II Domenica di Avvento (A)

La Parola
Commento di Cettina Militello
Vita Pastorale (n. 10/2016)



ANNO A – 4 dicembre 2016
II Domenica di Avvento

Is 11,1-10
Rm 15,4-9
Mt 3,1-12
(Visualizza i brani delle Letture)


LA RUDE TENEREZZA
DI GIOVANNI BATTISTA

La prima lettura ci propone un notissimo testo del profeta Isaia. Si tratta del cosiddetto "carme dell'Emanuele", ossia di un inno che poeticamente tratteggia l'atteso discendente di Davide. Collocato al capitolo 11, forse per questa ragione, canta un germoglio che spunta dal tronco di Jesse, un virgulto sul quale si condensa la pienezza d'ogni aspettativa d'Israele. Su di lui lo Spirito del Signore effonde in pienezza quelli che la tradizione cristiana declinerà come i suoi i doni: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, timore del Signore - sette se, come avviene nella versione dei LXX e nella Vulgata, al timore è aggiunta la pietà.
L'atteso condensa su di sé l'eccellenza della tradizione d'Israele. I suoi doni sono quelli elargiti diversamente ed efficacemente a Salomone, a Davide, ai Patriarchi, a Mosè. Il canto fa spazio all'equilibrio di giudizio che connota l'atteso, alla sua equità verso gli indigenti e alla sua fermezza verso gli empi. Ai suoi lombi la giustizia, ai suoi fianchi la fedeltà. In questo contesto ottimizzante il ribaltamento d'ogni violenza, d'ogni prevaricazione, nell'immagine del lupo affiancato all'agnello, del leopardo affiancato al capretto, della vipera e del serpente ormai inoffensivi... L'avvento del re messianico segna dunque il ritorno alla condizione edenica, alla ripristinata armonia tra Dio e le creature umane, tra gli esseri umani tra loro e la natura tutta. Il re messianico è per antonomasia portatore di pace, segno visibile, "vessillo" della presenza di Dio in mezzo ai popoli.

La seconda lettura è tratta dalle esortazioni finali della lettera ai Romani. E poiché il filo conduttore dell'Avvento è quello dell'attesa, l'invito è a tener viva la speranza, alimentando la con quella perseveranza e consolazione che provengono dalle Scritture. Paolo esorta ad accogliersi gli uni gli altri, ad avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti di Cristo. Alle coppie antinomiche di Isaia potremmo affiancare quella dei circoncisi-gentili nei quali diversamente, ma sinergicamente, si manifesta l'attitudine di Cristo, servo dei primi per mostrare la fedeltà del Dio della promessa, servo dei secondi chiamati a glorificare Dio per la sua misericordia. Il binomio fedeltà-misericordia coglie in profondità il mistero d'Israele, da una parte, e la chiamata delle genti, mistero anch'esso, dall'altra. Non sono termini lontanissimi nella tradizione ebraica. Eppure quanto pertinenti nel lasciare intatto il mistero dell'elezione d'Israele! Il tema nostro, resta però quello dell'attesa. Essa in questa II domenica ha una icona specifica: Giovanni il Battista e la sua predicazione. La tradizione unanime lega Gesù e il Battista, la predicazione di quest'ultimo e l'inizio del ministero pubblico di Gesù. Gli esegeti colgono evidenti simmetrie tra il capitolo terzo di Matteo relativo al Battista e quello successivo relativo a Gesù.

Nella pericope odierna il Battista appare come il battistrada, l'anticipatore del tempo messianico. Il suo appello alla conversione è motivato dall'approssimarsi del regno di Dio. L'evangelista coglie nel Battista la realizzazione della profezia di Isaia circa la "voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri". E di Giovanni ci fa un ritratto ascetico: vesti ruvide, cibo parco ed essenziale. Verso di lui convergono le folle che confessano i loro peccati e chiedono d'essere battezzate. Dei profeti veterotestamentari il Battista ripropone la radicalità e la franchezza. Dichiara imminente il giudizio di Dio; battezza nell'acqua per la conversione e annuncia colui che battezzerà in Spirito Santo e fuoco.
La pericope d'oggi potrebbe suggerirci varie piste di riflessione. Basterebbe prendere in esame la sola locuzione "regno di Dio". Né meno intrigante potrebbe essere il tema della "conversione". Vorrei però, nella prospettiva che è propria dell'Avvento, riandare al tema - soprattutto presente nel quarto Vangelo che coglie in Giovanni Battista l' "amico dello sposo". In questa chiave lo propone, forse, l'espressione "sciogliere il legaccio dei sandali", gesto di cui, per altro, egli si dichiara non degno. Negli sponsali d'altri tempi, chi aveva parte nella loro stipulazione era anche particolarmente vicino allo sposo. Il testimone di nozze restava prossimo alla tenda nuziale per accogliere il grido di gioia dello sposo. Forse, poi, quest'espressione evoca il farsi da parte di Giovanni, il lasciare ad altri, al Messia, la sposa e, appunto, fungere solo da testimone. Come ricordato, il Battista ci riconduce allo stile e al linguaggio della locuzione profetica. Ma nella tradizione cristiana è soprattutto colui che prepara la via, colui che conduce alle nozze l'umanità ferita e la presenta allo sposo, al suo redentore.
L'Avvento è attesa "gaudiosa" che prepara al mistero nuziale. Tale è il prendere carne del Verbo, il suo accedere all'umanità afflitta e dolente. Nel farsi prossimo del Signore Gesù e nella mediazione del Battista è nascosto un grande mistero, quello, appunto, dello scoprirsi gli uni carne degli altri e tutti insieme carne di Cristo. L'Avvento ha il senso del ricordarci il descensus del Figlio di Dio, del suo farsi nostro "con-sorte". Ed è evento che si compie nella forza dello Spirito. Alla valenza purificatrice dell'acqua si aggiunge ora la creazione nuova che è propria dello Spirito. Le letture di questa seconda domenica nel disegnare una sorta di Eden riaperto nella figura del virgulto di Jesse e nell' esortare ad avere gli uni gli altri gli stessi sentimenti di Cristo, culminano nella rude tenerezza del Battista, il quale sa bene di non essere l'atteso, ma proprio perciò addita l'atteso -lo sposo - nel segno dell'amore che tutto trasforma.


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