La Parola Le peggiori paure che Geremia aveva avuto al momento della sua vocazione, e che avevano causato le sue resistenze, si trovano confermate. Il suo servizio di verità è avvertito come sovversivo e provoca la reazione del re che decide di gettarlo in una cisterna; praticamente condannandolo a morte. Anche l'assicurazione che Geremia aveva ricevuto da Dio e l'esortazione a non temere, trova conferma perché c'è un servitore del re che riesce a far ragionare il sovrano che comanda che Geremia sia tirato fuori dalla cisterna, prima che muoia. In tutto questo le parole di Geremia che avevano chiesto di cambiare una politica che avrebbe causato gravi sofferenze al popolo, si mostrano sempre più vere.
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 6/2016)
XX Domenica del Tempo ordinario
Ger 38,4-6.8-10
Eb 12,1-4
Lc 12,49-53
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SCELTA E DELL'IMPEGNO
La sovversione vera che il brano mostra non è quella nascosta nelle parole di Geremia e denunciata dai capi del popolo, ma è quella fra realtà e descrizione di essa, fra la verità dell'esperienza e le teorie e calcoli dei capi che convincono il re, portandolo a ignorare quello che accade veramente. La vera sovversione è che l'unico che ha a cuore il bene del popolo, è trattato come un suo nemico. La profezia più grande è anche la più straordinaria forma di carità, consiste nell'ascoltare l'esperienza e costringere prima di tutto sé stessi a vedere la realtà. Non accettare che la descrizione del reale lo sovverta è un compito difficile e rischioso; molti di noi lo rifiutano, ma è un compito protetto da Dio, ricordando che quello che a lui sta a cuore, è il bene delle persone. La domanda è quanto ci sta a cuore il bene delle persone.
Bellissima la pagina della lettera agli Ebrei, che descrive la vita del cristiano come una corsa in uno stadio. Non, però, una corsa solitaria, ma in mezzo al tifo amico di una moltitudine di persone che hanno corso e vinto prima di lui. Questa folla di testimoni sono quelli che hanno creduto, che hanno avuto fede, quelli di cui la lettera ha già parlato indicandoli come quelli che per fede hanno fatto cose straordinarie. Il modello del corridore è Gesù, che non perde mai di vista il traguardo, e questo gli dà la possibilità di superare tutti gli ostacoli, le prove e le stanchezze, che per lui hanno avuto la forma della croce. Non vi stancate di correre, chiede l'autore della lettera, soprattutto considerando le proprie prove in relazione a quella che ha subito Gesù.
Non si è testimoni da soli e non si corre senza una meta e un modello. Ogni ragazzino ha un suo mito da imitare e la voglia di diventare come il suo eroe lo sostiene nel sacrificio degli allenamenti, mentre il tifo amico lo spinge a superare traguardi sempre più impegnativi. Così è della vita del credente, una corsa verso la meta più ambiziosa di tutte, quella di raggiungere la Vita. In più il credente ha la certezza della meta, perché il suo modello, Cristo, l'ha raggiunta e lo incoraggia a farlo insieme a tutti quelli che dagli spalti tifano mostrando le loro vite riuscite. Un cantautore brasiliano scrive: «Non farmi mai stancare, mio Signore», preghiera esaudita nel momento in cui è formulata.
La prospettiva della prova, della passione è presente in tutte le letture di questa domenica; lo è nell'esperienza di Geremia e nelle parole della lettera agli Ebrei, e lo è nella pagina del vangelo di Luca che contiene le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli in previsione della sua passione. Oltre queste parole, il brano si presenta molto duro nella sua formulazione: si parla di fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra, di angoscia, di divisione che non risparmia nessuno. Si resta nel contesto del giudizio con cui si era concluso il passo delle parabole del servo e dell'amministratore. Fuoco e battesimo fanno riferimento a una novità, fuoco e acqua portano sempre con sé vita e morte, fine e rinnovamento. Con Gesù tutto cambia, lui rappresenta una linea di confine, che come tale divide. La divisione nasce dalla necessità di prendere posizione verso di lui; le parole che riguardano la divisione possono essere anche lette storicamente come riferimento alle divisioni e relative accuse e delazioni che accadevano anche all'interno delle famiglie quando qualcuno diventava cristiano.
Comunque si leggano, queste parole non hanno nulla di pacificante; sono parole che descrivono la vita del discepolo di Gesù come un cammino fatto di scelte suggerite dalla volontà di restare fedeli o meno alla novità che con Cristo inizia. Mettersi da una parte, schierarsi e farlo per una parte che ha come bandiera una croce, non è per niente scontato. Mettersi da una parte perché è giusto farlo non è la strada più semplice per raccogliere consensi, nemmeno i legami più naturali e sacri sono risparmiati dalla scelta di scegliere. Sono proprio le conseguenze dolorose che fanno della scelta una fatica alla quale spesso ci si vorrebbe sottrarre. Stare dalla parte di Cristo significa stare dalla parte di ciò che non è scontato, fare come il fuoco che, ricorda la Scrittura, libera l'oro dalle impurità. Stare dalla parte di Cristo significa fare come l'acqua del battesimo che fa morire l'uomo vecchio e fa nascere un uomo nuovo. Essere fuoco e acqua per il mondo, significa impegnarsi per portare alla luce tutto quanto rende prezioso il mondo e far morire tutto quanto ha il sapore della morte, proprio come accade nel battesimo. Il cammino di Gesù si compie nella sua croce quando la morte è sconfitta e vince la vita.
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XX Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C – 14 agosto 2016
LA FATICA DELLA