XV Domenica del Tempo ordinario (C)

La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 5/2016)



ANNO C – 10 luglio 2016
XV Domenica del Tempo ordinario

Dt 30,10-14
Col 1,15-20
Lc 10,25-37
(Visualizza i brani delle Letture)


AMARE È SOCCORRERE
IL PROSSIMO FERITO

Il brano di Deuteronomio riferisce della posizione dell'israelita di fronte alla Legge; il brano gioca sull'opposizione spaziale fra la dimensione alto, lontano e quella della vicinanza, bocca cuore. Vivere le esigenze della Legge non richiede cambiamenti di dimensione, viaggi lunghi e pericolosi, niente che giustifichi la sensazione d'inadeguatezza. Vivere la Legge è come parlare e respirare, è come vivere, è una cosa naturale. Più che togliere alibi per l'inosservanza, il brano vuole trasmettere la fiducia che è possibile impegnarsi nel dialogo con Dio, perché è un dialogo fra vicini, è come parlare e respirare.
Spesso si insiste sulle esigenze della vita cristiana in modo tale che in molti nasce un senso d'inadeguatezza. Ogni volta che qualcuno trova che il Vangelo è troppo alto e lontano, che viverlo richiede sforzi che non tutti si possono permettere, significa che qualcosa non funziona nel modo di annunciarlo. Il Vangelo è come amare e parlare, azioni che richiedono l'impegno e il desiderio di farlo, ma non servono scuole e sforzi particolari. La naturalità del Vangelo sta nella sua stessa natura, una buona notizia che vuole la gioia di chi l'accoglie. E la gioia è naturale. Viverlo e annunciarlo come si racconta di un viaggio in un paese lontano, che richiede tempo, mezzi e coraggio particolari, forse non è il modo migliore per servirlo.

Terminata la lettura della lettera ai Galati, inizia quella della lettera ai Colossesi, con il brano conosciuto come l'inno della lettera. È un inno a Cristo, che contiene una densità teologica di cui siamo tutti avvertiti. Un inno è una preghiera, un genere letterario che richiama una liturgia, si caratterizza per la sovrabbondanza, è una poesia. Chi prega esprime il suo entusiasmo per Cristo riconoscendone l'importanza per il mondo e per la comunità; è chiaro che in queste parole ci sono molti contenuti di fede, ma più per obliquo che per immediato interesse. L'attualità di questo inno sta proprio nella sua natura di preghiera che non risparmia parole per dire a Cristo, che è importante, fondamentale, l'unico che può mettere pace fra le persone e nel mondo intero, perché è l'unico ad averci messo la vita.
Cristo non è un'idea, ma una persona e imparare a rivolgersi a lui, piuttosto che limitarsi ad approfondirne il pensiero o a dichiararne l'essenza, fa molto bene alla fede delle nostre comunità, che non sempre danno l'impressione di essere radunate attorno a una persona, al Figlio di Dio, a uno che non bastano le parole per descriverlo. Non bisogna star lì a giustificare quello che Cristo dice, ma proprio come fanno i primi cristiani, dirgli che è grande perché dice quello che dice.

L'atteggiamento dei dottori della legge di cui parla Luca parla nel Vangelo è, invece, quello di chi vuole discutere le idee di Gesù, di affogare tutto in un continuo dibattito. Nel brano di oggi, Gesù risponde alla domanda su chi sia il prossimo, chiedendo al suo interlocutore due cose, che cosa legge nella Torah e come legge la Torah. Il tema è proprio questo, come si legge, perché se la risposta del dottore della legge è giusta sul contenuto, non lo è, però, come la parabola del samaritano chiarisce, sul come.
Nella parabola sono messi in scena, attorno a un uomo aggredito a morte dai briganti, tre attori. Due di questi, il sacerdote e il levita, sanno bene che cosa sia scritto nella Legge, dunque conoscono bene il comandamento dell'amore per il prossimo; eppure decidono di andare oltre senza fermarsi a soccorrere quell'uomo mezzo morto. È evidente, per chi legge la parabola, che leggono male quello che leggono e che passano accanto, senza accorgersi, non solo all'uomo ferito ma anche alla Torah.
Per contrasto un samaritano, un eretico che legge una Torah non proprio uguale a quella di Gerusalemme, uno di cui si parlava come noi spesso parliamo di etnie o categorie di persone, con disprezzo e supponenza; un colpito, un ferito nell'anima e nella dignità, si ferma e soccorre. Il lettore capisce che forse non legge le cose esatte, ma quello che legge lo legge bene. Davanti al ferito, come davanti alla Torah, si ferma, per quel ferito come per la Torah, mette in gioco quello che ha, privilegi (la cavalcatura) e mezzi (denari). Tutto questo, il modo giusto per leggere è sintetizzato in una parola sola: compassione.
Questa è una parabola che chiede a chi la legge di immedesimarsi, di prendere parte, di collocarsi in qualcuno degli attori. Non è un racconto che serve a denunciare i comportamenti degli altri, ma per consentirci di rispondere alle due domande: che cosa leggi e come lo leggi. Se leggiamo bene, lo possiamo sapere solo da una spia, quella della compassione. Chi si trova a passare oltre le ferite degli altri, che non trova come argomento decisivo la condizione di chi si trova a terra, mezzo morto, forse non fa male a chiedersi qualcosa sul suo modo di leggere il Vangelo.
Se leggiamo nel modo giusto il Vangelo, non possiamo pensare che, mentre lo leggiamo, non vediamo quello che accade intorno a noi e andiamo avanti. Il Vangelo si legge non una pagina dietro l'altra, ma fermandosi spesso, perché nessuno deve restare per strada, perché si ha compassione. Il samaritano poteva anche non fermarsi a causa delle sue stesse ferite, ma non lo fa.

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