta, la sua opera risuonava come una tromba. Col suo silenzio soffocava l'orgoglio arrogante; con la sua domanda: "Chi mi ha toccato?" (Lc 8,45) e con la sua opera, la sua verità era proclamata.
Se non ci fosse che un senso da dare alle parole della Scrittura, il primo interprete lo troverebbe, e gli altri uditori non avrebbero piú il lavoro pesante della ricerca, né il piacere della scoperta. Ma ogni parola di Nostro Signore ha la sua forma, e ogni forma ha molti membri, e ogni membro ha la sua fisionomia propria. Ciascuno comprende secondo la sua capacità, e interpreta come gli è dato.
È così che una donna si presentò a lui e che la guarì. Si era presentata davanti a parecchi uomini che non l'avevano guarita avevano perduto il loro tempo con lei. Ma un uomo la guarì, quando il suo volto era girato da un'altra parte; egli biasimava così coloro che, con grande cura, si volgevano verso di lei, ma non la guarivano: "La debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Cor 1,25). Sebbene il volto umano di Nostro Signore non poté guardare che da una sola parte, la sua divinità interiore aveva occhio dappertutto poiché vedeva da ogni lato.

(Efrem, Diatessaron, VII, 6, 19-23)

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2. La guarigione dell'emorroissa

«Colei che veniva a me, ha ricevuto la forza,
poiché un segreto vigore mi ha sottratto.
Perché, Simone figlio di Giovanni, tu mi dici
che una immensa folla addosso mi si accalca?
La mia divinità, essi non toccano.
Ma questa donna, nella visibil veste
la natura mia divina ha conquistato
in modo manifesto, e la salute ha avuto
gridandomi: Salvami, Signore! «.

Vedendosi non rimasta inavvertita,
così tra sé la donna rifletteva:
«Mi farò scorgere dal salvatore mio, Gesù,
adesso che dalle brutture mie sono mondata.
E invero adesso non ho più paura:
per suo volere infatti io compivo questo.
Ho fatto solo quel ch'ei desiderava:
Incontro a lui son corsa con la fede
dicendogli: Salvami, Signore!

Non ignorava certo il Creatore
quel ch'io facevo, bensì pietoso
egli mi ha sopportata. Solo toccandolo,
ho vendemmiato la forza, perché lui
s'è lasciato spogliare volentieri.
Cosi ora è sparita la paura d'esser vista,
davanti a Dio gridando ch'egli è il medico
degli infermi e il salvatore d'anime, signor
della natura, al quale io dico: Salvami, Signore!

A te ho ricorso, medico mio buono,
l'obbrobrio mio alfine rigettando.
Non levar contro di me tua collera,
non adirarti contro la tua serva:
solo per tuo volere io ho agito,
poiché, ancor prima di pensare all'atto,
presente, m'assistevi e m'incitavi a farlo.
Sapevi che il cuor mio gridava: Salvami, Signore!».

«Donna, coraggio ormai che per la fede
e col mio assenso tu mi hai spogliato.
Rassicurati ora, perché non è per farti biasimare
che in mezzo a tanta gente t'ho condotto,
ma per dar loro sicurezza: quando mi si spoglia
io mi rallegro, non muovo alcun rimbrotto.
Resta in buona salute, tu che in tutto il tuo male
mi gridavi: Salvami, Signore!

Non opra di mia mano è questo, ma della fede tua.
Molti infatti han toccato la mia veste,
senza però ricever forza, perché la fede non portavan seco.
Tu che con molta fede m'hai toccato,
hai colto della salute il frutto;
ecco perché davanti a tutti t'ho portato,
per farti dire ancora: Salvami, Signore!».

O Figlio incomprensibile di Dio, incarnato
per noi per amor dell'uomo,
come la donna dal suo sangue hai liberata,
così libera me dai miei peccati,
tu che unico senza peccato sei.
Per le preci e le suppliche dei santi,
inclina il cuore mio o sol potente,
alla meditazione incessante della tua parola,
sì che tu possa salvarmi.

