XXIV Domenica del Tempo ordinario (C)

La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 7/2016)



ANNO C – 11 settembre 2016
XXIV Domenica del Tempo ordinario

Es 32,7-11.13-14
1Tm 1,12-17
Lc 15,1-32
(Visualizza i brani delle Letture)


LA MISERICORDIA
È IL VERO VOLTO DI DIO

Il passo di Esodo si apre con un'interruzione brusca del dialogo, che si stava svolgendo sul monte tra Dio e Mosè che, dicono i rabbini, era lì non per sé stesso, ma per il bene del popolo, che nel frattempo si era abbandonato all'idolatria e aveva resa inutile la presenza di Mosè sul monte. Mosè sembra quasi colpevole della perversione del popolo. Il peccato del popolo merita la distruzione. Dio chiede a Mosè che lo lasci fare, di non pregare a favore del popolo, un modo, seguendo sempre l'esegesi ebraica, per suggerire a Mosè di pregare, una porta spalancata alla misericordia: se preghi, ti ascolterò. La preghiera di Mosè ha come tema principale la fede che i patriarchi hanno avuto in Dio, quella fede merita il perdono.
È molto bello quel momento in cui Dio suggerisce a Mosè che se parlerà a favore del suo popolo, non potrà abbandonare quella gente al proprio destino, per quanto lo possano aver meritato, e l'argomento che Mosè porta: la fede. Può accadere di dimenticarci degli altri e di vivere la relazione con Dio escludendoli, abbandonandoli nella pianura della confusione dove tutto pare Dio. Quando questo accade tutto precipita, è la fine. Dio ci rimprovera per questo, non cerca con noi dialoghi solitari, piuttosto suggerisce la via di uscita spingendoci a cogliere i segni della fede attorno a noi e a fame l'argomento della preghiera che chiede misericordia per chi di lui si dimentica.

Paolo parla a Timoteo e per incoraggiarlo parla di sé stesso, della sua vita prima di accogliere Cristo, di un passato che non si esagera a definire violento. Paolo distingue nella sua vita fra "un prima" e "un dopo", non descrive il passaggio da una condizione all'altra come un'evoluzione graduale, una maturazione, ma come un salto. L'incontro con Gesù Cristo è stato un incontro con la fede e con la carità, che improvvisamente hanno cambiato la sua esistenza. Afferma che il suo cambiamento è l'argomento del Vangelo che annuncia, l'esperienza di misericordia è quella che rende chiaro a ogni cuore la forza e la presenza di Dio. Nel racconto del suo cambiamento, Paolo introduce un'idea di conversione molto particolare, la descrive come il momento in cui Gesù Signore lo ha giudicato degno di fiducia mettendolo al suo servizio. Si cambia veramente quando qualcuno si fida della tua possibilità di farlo, non perché ignora le tue difficoltà e fragilità, ma perché conosce le tue possibilità e crede in esse. Il Signore crede in Paolo più di quanto questi, nonostante la sua superbia, creda in sé stesso. Il Signore si fida di noi prima di chiederci di fidarci di lui, nessuna storia finisce perché lui smette di fidarsi, purtroppo molte storie finiscono perché a smettere di avere fiducia siamo noi.

Luca 15, il capitolo della misericordia nell'Anno della misericordia, è un capitolo che più che essere spiegato deve essere contemplato, lasciandosi coinvolgere dalle immagini e dalle situazioni, avendo come musica che accompagna, la domanda: «Chi di voi?". Chi di voi non si comporterebbe come il pastore che lascia novantanove pecore nel deserto per ritrovarne una? Chi di voi non farebbe come la donna che si avventura nell'impresa impossibile di trovare una moneta nel pavimento costruito con pietre a taglio in una stanza senza luce? Chi di voi non farebbe come il padre che attende il figlio che ha dilapidato le sue sostanze e poi fa festa appena torna? Chi di voi non condivide la gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte? La risposta a questa domanda è tutto meno che scontata, perché il comportamento del pastore non risponde a nessuna regola di economia; quello della donna a nessuna regola di buon senso, tanto che la moneta ritrovata la spende per fare festa; quello del Padre, come fa notare, giustamente, pensiamo noi, il fratello maggiore non risponde a nessun criterio di giustizia. Soprattutto non è scontata nella nostra cultura, che ha riscoperto, affinato e ingigantito la gogna, che si possa gioire del cambiamento, della conversione; si gioirebbe piuttosto ad applaudire la giusta punizione e la cancellazione dal registro dei vivi di quelli che hanno fatto del male.
La parabola della pecorella smarrita e quella del padre misericordioso tolgono qualche base allo sdegno di chi si meraviglia del recupero del peccatore, perché la pecorella l'ha persa chi la doveva custodire e i ragionamenti del figlio più grande mostrano un animo da servo e non da fratello e un cuore geloso dell'amore. Si potrebbe continuare all'infinito, ma quello che queste parabole dicono è una sola cosa, che il perdono appartiene a Dio, che il nome di Dio è misericordia. Quando noi ci sforziamo di perdonare stiamo facendo un dono prima di tutto a noi stessi, perché stiamo camminando sulla via della grandezza, stiamo cambiando il nostro nome, quello che a volte racconta cuori risentiti, meschini, nel nome di Dio. Dire che il perdono appartiene a Dio significa pure che il perdono realizza una somiglianza con lui che si impara nella fede e nella preghiera. Essere felici perché le persone sanno cambiare, sospendere tutti i criteri di economia, di giustizia e persino di buon senso, perché una persona non debba perire nel deserto, non resti nascosta per sempre in una fessura del pavimento, non viva una vita da servo fino a morirne, questo appartiene a Dio, visibile nel pastore che non rinuncia, nella donna che non s'arrende, nel Padre che aspetta, nella comunità che è piena di gioia se qualcuno si ritrova.


--------------------
torna su
torna all'indice
home