Letture Patristiche della Domenica
Le letture patristiche sono tratte dal CD-Rom "La Bibbia e i Padri della Chiesa", Ed. Messaggero - Padova, distribuito da Unitelm, 1995.
ANNO B - X Domenica del Tempo Ordinario
DOMENICA «DELLA BESTEMMIA CONTRO LO SPIRITO SANTO»
Genesi 3,9-15 • Salmo 129 • 2Cornzi 4,13-5,1 • Marco 3,20-35
(Visualizza i brani delle Letture)
1. Quale peccato contro lo Spirito Santo sia irremissibile (Agostino, Epist. 185, 11,49s)
2. Il perdono a chi bestemmia contro lo Spirito Santo (Atanasio, Fragm. in Matth.)
3. Legame di sangue e legame di spirito di Maria con Gesù (Agostino, Sermo 25, 3.7)
4. Che significa «fratelli» di Gesù? (Agostino, Comment. in Ioan., 10,2)
5. Chi fa la volontà di Dio diventa fratello e madre del Signore (Gregorio Magno, Hom. in Ev., 3, 2)
6. Il diavolo è principe del mondo, cioè dei cattivi (Agostino, Comment. in Ioan., 52,10)
7. La superbia degli angeli cattivi (Agostino, De civit. Dei, 12, 6)
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Quale peccato contro lo Spirito Santo sia irremissibile
Cerchino dunque di comprendere che Cristo non intese dire che non sarà perdonato alcun peccato contro lo Spirito Santo, ma solo un certo peccato speciale. Così anche quando disse: "Se non fossi venuto, non avrebbero colpa" (Gv 15,22), non voleva intendere qualsiasi colpa, dal momento che i Giudei erano macchiati di molti e gravi peccati, ma voleva alludere a un certo peccato particolare che se non lo avessero commesso si sarebbero potuti rimetter loro tutti gli altri peccati commessi; alludeva cioè al peccato consistente nel rifiutare di credere in Lui, venuto nel mondo, peccato che non avrebbero commesso, s'Egli non fosse venuto tra loro. Così pure quando disse: "Chi peccherà contro lo Spirito Santo" (Mt 12,32), o: "Chi bestemmierà contro lo Spirito Santo" (Gv 20,22-23), non voleva intendere qualsiasi peccato commesso contro lo Spirito Santo con azioni o parole, ma un peccato ben determinato, quello cioè che consiste nell'ostinazione del cuore fino alla fine della vita, per cui uno rifiuta di ricevere il perdono dei peccati nell'unità del Corpo di Cristo (cf. Gv 6,64), vivificato dallo Spirito Santo. Infatti, subito dopo aver detto ai discepoli: "Ricevete lo Spirito Santo", soggiunse: "A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; saranno ritenuti a chi voi li riterrete". Chi dunque respingerà questo dono della grazia di Dio e vi si opporrà, e in qualsiasi modo si mostrerà ad esso maldisposto fino alla fine di questa vita terrena, non gli sarà perdonato né in questa vita né in quella futura poiché è un peccato naturalmente sì grave, che impedisce la remissione di tutti gli altri. Che però uno l'abbia commesso, non si potrà avere alcuna prova, se non dopo la morte. Finché uno vive quaggiù, la "pazienza di Dio" - come dice l'Apostolo - "cerca solo di spingerlo al pentimento" (Rm 2,4); ma s'egli, rimanendo ostinatamente ribelle a Dio "nella misura dell'ostinazione del suo cuore, del suo cuore impenitente" - come soggiunge subito l'Apostolo - "accumula sul proprio capo la collera di Dio per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio" (Rm 2,5), allora non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura.
Non si deve comunque disperare di coloro con cui trattiamo o di cui ora parliamo, poiché sono ancora in vita. Essi però non cerchino lo Spirito Santo fuori dell'unità del Corpo di Cristo di cui posseggono bensì il sacramento esternamente, ma non hanno in cuore la realtà di cui quello è segno e perciò mangiano e bevono la loro condanna (cf. 1Cor 11,29). Un unico pane è infatti il segno sacramentale dell'unità; "poiché" - dice l'Apostolo - "c'è un solo pane, noi, sebbene molti, siamo un solo Corpo" (1Cor 10,17). Solamente la Chiesa cattolica è quindi l'unico Corpo di Cristo, essendo egli stesso il Capo e il Salvatore del proprio Corpo (cf. Ef 5,23). Fuori di questo Corpo nessuno è vivificato dallo Spirito Santo "poiché", sempre al dire dell'Apostolo: "la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo, che ci è stato elargito" (Rm 5,5). Ora, non può esser partecipe della divina carità chi è nemico dell'unità. Di conseguenza, quelli che son fuori della Chiesa, non hanno lo Spirito Santo, poiché di essi sta scritto: "Quelli che si separano sono animaleschi, privi dello Spirito" (Gd 19).
