Intervista al Card. Giuseppe Betori,
Arcivescovo di Firenze




Intervista al Card. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze
L'Amico del Clero, n. 11 Dicembre 2015


Eminenza, come giudica per la Chiesa in generale, e per l'arcidiocesi di Firenze in particolare, il ripristino del diaconato permanente?

Ritengo un grande dono dello Spirito per la Chiesa la possibilità aperta dal Concilio Vaticano II di ripristinare nelle Chiese particolari il diaconato «come grado proprio e permanente della gerarchia» (Lumen Gentium, 29). Naturalmente quando dalla proposta si passa all'attuazione, oltre ai benefici si sperimentano anche le difficoltà, ma questo è vero per tante prospettive nuove aperte dal Concilio, un fatto che non ci deve scoraggiare, ma al contrario impegnare a una fedeltà creativa. La Conferenza Episcopale Italiana, come sappiamo, ha dato forma a tale prospettiva con un documento del 13 novembre 1970, Il ripristino del diaconato permanente in Italia. Il diaconato, in questo documento, è visto come una forza di grazia capace di produrre positivi cambiamenti nella compagine ecclesiale, di rendere «più profonda la comunione ecclesiale», di «ravvivare l'impegno missionario», di «promuovere il senso comunitario dello spirito familiare del popolo di Dio», di «accentuare la dimensione comunitaria e missionaria della Chiesa e della pastorale»; tutto ciò per una «più diffusa e capillare evangelizzazione», per la «salvezza dell'umanità». Si tratta di indicazioni che rivelano il senso che deve assumere questo progetto di restituzione alla Chiesa del diaconato in forma stabile e la direzione da mantenere ferma nella sua attuazione. Da quando mi è stata affidata la guida pastorale della diocesi di Firenze, e sono ormai quasi sette anni, ho potuto sperimentare quanto queste parole dell'episcopato italiano siano vere e impegnative. Qui a Firenze il diaconato permanente è da molto tempo una bella realtà, che vado scoprendo poco a poco, come del resto avviene per il presbiterio, nella misura soprattutto in cui riesco ad avvicinare i diaconi e a conoscerli personalmente, partendo dalla loro realtà umana, professionale, familiare, spirituale e pastorale. Non mancano ovviamente anche tra noi limiti e difficoltà, ma se, come qualcuno ha detto, il diaconato permanente è un "cantiere aperto", è necessario andare avanti, rivedere, correggere, mantenendo ferma però la convinzione che si tratta di un dono da far crescere.

Quali requisiti ritiene siano indispensabili per un candidato al diaconato permanente?

Prima di tutto un grande equilibrio umano, che favorisca armonia e serenità nella vita familiare e comunitaria. Capacità di ascolto e di dialogo sono requisiti fondamentali per dare autenticità ed efficacia ai rapporti col vescovo, con i parroci e i fedeli. È poi indispensabile una spiritualità profonda ed equilibrata, direi una spiritualità biblica, non inquinata di devozionismo, di fanatismo e di altri squilibri presenti purtroppo in non poche comunità ecclesiali oggi. Ancora, sono necessarie volontà e capacità di mantenere rapporti sereni e costruttivi con i confratelli, diaconi e presbiteri, così da favorire l'essenziale di una vita comunitaria e un cammino costante di formazione permanente, anche dopo l'ordinazione. Molto utile, se non decisiva, è un'esperienza previa e prolungata in una comunità, normalmente parrocchiale: solo una seria vita di comunità è capace di rivelare carismi e doni, ma anche lacune e difetti più o meno profondi; si tratta di una forma di verifica importante dell'autenticità di una vocazione. Il tutto, evidentemente, sulla base della presentazione da parte del parroco dell'aspirante; ritengo che si debba diffidare, almeno di principio, da coloro che si presentano a titolo personale, anche se è evidente che il Signore può servirsi di tutto e di tutti, ma bisogna essere prudenti e tenere gli occhi aperti e la garanzia offerta da chi governa la comunità di provenienza di un candidato è indispensabile.

