XIX Domenica del Tempo ordinario (C)

La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 6/2016)



ANNO C – 7 agosto 2016
XIX Domenica del Tempo ordinario

Sap 18,6-9
Eb 11,1-2.8-19
Lc 12,32-48
(Visualizza i brani delle Letture)


UN VANGELO DA
IMPARARE A MEMORIA

Il libro della Sapienza parla della notte della Pasqua ebraica, lo fa in un contesto di celebrazione liturgica, evidenziando l'attualità dell'esperienza della notte della liberazione per chi la celebra a distanza di secoli. Celebrare la Pasqua rende attuale nella vita del popolo il coraggio fondato sulla fiducia che il giuramento fatto da Dio di non abbandonare il proprio popolo è sempre onorato. Inoltre si accenna a una condizione in cui non è facile professare apertamente la propria fede, una situazione di persecuzione, simile a quella della prima Pasqua e la celebrazione della Pasqua serve a condividere successi e pericoli confortati dal ricordo dell'esperienza dei padri. Non si dice come si celebra la Pasqua, ma che cosa essa significa.
Si potrebbe parlare di una specie di codice che lega i membri del popolo degli ebrei e non permette che nessuno si senta abbandonato alla prova e alla schiavitù; un codice che si può definire come il codice della Pasqua. Il codice della Pasqua funziona anche per i membri del nuovo popolo di Dio con lo scopo di rendere sempre attuale la vittoria sulla morte e il trionfo della vita, soprattutto nei momenti quando questo non sembra affatto attuale. Si tratta di un linguaggio comune che può essere pronunciato e compreso solo dai credenti, è il di più della fede che dà coraggio e conforto.

La fede fondamento della speranza è la frase con cui si apre il brano della lettera agli Ebrei, che sottolinea un altro aspetto della fede, indicandola come prova di ciò che non si vede, come a suggerire che credere non è affidarsi all'invisibile e all'impossibile, ma condizione per rendere presente e visibile ciò che non si vede. Nell'esperienza umana tutto ciò che è essenziale è anche invisibile e spesso giudicato impossibile. Fatta questa premessa, l'autore inizia a dimostrare che quello che dice corrisponde a verità, raccontando quello che la fede ha prodotto in alcuni personaggi biblici, iniziando da Abramo che dà il via a una nuova storia, continuando con Sara, sua moglie che inizia una discendenza, mostrando nella storia di Isacco come chi agisce per fede lo fa come chi, restando fedele a un sogno, lo rende possibile. L'aspetto che più colpisce di questo inno alla fede è la scommessa sul futuro di chi, vedendo solo da lontano, si mette in cammino pure se non sa se vedrà la meta.
È proprio la relazione con il futuro la chiave di attualizzazione di questa pagina di Ebrei, dal momento che nel nostro contesto culturale sembra che l'unico futuro sia quello dello sviluppo tecnologico, con la preoccupazione che esso possa essere interrotto da un'umanità senza futuro per le innumerevoli emergenze e la manifesta incapacità di affrontare qualunque problema. Si capisce come non tutte le soluzioni sono contenute nell'orizzonte noto. Il futuro impossibile genera ansia e paura, e alla fine rinuncia. L'uomo che crede non accetta questa prospettiva, è piuttosto uno che rende possibile il futuro, perché guarda oltre e lo fa senza il desiderio di appropriarsi di tutti gli orizzonti, ma con lo scopo di indicarli presenti: «Li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra».

Il ricordo della Pasqua contenuto nella prima lettura, l'inno alla fede nella lettera agli Ebrei, hanno preparato il lettore a questa pagina del vangelo di Luca che insiste sulla condizione tipica del credente che è quella della vigilanza, della veglia. Dopo un invito al discernimento a proposito di ciò che è essenziale nella vita, abbiamo due parabole, al centro delle quali c'è l'immagine del padrone che si mette a servire il servo trovato al lavoro in piena notte, perché lui ancora non era tornato, e l'amministratore trovato fedele, che viene messo a capo di tutti i beni. Tutto questo è contenuto in un contesto di attesa del giorno del Signore, un giorno di giudizio che, misterioso riguardo ai tempi, non lo è riguardo ai contenuti perché il servo conosce la volontà del suo padrone.
Questa pagina pare riferirsi alla vita della comunità cristiana, al suo interno e alla sua organizzazione, come un richiamo per ognuno a starci nel modo giusto e l'unico modo giusto per stare nella Chiesa è quello del servizio fatto con fedeltà: non un servizio fine a sé stesso, ma il servizio dell'attesa del padrone che torna. La seconda parabola, infatti avvisa che se ci si dimentica dell'attesa padrone, si rischia di fare come se si fosse padroni, per di più, padroni viziosi.
Quando si legge questa pagina sorprende il fatto che il padrone voglia mettersi lui al servizio del servo o voglia ricompensare in modo così particolare l'amministratore; sembra un di più, un non dovuto. Effettivamente ognuno di loro ha svolto il proprio lavoro per cui riceve il suo stipendio; allora che cosa è fuori contratto? Che cosa rende straordinario il lavoro del servo e dell'amministratore? Penso che sia la speranza che il padrone tornerà, il rifiuto della prospettiva che lui non torni; è la memoria che non c'è una notte che non finisce in un'aurora.
Sono questa speranza e questa memoria che rendono l'esperienza nella Chiesa una realtà straordinaria; senza di esse si precipita in una routine sonnacchiosa o in un'autosufficienza che è fonte di ingiustizie e di sofferenze. Un cristiano nella Chiesa impara a vivere come chi aspetta il giorno, e fa tutto senza stancarsi.

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