(Romano il Melode, Hymn., 33, 15-21)

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3. Cristo ha vinto la morte

"Giunto poi alla casa del capo della sinagoga e veduti i sonatori di flauto e molta gente che faceva grande strepito, cominciò a dire: «Ritiratevi, ché non è morta la fanciulla, ma dorme». E quelli lo deridevano" (Mt 9,23-24).
Durante la tempesta riprende dapprima i discepoli; così, qui, dissipa anzitutto il turbamento che era nell'anima dei presenti e al tempo stesso dimostra che per lui è facile risuscitare i morti. Si comporta nell'identico modo prima di operare la risurrezione di Lazzaro, dicendo: "Lazzaro, l'amico nostro, dorme" (Gv 11,11). Insegna, inoltre, a non temere la morte: essa infatti non è più morte, ma è diventata sonno. Cristo, infatti, doveva di lí a poco morire, e voleva perciò preparare i discepoli, nella persona di altri, ad aver coraggio e a sopportare pazientemente la sua morte. Da quando egli è venuto sulla terra, la morte è divenuta soltanto un sonno...
A quel tempo non era palese che la morte era diventata un sonno: oggi, invece, questa verità è più chiara del sole. Cristo non ha risuscitato la tua figliola? Ebbene, la risusciterà con assoluta certezza e con una gloria più grande. Quella fanciulla, dopo essere stata risuscitata, più tardi morì di nuovo: ma tua figlia, quando risusciterà, rimarrà per sempre immortale. Nessuno, dunque, pianga più i morti, nessuno si disperi, né rigetti così la vittoria di Cristo. Egli infatti ha vinto la morte. Perché dunque piangi senza motivo? La morte è diventata un sonno. A che pro gemi e ti lamenti? Se i gentili che si disperano sono degni d'esser derisi, quale scusa un cristiano potrà avere comportandosi in modo così disonorevole in tali circostanze? Come potrà farsi perdonate tale stoltezza e insipienza, dopo che la risurrezione è stata provata molte volte e in modo evidente durante tanti secoli? Ma voi, come se foste impegnati ad accrescere la vostra colpa, portate qui tra noi donne pagane, pagate per piangere ai funerali e attizzare in tal modo la fiamma del vostro dolore e non ascoltate Paolo che dice: "Quale accordo può esserci tra Cristo e Belial? O quale cosa di comune tra il fedele e l'infedele?" (2Cor 6,15). Gli stessi pagani, che pure non credono nella risurrezione, finiscono col trovare argomenti di consolazione e dicono: Sopporta con coraggio; non è possibile eliminare quanto è accaduto e con le lacrime non ottieni nulla. E tu che ascolti parole tanto più sublimi e consolanti di queste, non ti vergogni di comportarti in modo più sconveniente dei pagani? Noi non ti esortiamo a sopportare con fermezza la morte, dato che essa è inevitabile e irrimediabile; al contrario ti diciamo: Coraggio, c'è la risurrezione con assoluta certezza: dorme la fanciulla e non è morta; riposa, non è perduta per sempre. Sono infatti ad accoglierla la risurrezione, la vita eterna, l'immortalità e l'eredità stessa degli angeli. Non senti il salmo che dice: "Torna, anima mia, nel tuo riposo, perché Dio ti ha fatto grazia" (Sal 114,7)? Dio chiama «grazia» la morte, e tu ti lamenti?

(Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 31, 2)

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4. Dio offre misericordia; la disperazione viene dal demonio

Non devi, o uomo, diffidare di Dio e disperare della sua misericordia; non voglio che tu dubiti di poter cambiare in meglio; se il diavolo ti ha potuto trascinare dalle altezze celesti della virtù fino in fondo al baratro del male, quanto più potrà Dio riportarti al vertice più alto del bene e non solo rifarti quello che eri, ma anche farti molto più beato di quanto fossi prima? Non ti scoraggiare e non ti nascondere la speranza del bene perché non ti avvenga ciò che avviene agli empi; non è, infatti, la moltitudine dei peccati che induce la disperazione, ma l'empietà; perciò Salomone disse: "Tutti quelli che giungono al fondo del male, disprezzano" (Pr 18,3). È proprio degli empi, dunque, disperare e disprezzare, quando son giunti al fondo del peccato. L'empietà non gli consente di rivolgersi a Dio e di tornare là donde son caduti. Questo pensiero, dunque, che stronca la speranza della conversione, nasce da empietà e come un masso pesantissimo grava sulla cervice dell'anima, la forza a guardare sempre a terra, non le consente di alzar gli occhi verso il suo Signore; ma un animo virile e una mente illuminata deve strappare dal suo capo un peso inimicissimo dell'anima sua, deve cacciare il diavolo che l'opprime e imporsi alla sua anima per dire al Signore cantando le parole profetiche: «Come gli occhi degli schiavi son nelle mani dei loro padroni, come gli occhi della schiava son nelle mani della sua padrona, così gli occhi nostri si volgono al Signore Dio nostro, perché abbia pietà di noi. Pietà di noi, Signore, pietà di noi, perché siamo strapieni d'avvilimento» (cfr Sal 122,2).
È singolare questa dottrina e di celeste filosofia. Dice: «Siamo strapieni d'avvilimento» e ci vuole insegnare che, sebbene siamo ricolmi d'umiliazione a causa della moltitudine dei nostri peccati, i nostri occhi tuttavia si rivolgono al Signore nostro Dio, perché abbia pietà di noi e non finiremo di pregare finché non abbiamo ottenuto il perdono.
Questo è proprio dell'anima perseverante, che non tralasci mai di sperare, ma che insista sempre nella preghiera fino a quando ottiene misericordia. E perché tu non pensi di far piuttosto una offesa, chiedendo troppo importunamente una cosa che non meriti, ricordati la parabola dell'Evangelo e ivi troverai che i peccatori insistenti non sono sgraditi al Signore, il quale, anzi, dice: «Se non lo darà a titolo di amicizia, almeno, per liberarsi da un fastidio, si alzerà e gli darà tutto ciò che gli serve». Renditi conto, allora, o carissimo, che il diavolo insinua la disperazione nella preghiera, proprio per sradicare la speranza nella misericordia di Dio, che è l'ancora della nostra salvezza e il fondamento della nostra vita, guida nel cammino, che porta al cielo, onde l'Apostolo dice: "Per la speranza siamo stati salvati" (Rm 8,24).

