La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 7/2016)
XXIII Domenica del Tempo ordinario
Sap 9,13-18
Fm 9b-10.12-17
Lc 14,25-33
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UNA SCELTA RADICALE
Il biglietto di Paolo a Filemone è una piccola perla che suggerisce un principio universale che deve guidare le scelte del cristiano, un principio molto pratico, che nessuno può dire troppo difficile da applicare. Nell'episodio di uno schiavo che fugge dal padrone e si rifugia da Paolo, questi si trova a dover decidere se farsi complice della fuga di Onesimo, compiendo un reato nei confronti dell'impero, oppure di riconsegnare Onesimo, rendendosi connivente con la schiavitù. Paolo lascia che sia Filemone, padrone di Onesimo, a valutare se un cristiano possa trattare un fratello come schiavo e, pur non avventurandosi in una polemica contro la schiavitù, di fatto le toglie ogni giustificazione e possibilità.
Il criterio di Paolo è quello della responsabilità che ognuno di noi ha nel modificare situazioni ingiuste, dà un grande valore alla domanda che ognuno si deve fare, se cioè un comportamento nei confronti di una persona sia coerente con il mio essere cristiano, indipendentemente dalla legittimità del mio fare. Spesso è più comodo partecipare a cortei che scegliere, ci si sente la coscienza a posto nel partecipare a battaglie che hanno poca possibilità di essere vinte, piuttosto che schierarsi nella propria quotidianità per quanto è coerente con la propria identità cristiana. La storia dice che la via di Paolo, a togliere ogni alibi a chi vuole fare solo rumore, fu talmente efficace da togliere la terra sotto i piedi allo stesso impero.
Alla folla numerosa che lo segue, Gesù quasi per volontà di sfoltirla, dice le condizioni dell'essere discepoli e come prima regola pone quella di un amore esclusivo che il discepolo deve avere per il maestro, amore esclusivo dice la disponibilità di capovolgere i valori e mettere in seconda linea quello che normalmente si mette in primo piano. Non è una pretesa insensata quella di Gesù, ma è piuttosto una considerazione, perché per essere discepoli suoi bisogna saperlo imitare anche nella scelta della croce, quando lui per primo ha considerato la sua vita meno preziosa del bene degli uomini.
Il brano continua con due similitudini che chiedono a quelli che lo vogliono seguire, di pensarci bene, di misurare le forze, di considerare i mezzi che hanno a disposizione. La differenza fra il costruttore della torre e lo stratega che vuole fare una guerra, è che mentre quelli trovano la loro forza nell'abbondanza di mezzi, il discepolo la trova nella mancanza di mezzi, al punto che decide di rinunciarvi. La forza del discepolo è la somiglianza col Maestro. Ognuno deve valutare bene se è convinto di questo. La pagina del vangelo di Luca introduce tanti temi, fra i tanti uno, quello della qualità del discepolo.
Si può immaginare, infatti, che dopo discorsi come questi la folla che appare all'inizio del brano, si assottiglia e sappiamo come quando la croce arriva nella vita di Gesù anche il gruppo dei discepoli più cari si assottiglia fino quasi a sparire. Se non si vuole accettare la prospettiva che Gesù voglia restare da solo, queste parole servono piuttosto a sottolineare la forza reale del discepolo, quella della comunione con lui. Una unità con il maestro di cui il discepolo deve fidarsi, più che di ogni altro mezzo e certezza che ha.
Gesù non dice che è strano voler bene alla propria famiglia, che anzi mette in parallelo alla vita stessa, ma che bisogna imparare a fidarsi di lui più che della stessa vita e che questa fiducia è il mezzo per costruire qualunque torre e vincere qualunque battaglia. Prendere la propria croce e portarla dietro a Gesù, è il passaggio dalla fiducia totale in sé stessi e nei propri mezzi a quella in lui; smettere di essere organizzatori e diventare collaboratori, accettando il fatto che il mezzo che sembra il meno adatto, il meno efficace, quello da nascondere per non creare paure e indecisioni, è l'unico che serve, la croce appunto. La qualità del discepolo è molto alta quando è una trasparenza di Cristo, molto bassa, a rischio di perdere la battaglia, quando non lo lascia nemmeno intravvedere.
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XXIII Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C – 4 settembre 2016
CHIAMATI A FARE
La domanda con cui si apre il brano del libro della Sapienza è universale: chi può conoscere il volere di Dio? Questa difficoltà, dice il testo, è caratteristica dell'uomo che è descritto come uno spirito contenuto in una tenda d'argilla, uno spirito affaticato per molte preoccupazioni, che a stento riesce a vedere qualcosa di più di quello che l'esperienza immediata consente. Una descrizione dell'uomo considerato nella sua fragilità, tema caro non solo ai libri sapienziali, ma a tutta la letteratura biblica; è Dio che non si rassegna alla fragilità e dona all'uomo la sapienza, qui una cosa sola con il santo spirito, che lo rende capace di ben altre ricerche e imprese. Le parole del libro della Sapienza più che rimandare a visioni dell'uomo, a un'antropologia complessa, rimandano all'esperienza comune, che ci vede spesso affannati a capire i momenti che viviamo, sempre affaticati, così da perdere il senso dell'insieme. Chi non ha mai sentito la protesta di quanti giustificano la loro insensibilità o indifferenza adducendo come motivo che hanno altro cui pensare, che hanno troppi problemi? La pagina della Sapienza dice che cercare il disegno, scorgere la presenza di Dio, è un "di più" che rende dignitosa la vita, e avvisa anche che questa ricerca non è un lusso, è un dono per tutti gli uomini affaticati dalla loro fragilità, un dono per tutti.
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