(Agostino, Epist. 185, 11, 49 s.)
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2. Il perdono a chi bestemmia contro lo Spirito Santo
Coloro che bestemmiano contro lo Spirito Santo o contro la divinità di Cristo dicendo: "Caccia i demoni nel nome di Beelzebub, principe dei demoni", certo non potranno ottener perdono né in questo né nell'altro mondo. Bisogna tener conto che Cristo non disse che uno che "bestemmia e poi si pente" non può essere perdonato, ma uno che bestemmia e persevera nella bestemmia; poiché una adeguata penitenza lava tutti i peccati.
(Atanasio, Fragm. in Matth.)
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3. Legame di sangue e legame di spirito di Maria con Gesù
Il brano che ho qui proposto ha molti nodi. Come ha potuto il Signore Gesù Cristo con tutta la sua pietà tenere a distanza sua madre, la Vergine madre, alla quale egli stesso diede tale fecondità che non ne distruggesse la verginità, Vergine nel concepire, Vergine nel partorire, Vergine sempre-Vergine. Una tal madre egli tenne a distanza, perché il materno amore non si insinuasse nell'opera ch'egli faceva e gli fosse d'impedimento. Che cosa, infatti, faceva? Parlava ai popoli, distruggeva i vecchi uomini, edificava i nuovi, liberava le anime, scioglieva gl'incatenati, illuminava i ciechi, faceva il bene, s'impegnava al bene in opere e parole. Mentre era impegnato in queste cose gli fu portato il messaggio del suo legame con la madre. Avete sentito la sua risposta; non ho bisogno di ripeterla. La ritengano le madri, perché non sian d'ostacolo alle opere buone dei figli. Se cercheranno d'impedirli e faranno dei guasti, saranno allontanate dai figli. Oso dire: Saranno allontanate, per rispetto saranno allontanate. E non dovrà essere tenuta a distanza dal figlio intento a un'opera buona, una madre irata, sia sposata o vedova, quando la Vergine Maria fu tenuta a distanza? Forse mi dirai: Vuoi paragonare mio figlio a Cristo? Non paragono tuo figlio a Cristo, ma neanche te a Maria. Non condannò il Signore Gesú l'affetto materno, ma il suo esempio dimostrò che, per l'opera di Dio, anche una madre dev'essere tenuta a distanza...
State più attenti, fratelli miei carissimi a ciò che dice il Signore, stendendo le mani verso i suoi discepoli: "Questa è mia madre, questi i miei fratelli. Chi fa la volontà del Padre, che mi ha mandato, mi è fratello, sorella e madre" (Mt 12,49-50). Non fece forse la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale per fede credette, per fede concepì, fu scelta perché da lei venisse a noi la salvezza, fu creata da Cristo, prima che Cristo fosse fatto? Fece, fece certamente la santa Maria la volontà del Padre ed essa è più discepola che madre di Cristo. C'è più felicità ad essere discepola che madre di Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima che lo concepisse, portava il maestro nel suo seno. Vedi se non è come dico io. Mentre Gesù passava tra turbe di gente e faceva miracoli divini, una certa donna disse: "Beato il ventre che t'ha portato!". E il Signore, perché non si cercasse la felicità in un rapporto di carne, che cosa rispose? "Anzi, beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la tengono ben custodita" (Lc 11,27-28). Anche Maria beata, allora, perché ascoltò e conservò la parola di Dio. Maria custodì più Cristo con la mente, che non ne abbia tenuto la carne nel seno.
(Agostino, Sermo 25, 3.7)
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4. Che significa «fratelli» di Gesù?
"Dopo ciò egli scese a Cafarnao" - dice l'evangelista - "con la madre e i fratelli e i discepoli suoi, ma non vi si fermarono che per pochi giorni (Gv 2,12).