(Rabano Mauro, De moto poenit., 4)

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5. Cristo è toccato dalla fede

Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.
Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede...
Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.
Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall'altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?

(Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59)

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6. Dio è la gloria dell'uomo

Dio è, in verità, la gloria dell'uomo; e, d'altro canto, l'uomo stesso è il ricettacolo dell'attività di Dio, di tutta la sua sapienza e potenza. E come il medico effettua i suoi esperimenti su coloro che sono malati, cosí Dio si manifesta negli uomini.

(Ireneo di Lione, Adv. haer., III, 20, 2)

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7. Presso Dio la morte è davvero un sonno

Tutte le letture evangeliche, fratelli carissimi, ci offrono i grandi beni della vita presente e della futura. Ma la lettura di oggi compendia tutto ciò che concerne la speranza ed esclude ogni motivo di disperazione. Ora però parliamo del capo della sinagoga che, mentre conduce Cristo da sua figlia, offre modo a una donna di giungere al Cristo. La lettura odierna comincia così: «Si recò da lui uno dei capi; gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva» (Mc 5,22.23).
Conscio del futuro, il Cristo non ignorava che gli sarebbe venuta incontro quella donna: da lei il capo dei Giudei avrebbe imparato che Dio non ha bisogno di spostarsi da un luogo all'altro, né di essere condotto per una strada, o sollecitato per una presenza fisica; ma si deve credere che Dio è presente in ogni luogo, interamente, ovunque e sempre, e che può far tutto col solo volere, senza fatica: dare la forza, non toglierla; sottrarre alla morte con un comando, non con la mano; rendere la vita con un ordine, non con la medicina.
«La mia figlioletta è agli estremi; vieni» (Mc 5,23). Come dire: ancora permane il calore della vita, ancora si vede una parvenza di respiro, lo spirito non è uscito ancora,il signore della casa ha una figlia, il regno dei morti non ha ancora visto la fanciulla: affrettati, dunque, per trattenere l'anima che sta per uscire dal suo corpo. Stolto, credette che Cristo non potesse risuscitare la fanciulla se non prendendola per mano. Perciò Cristo quando giunse alla casa e vide che la fanciulla era per essi come ormai perduta, per muovere alla i fede gli animi increduli, dice che non è morta ma dorme: affinché credessero che era più facile risorgere dalla morte che dal sonno. Disse: «La bambina non è morta, ma dorme» (Mc 5,39).
Per Dio la morte è veramente un sonno, perché lui fa risorgere alla vita più prontamente di uno che dormendo sia svegliato da un altro; e Dio infonde il calore vivificante alle membra gelide di un morto più rapidamente di quanto un uomo possa far ritornare l'energia in persone immerse nel sonno. Ascolta l'Apostolo: «In un istante, in un batter d'occhio, i morti risorgeranno» (1Cor 15,52).
Il beato apostolo, non avendo trovato parole per esprimere l'istantaneità della risurrezione, lo fece con esempi. Con quale brevità avrebbe potuto narrare l'immediatezza della risurrezione,quando la potenza divina previene anche questa? E in che modo si potrebbe parlare del tempo, quando i beni eterni ci vengono donati senza limite di tempo? Come il tempo ha in sé il provvisorio, così l'eternità non ha tempo.

(Dai «Discorsi» di san Pietro Crisòlogo, vescovo)



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