XIV Domenica del Tempo ordinario (C)

La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 5/2016)



ANNO C – 3 luglio 2016
XIV Domenica del Tempo ordinario

Is 66,10-14c
Gal 6,14-18
Lc 10,1-12.17-20
(Visualizza i brani delle Letture)


L'IDENTITÀ
DEL MISSIONARIO

Quando si legge qualcuno dei brani dei profeti come questo della liturgia di oggi, preso dal libro del profeta Isaia, si ha un po' di difficoltà a interpretarlo, perché ci si chiede dove sia tutta questa gioia e questa consolazione, di cui parlano i profeti. In questo brano, per esempio, Gerusalemme che era come una vedova privata anche dei figli, è descritta, o meglio sognata, come una donna, di nuovo mamma, nell'atto di allattare. I destinatari della profezia sono i figli che si sono considerati orfani e che ritroveranno la loro madre, che accarezza, allatta, porta in braccio, consola. Riprenderanno forza: loro che si considerano erba secca ridiventeranno di nuovo erba verde. Potente è anche l'immagine del fiume di pace che si riversa su Gerusalemme (città di pace).
Come si fa a leggere queste parole senza restare nella vaghezza, senza ridurle a parole generiche di speranza? Credo che sia possibile farlo solo per chi di queste parole si fida e pensa sé stesso nella condizione del figlio che fa esperienza di tenerezza, di amore e di rinnovata vitalità. Solo la storia di fede di ciascuno può dare concretezza a questa profezia e raccontare di tutta questa tenerezza di cui il profeta parla. Una certezza, però, può aiutare: se questa profezia è stata giudicata vera è perché ha trovato molti che ne hanno dato testimonianza e che l'hanno verificata. Questo ci spinge a desiderare di essere anche noi fra quelli che possono dire che queste parole sono vere.

Nello sviluppo degli argomenti sulla novità della vita del cristiano e sul suo rapporto nuovo con la Legge, Paolo parla della croce e dichiara che essa ha reso inutile ogni altra cosa, è così potente da aver annullato tutto quello che senza di essa aveva un senso. Tutte le discussioni, le divisioni, tutto quello che ha tanta importanza nella vita di tutti i giorni, sono rese inutili dalla croce di Cristo, per il motivo che essa ha prodotto una nuova creazione, un nuovo ordine delle cose. Paolo dice di sé di appartenere alla croce, questo è il senso della frase che si riferisce alle stigmate; come il sigillo del padrone rende sua proprietà uno schiavo, così il segno della croce rende Paolo proprietà di Cristo.
Appartenere alla croce, esserne sigillati; questo è un bel modo per descriversi come cristiani, come persone che raccontano la croce nelle loro azioni e nelle loro parole. Raccontare la croce non è abbandonarsi al dolore, ma vivere come persone che hanno regole diverse da quelle del mondo, hanno la regola della creazione nuova. Portare il sigillo della croce significa che le parole e i gesti che uno pone hanno tutti il sapore del dono e sono segni di una vita che ha trovato l'essenziale.

Il brano di Luca è evidentemente collegato alle questioni che molti missionari del Vangelo si ponevano riguardo al messaggio, ai mezzi per diffonderlo, al comportamento da avere, al sostentamento. Si tratta di una specie di vademecum del missionario, la cui identità il lettore ha già ben presente: è quello che accetta di lasciare tutto, che non si volta indietro. Quelli che hanno scelto di seguire Gesù ora sono mandati in missione dimostrando che quello che stanno annunciando, il regno di Dio vicino, loro lo credono affidandosi completamente alla signoria di Dio. Il missionario, avvertito che non deve contare sui mezzi, proprio come un agnello che si trova in mezzo ai lupi, è chiamato a fidarsi, però, di Dio e anche di quelli che sono figli della pace.
L'accoglienza del missionario è una vera discriminante: chi accoglie fa esperienza di pace e di guarigione, chi non lo fa non per questo rende meno vera e forte la parola dell'inviato. Alloro ritorno Gesù coglie la loro gioia e la conferma, descrivendo loro qualcosa che non avevano potuto vedere, il male che indietreggiava, e confermando la loro forza su ogni male. Ma non sono successo e forza a poter sostenere la gioia; essa è sostenuta sempre, anche quando i successi non ci sono, dalla consapevolezza di far parte della famiglia di Dio.
I segni della missione, quelli che tutti possono vedere e che non hanno bisogno di essere continuamente spiegati sono la fiducia, la povertà, la pace, l'accoglienza, la guarigione e la gioia. I segni della presenza del regno di Dio sono gli stessi della missione. Ogni cristiano e ogni comunità che desiderano essere del gruppo di quelli cui Gesù affida la sua missione, deve porre questi segni se vuole compiere il suo mandato. Quando ci si chiede su come sia possibile una testimonianza del Vangelo, in un mondo così pieno di testimoni del contrario, che hanno mezzi superiori come i lupi nei confronti degli agnelli, l'unica risposta è quella di confermare la propria fiducia nella parola del Vangelo, in Cristo.
La forza del Vangelo sta tutta nel manifestare i figli della pace, quelli che accolgono Dio nella loro vita. La sua forza sta nel far guarire chi lo accoglie dalle malattie profonde dell'egoismo e della superbia, e soprattutto dalla malattia più profonda di tutte che è quella della morte. La forza del Vangelo è la gioia di chi lo annuncia, che deriva dalla consapevolezza che si sta seminando Dio nella terra della storia, la gioia di dire parole che appartengono a Dio e di fare delle cose che solo Dio può fare. La gioia di chi è consapevole di far parte della famiglia di Dio.

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