Dunque, ha una madre, ha dei fratelli, ha discepoli; ha dei fratelli perché ha una madre. La Scrittura non usa chiamare fratelli soltanto quelli che nascono dagli stessi genitori, o soltanto dalla stessa madre, o dallo stesso padre benché da madri diverse, oppure coloro che hanno un medesimo grado di parentela, come i primi cugini per parte di padre o per parte di madre. Ma non solo questi la Scrittura usa chiamare fratelli. E secondo il suo modo di parlare, così bisogna capirla. La Scrittura ha un suo linguaggio; chi non lo conosce, può turbarsi e dire: Come fa il Signore ad avere fratelli? Allora Maria partorì nuovamente? Lungi da noi il pensare ciò. Da lei ha avuto origine la dignità delle vergini. Ella ha potuto essere madre, non "donna". Se poi è chiamata donna, è per il suo sesso, non per la perdita della sua integrità. E questo si ricava dal linguaggio usato dalla Scrittura. Infatti anche Eva, non appena formata dalla costola del suo uomo, e non ancora toccata da lui, è chiamata "donna: E ne formò la donna" (Gen 2,22). In che senso, allora, si parla di fratelli? Essi erano parenti di Maria, in un qualsivoglia grado. Come provarlo? Sempre con la Scrittura. Lot è chiamato fratello di Abramo, sebbene fosse figlio del fratello di lui (cf. Gen 13,8; 14,14). Leggete, e troverete che Abramo era zio paterno di Lot, eppure la Scrittura li chiama fratelli. Perché? Perché erano parenti. Parimenti, Giacobbe aveva come zio Laban il Siro, che era fratello di Rebecca, madre di Giacobbe, sposa di Isacco (cf. Gen 28,2). Leggete ancora la Scrittura, e troverete che lo zio e il nipote sono chiamati fratelli (Gen 29,15).
Una volta conosciuta questa regola, capirete che tutti i parenti di Maria erano fratelli del Signore.
(Agostino, Comment. in Ioan., 10, 2)
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5. Chi fa la volontà di Dio diventa fratello e madre del Signore
Non costituisce meraviglia che colui che fa la volontà del Padre sia detto fratello e sorella del Signore; per entrambi i sessi è infatti la chiamata alla fede. La meraviglia cresce piuttosto per il fatto che quegli venga anche detto «madre». Invero, (Gesù) si è degnato di chiamare fratelli i suoi fedeli discepoli, dicendo: "Andate, annunziate ai miei fratelli" (Mt 28,10).
Ora però è il caso di chiedersi: Come può diventare sua madre chi, venendo alla fede, ha potuto divenire fratello del Signore? Quanto a noi, dobbiamo sapere che chi si fa nella fede fratello e sorella di Cristo, diventa sua madre nella predicazione. Quasi partorisce il Signore, chi lo ha infuso nel cuore dell'ascoltatore. E si fa sua madre, se attraverso la di lui voce l'amore di Dio viene generato nella mente del prossimo.
(Gregorio Magno, Hom. in Ev., 3, 2)
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6. Il diavolo è principe del mondo, cioè dei cattivi
Guardiamoci bene dal pensare che il diavolo sia il principe del mondo, nel senso che egli possa dominare il cielo e la terra. Il mondo, in questo caso, deriva il suo nome dagli uomini malvagi che sono diffusi in tutta la terra, nello stesso senso in cui una casa trae la sua qualificazione da coloro che la abitano. Cosi diciamo: questa è una buona casa, oppure è una casa malvagia, non in quanto lodiamo o rimproveriamo l'edificio, le pareti o il tetto, ma in quanto lodiamo o rimproveriamo i costumi degli uomini buoni o malvagi che vi abitano. In questo senso dunque si dice: «principe di questo mondo», cioè principe degli uomini malvagi che abitano nel mondo. E il mondo si può intendere anche quello dei buoni, che analogamente sono diffusi in tutto l'orbe: in questo senso l'Apostolo dice: "Dio stava in Cristo, riconciliando con sé il mondo" (2Cor 5,19). Questi sono i buoni, dai cui cuori il principe di questo mondo è cacciato fuori.
(Agostino, Comment. in Ioan., 52, 10)
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7. La superbia degli angeli cattivi
La causa più vera della beatitudine degli angeli buoni la riscontriamo nella loro unione a colui che sommamente è. Se invece si ricerca la causa della miseria degli angeli cattivi, ci si presenta, ovviamente, il fatto che essi, allontanatisi da colui che sommamente è, si ripiegarono su sé stessi, che pur non hanno l'essere in grado sommo. Questo vizio, come lo chiameremo se non superbia? Infatti "l'inizio di ogni peccato è la superbia" (Sir 10,13). Non vollero dunque custodire presso di lui la loro fortezza e, pur potendo essere qualcosa di più se avessero aderito a colui che sommamente è, scelsero di essere qualcosa di meno, preferendo a lui sé stessi. Questo è il difetto principale, la prima mancanza, il primo vizio di quella natura che è stata creata tale da non avere l'essere sommo, ma da poter ottenere la beatitudine, poter cioè godere di colui che ha l'essere sommo; se da lui invece si allontana, non cade nel nulla, ma il suo essere viene diminuito, e perciò essa diventa ben misera.
(Agostino, De civit. Dei, 12, 6)
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