La Parola Il brano di Zaccaria fa riferimento a un momento della storia del popolo che, grazie all'effusione dello Spirito, prende coscienza dell'ingiustizia compiuta verso uno che è descritto come trafitto. L'allusione del testo è misteriosa, si pensa che questa persona trafitta possa essere Giosia, Giovanni ha applicato questo testo a Gesù, dando così un'interpretazione che per un cristiano resta definitiva. Il tema del testo è che il popolo, grazie al dono dello Spirito, prende coscienza delle ingiustizie commesse ed è sommerso dal dolore, disposto a iniziare un cammino di purificazione.
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 5/2016)
XII Domenica del Tempo ordinario
Zc 12,10-11;13,1
Gal 3,26-29
Lc 9,18-24
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UNA VITA SENZA CROCI
Ci vuole la morte di un innocente per far prendere coscienza al popolo dell'enormità del delitto commesso, è certamente un prezzo molto alto perché si ritrovi l'umanità che si esprime nel lamento e nel desiderio di fare qualcosa per rimediare. Di prezzi alti la storia ne ha pagati tanti, e ancora li paga, basti ricordare il bambino siriano morto sulla spiaggia, che ha scosso per qualche tempo la coscienza di tutti. Quello che cambia è che, una volta identificato in Gesù il trafitto, dopo di lui ogni altro trafitto non è più solo un prezzo alto, ma è un prezzo intollerabile, che bisogna impegnarsi perché nessuno più lo debba pagare. Questo è vivere da cristiani. È necessario sempre, ma qualche volta è obbligatorio, leggere la Bibbia lasciandosi meravigliare per la sua forza, la libertà delle idee che esprime, lo stile rivoluzionario di vita che suggerisce.
Nel brano di oggi, Paolo dice che tutte le certezze della sua cultura, le stratificazioni sociali, le relazioni stabilite, per uno che è rinato in Cristo, cioè per un battezzato, cioè per uno che è diventato una creatura nuova, non hanno nessuna importanza. Afferma che quello che conta in una persona è la persona stessa, la sua capacità di credere e di non chiedersi più a quale famiglia e categoria si appartenga, l'unica appartenenza che conta è quella di Cristo e l'unica discendenza che conta è quella di Abramo. Paolo in poche righe descrive il sogno di una umanità che tende all'unità.
Il sogno di Paolo non può essere solo un progetto teologico, è vita. Paolo lo sperimenta nella stessa comunità dei Galati come ciò che ostacola il cammino del Vangelo è la divisione, anzi lì vede come la divisione nasca dal desiderio di alcuni di fare meglio degli altri, decidendo di caricare i nuovi cristiani di tutte le regole della Legge giudaica. Paolo capisce che in quanto a dividersi, nessuno ha bisogno di maestri, così descrive la novità della vita cristiana nella capacità di superare tutte le divisioni, anche quelle più indiscutibili: se appartieni a Cristo, questo è essenziale, questo basta. L'essenziale non è il minimo che serve, ma solo quello che serve. Non è questo che ha animato e anima la missione della Chiesa verso tutti? Non è questo, l'accogliere di cui tanto si parla?
Ancora vediamo Gesù che prega, come fa nel vangelo di Luca, alla vigilia di ogni evento importante della sua missione. Qui il momento che lui ritiene decisivo è la domanda che rivolge ai discepoli a proposito della sua identità, prima informandosi sull'opinione della gente e poi chiedendo a loro che cosa pensassero, ottenendo da Pietro, una risposta inequivocabile. L'accento di Luca è posto più che sul cammino di Gesù, che qui non suscita nessuna discussione, su quello del discepolo, che lui descrive come ricalcato sul suo. Una conformazione che bisogna decidere ogni giorno, disposti a prendere la croce che ogni giorno presenta.
La massima finale del brano ricorda che non si tratta di una qualche rassegnazione, ma di una decisione consapevole, spiegando che prendere la croce è disponibilità a perdere la vita, cioè a mettere in discussione tutte le cose che valgono e sono importanti non per il gusto di farlo, ma per essere vivi. Importante è anche la causa che giustifica il perdere la vita. Lo si fa a causa di Gesù. Bisogna sempre ricordare a sé stessi che la morte è la regola della vita, e questo non solo nel senso che tutti devono morire, ma nella consapevolezza che ogni scelta comporta una piccola esperienza di morte. Le parole di Gesù possono essere comprese meglio in questa prospettiva, diventano una strada di discernimento che lui suggerisce ai suoi discepoli. Se la morte, infatti, è la regola della vita, meglio passare per quella morte che non distrugge la vita ma conduce ad essa.
Ci si può sempre illudere che esista una vita senza croci, molti lo fanno e provano a viverla; a volte si ha la sensazione che le croci evitate si affollino in qualche angolo del sentiero, crollando tutte insieme sulla strada. Per non cadere in questa illusione, Gesù suggerisce di non fare lo slalom delle croci della vita, di non scappare sempre di fronte alle prove e alle responsabilità, ma di mettersi ogni volta, ogni giorno, il peso che capita, sulle spalle e di portarlo. In più, chiede, di non portarlo a vanvera o maledicendo, ma di guardare le sue orme, che tracciano la strada, che incoraggiano come quando in montagna si ha l'impressione di essersi perduti e si ritrova il sentiero. Ancora di più, Gesù dice che se uno fa in questa maniera, e dunque con consapevolezza, mette in questione la sua vita, la impegna, le tracce lo porteranno a guadagnare la vita, che non è solo avere la vita eterna, ma anche vivere senza disperarsi. La vita non come una marcia verso il crepuscolo, ma come un cammino verso l'aurora.
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XII Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C – 19 giugno 2016
L'ILLUSIONE CHE ESISTA