La Parola La prima lettura, tratta dal primo libro dei Re è conosciuta per il gesto di Elia che getta il suo mantello su Eliseo. Il proprio mantello ceduto a un altro è un gesto che non significa solamente un'elezione, ma consiste in una trasmissione di sé a un'altra persona, che da quel momento ha lo stesso ruolo e i poteri di chi lo ha scelto. Eliseo non è scelto da Elia, ma dal Signore; i poteri di Elia sono dono di Dio, ogni profeta è tale perché si riferisce a Dio. La scena degli attrezzi di lavoro che Eliseo fa bruciare per cuocere la carne dei suoi buoi da dare al popolo, mostra un altro riferimento del profeta, quello del popolo, che è la sua nuova famiglia.
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 5/2016)
XIII Domenica del Tempo ordinario
1Re 19,16.19-21
Gal 5,1.13-18
Lc 9,51-62
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È ANDARE AVANTI
La profezia non è una condizione che dipende da dinastie o dall'appartenenza a cerchie particolari. Eliseo è un allevatore, vede Elia che gli passa accanto e che gli passa il mantello. Il racconto procede naturale, come se fosse normale prendere il posto di un altro per essere presenza di Dio in mezzo al popolo; come se fosse normale cambiare i riferimenti della vita. La storia degli uomini trova speranza proprio in questi che trovano normale stare dove sono chiamati ad essere, su questi che non si scrollano il mantello di dosso per continuare a fare come se niente fosse. I profeti di sempre sono quelli che nella geografia della loro vita prendono come punto di orientamento Dio e gli altri. Meno male che ce ne sono sempre.
Nella seconda lettura dalla lettera ai Galati, Paolo declama una delle verità più belle della vita di un cristiano: Cristo vi ha liberati per la libertà! Le considerazioni che seguono a questa esclamazione sono una sua riflessione su come sia facile non essere all'altezza di questa libertà. L'equivoco nasceva dal pensiero che si era liberi dalla Legge, e Paolo chiarisce che libertà dalle mille regole della legge non significa essere senza Legge, la cui essenza resta immutata ed è espressa nel comandamento dell'amore per il prossimo. La libertà è qui descritta come amore per il prossimo. Chi guida in questo cammino di libertà è lo Spirito, mentre chi lo ostacola è la carne, intesa come il principio della debolezza e della fragilità.
Liberi non come schegge impazzite, ma liberi come è libero Dio, cioè liberi di amare. La libertà della scheggia è quella che nasce dalla possibilità di far dominare in noi il principio della carne, cioè della fragilità. Tutto il discorso delle libertà si riduce spesso a inseguire la debolezza, che così ci rende sempre più schiavi al punto che, comunque si metta, si ha l'impressione di un'umanità in decadenza. Paolo propone di "inseguire" Dio, di essere liberi di essere forti, di contrastare la propria debolezza, di agire seguendo il principio del meglio e non quello del conveniente; in una parola Paolo propone, visto che Cristo ce ne ha resi capaci, di essere liberi di amare.
Un motivo di rivalità religiosa fra samaritani e giudei è l'occasione di un altro rifiuto che Gesù subisce nel cammino della sua missione. Dopo essere stato rifiutato dai suoi, ora lo è dal primo villaggio che incontra in Samaria. Si comprende come il cammino verso Gerusalemme è un cammino che porta con sé rifiuto e sofferenza. La reazione di Giacomo e Giovanni, spropositata, è l'occasione per Gesù di una serie di insegnamenti sul modo di essere discepoli; infatti, a seguire, abbiamo, dopo il rimprovero di Gesù che riprende i discepoli che vorrebbero far piovere fuoco su chi non accoglie Gesù, c'è l'insegnamento sulla libertà del discepolo, che non cerca per sé tane e nidi; e quello, in linea con la vocazione di Eliseo, della disponibilità a cambiare i riferimenti della sua vita. Il brano contiene due frasi, che sono diventate proverbiali: la prima riferita a chi pone la mano all'aratro e si volta indietro e la seconda che dice: «Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti»; insieme queste due frasi suggeriscono altre due coordinate dell'azione di un discepolo, il futuro e la vita.
Gesù che prova con un altro villaggio, dopo essere stato rifiutato dal proprio e da quello dei samaritani, non è un'immagine su cui si riflette molto, pure è un'immagine molto bella e piena di speranza. Gesù non rinuncia al suo cammino, perché trova delle opposizioni che prevede aumenteranno nel corso del viaggio, ma prova con un altro villaggio. Non si fissa con un programma da realizzare e con un ruolino di marcia da rispettare, è, nella sua decisione di compiere la sua missione, più libero di una volpe e di un uccello del cielo. Libero abbastanza da accettare un rifiuto, abbastanza per passare oltre, abbastanza per guardare avanti. I suoi discepoli mettono in discussione questo suo modo di andare, ma è l'unico modo se si vuole andare.
Andare significa accettare l'idea che non si ha mai un nido e mai una tana, non perché si è vagabondi, ma perché niente è più importante che andare; andare significa che non ci si ferma sulle proprie esigenze, non perché non siano giuste, ma perché niente è più importante di andare. Gesù dice solo che quando c'è da scegliere fra un nido e andare, fra un dovere e andare, fra il passato e andare, ecc. quello che conta è andare. Questa, in fondo, è l'esigenza di tutte le cose che contano nella vita. Esse contano davvero quando per realizzarle sappiamo lasciare, scegliere. Una vita in cui uno non debba mai scegliere niente, mai decidere se fermarsi o andare, non è una vita viva, ma una vita un po' morta.
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XIII Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C – 26 giugno 2016
QUELLO CHE CONTA