Nel racconto del libro dei Re, l'episodio della morte del figlio della vedova rappresenta un evento di rottura traumatico. Dopo aver accolto il profeta Elia, aver condiviso con lui l'ultimo pezzo di pane e fatta esperienza della provvidenza di Dio, che non permetteva che la farina e l'olio finissero, ora vede che l'unica cosa che la teneva in vita e le dava la forza, suo figlio, si ammala e muore. Le parole: «Che cosa c'è fra me e te?» esprimono la lontananza, il rifiuto della donna nei confronti del profeta e nei confronti di Dio. L'associazione è quella fra Dio, il suo profeta e la morte; un'associazione di cui la donna sente l'inganno. La reazione di Elia è di chi non può accettare quello che accade, si associa alla donna nella protesta verso Dio, da cui non si allontana ma che chiama in causa. La preghiera di Elia restituisce il bambino alla vita e la donna alla fede: tu sei uomo di Dio e parli la lingua di Dio.
La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 4/2016)
X Domenica del Tempo ordinario
1Re 17,17-24
Gal 1,11-19
Lc 7,11-17
(Visualizza i brani delle Letture)
ESPERIENZA DI DIO
Che lingua parla Dio? Non è una domanda strana, ma è la domanda che si pongono tante persone che vedono associare il nome di Dio a episodi di dolore e di morte. Dio non parla la lingua della morte e si fa bene a prendere le distanze da chi parla quella lingua. Tu parli la lingua di Dio, dice la vedova, perché ha sentito uscire dalla bocca di Elia parole di preghiera per la vita e ha ritrovato suo figlio vivo. Quando i credenti pronunciano con la vita tutte le vocali e le consonanti di quella lingua, producono fede. La non pronuncia fa nascere distanze incolmabili.
La seconda lettura propone un brano autobiografico di Paolo, che fa riferimento al tempo in cui era un persecutore della Chiesa di Dio. L'accenno a quel tempo serve all'Apostolo per sottolineare la straordinarietà della sua vocazione e della forza del Vangelo, forte per la sua origine, che è Gesù Cristo; forte per i suoi effetti, perché Paolo cambia e da persecutore diventa un appassionato evangelizzatore; il dono, la grazia di aver conosciuto che Cristo è il Figlio di Dio sono per lui un'energia incontenibile. Infine, e anche questo è un effetto del Vangelo, Paolo sente il bisogno di incontrare, nella persona di Ce fa e di Giacomo, la Chiesa che aveva perseguitato. Che il Vangelo non possa essere assimilato a una sapienza e a un modello umano risulta chiaro a chiunque si apra ad esso, perché si rende immediatamente conto che quella Parola non chiede di essere condivisa, inserita nel pantheon delle belle intuizioni e delle idee straordinarie, ma chiede che lo si ascolti con la vita e il segno dell'ascolto è il cambiamento. In Paolo s'impara che ogni cambiamento è possibile e che ogni cambiamento è radicale. Il Vangelo a chi l'ascolta regala entusiasmo, orienta la vita e lo fa attraverso la Chiesa, anzi forse il segno del cambiamento è proprio quello di ritrovare la Chiesa, e tutti un po' ne abbiamo bisogno.
Il vangelo di Luca mette in scena due cortei: il primo festoso, pieno di speranza, con Gesù al centro e la folla delle persone che lo seguono; il secondo, invece, è un corteo funebre, è morto un ragazzo e protagonista della scena è lo strazio della madre. L'incontro dei due cortei è stridente, uno dei due è fuori luogo nella piazza del villaggio. Lo spazio della vita e quello della morte normalmente si escludono, se non fosse per l'iniziativa di Gesù, che si rivolge alla donna, si avvicina alla bara, tocca il ragazzo, tocca la morte, lasciandosi contaminare da essa e restituisce la vita al ragazzo e il ragazzo alla madre. Le parole della folla fanno da coro a questo evento straordinario, riconoscono che Gesù è un profeta grande e che in lui Dio è presente nella vita del suo popolo.
Il peccato e la morte sono presenti e non hanno riguardo per nessuno, il funerale nel villaggio non si ferma perché passa una persona di cui tutti parlano, un maestro che tutti conoscono. Sono presenti come un disturbo nel cammino della vita, sono ovunque fuori posto, ma dominano ogni luogo. Quanto è difficile far parte del corteo della speranza quando ogni pochi passi si incrocia l'altro, che sembra molto più concreto, straziante e vero. Certo si può cambiare strada, ma è difficile farlo nel villaggio di Nain, è difficile farlo nelle nostre vite che non hanno molte strade, o si può continuare a stare dietro a Gesù che non cambia strada, che tocca la morte, si lascia commuovere dal dolore che essa semina e decide di affrontarla fino a sconfiggerla. Il motivo per restare legati a lui è, lo ricorda Paolo, che con lui si sconfiggono il peccato e la morte.
Non è inutile chiedersi di quale corteo facciamo parte, non si fa parte di quello di Cristo per un qualche diritto ma se si sceglie di farlo. Chi fa parte del corteo del Risorto se ne accorge perché si lascia commuovere dal dolore, desidera asciugare le lacrime e non ha nessun timore di avvicinarsi, di toccare; pensa che nessuna regola valga il dolore di una persona. Chi fa parte del corteo di Cristo desidera solo di restituire la vita, di rimettere in piedi chi è a terra. Contaminare lo spazio della morte con i segni della vita è la vocazione di ogni cristiano. Il profeta Isaia usa un'immagine molto bella per dire l'azione di Dio a favore del suo popolo. Dice che è come tante luci che interrompono le tenebre, un po' come le stelle che tolgono a chi osserva lo spazio, il senso del vuoto. Chi fa parte del corteo di Cristo e diffonde la vita, è come una luce che toglie il senso di vuoto.
torna su
torna all'indice
home
X Domenica del Tempo ordinario (C)
ANNO C – 5 giugno 2016
CONDIVIDERE È FARE