Quale cammino formativo (umano, spirituale, teologico, liturgico e pastorale) è attualmente previsto nella sua arcidiocesi per chi diventa diacono?

Dopo i primi contatti e colloqui dell'aspirante e della moglie, nel caso in cui egli sia sposato, con il delegato arcivescovile per il diaconato permanente, si passa a un anno di discernimento, durante il quale gli aspiranti entrano in contatto costante con la comunità diaconale. Il percorso previsto di formazione umana, pastorale e spirituale avviene attraverso incontri mensili, che si prolungano, incluso l'anno di discernimento, per almeno tre anni di preparazione. Il quarto anno, previsto in genere per coloro che hanno ricevuto nel frattempo i ministeri del lettorato e dell'accolitato e sono ormai vicini all'ordinazione diaconale, prevede una preparazione più accurata di carattere liturgico. Oltre a questi incontri mensili, gli aspiranti e candidati sono invitati a partecipare durante l'anno pastorale, insieme ai diaconi ed alle loro famiglie, a tre giornate di spiritualità e a un incon tro con l'arcivescovo, oltre a una tre giorni di convivenza estiva alla quale è presente anche l'arcivescovo che, nella misura del possibile, si propone di avere un colloquio con tutti coloro che lo richiedono.
Tutti questi incontri formativi sono coordinati e guidati dal delegato arcivescovile per la diaconato permanente. Nella vita quotidiana, gli aspiranti ed i candidati vengono inoltre seguiti dai parroci, partecipano agli incontri del clero nei vicariati e a incontri più ristretti con i diaconi, sempre a livello zonale, che noi chiamiamo "grappoli".
Per ciò che riguarda la formazione teologica, in considerazione della difficoltà di molti candidati a inserirsi nel normale percorso accademico, a causa degli impegni di lavoro, da quattro o cinque anni abbiamo previsto per i candidati un programma minimo di trenta materie più cinque corsi speciali che possono frequentare presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "B. Ippolito Galantini" di Firenze o presso la Facoltà Teologica per l'Italia Centrale, sempre a Firenze. A conclusione di questi trentacinque corsi, i candidati devono superare la normale prova di esame prevista dal piano di studi dell'Istituto o della Facoltà. Quando anche questo risultasse inattuabile, ad es. in quanto il candidato non riesce ad ottemperare alla frequenza minima delle lezioni, si esige almeno una dichiarazione del docente della materia in cui si dichiari, dopo un colloquio con l'interessato, che egli è competente e sufficientemente preparato in essa. Nonostante queste agevolazioni il percorso di formazione teologica resta un programma impegnativo per chi lavora, ma dal momento che il diacono dovrà insegnare, predicare, formare animatori e catechisti, riteniamo che egli debba essere in grado di farlo con competenza e questo ci impone di non fare sconti nel verificare la conoscenza dei contenuti fondamentali della teologia e della pastorale.

Come fare per superare eventuali resistenze da parte degli altri membri del clero nei confronti del diaconato permanente?

Si tratta di un punto delicato, ma anche su questo si cerca di dispiegare il massimo impegno. Dopo il mio ingresso in diocesi, ho voluto, nel 2010, che fossero fatti alcuni incontri di verifica sul diaconato permanente nel Consiglio presbiterale e nel Consiglio pastorale diocesano, per scendere poi ai Consigli vicariali e alle parrocchie. In queste verifiche è emerso quanta scarsa sia ancora la conoscenza di questo ministero ordinato. Bisognerà naturalmente ritornarci sopra, ad esempio con incontri periodici che coinvolgano i preti che hanno diaconi in parrocchia, con confronti tra preti e diaconi, tra diaconi e seminaristi, ecc. Ritengo utile anche che si dia maggiore spazio alla diffusione delle esperienze di pastorale che coinvolgono i diaconi permanenti nei no stri mezzi di comunicazione sociale. Solo il prendere atto delle esperienze positive può aiutare fedeli e presbiteri a comprendere il valore e l'efficacia della presenza del diaconato permanente nella Chiesa.

Quale tra i classici compiti diaconali (carità, catechesi/ evangelizzazione e liturgia) le sembra necessiti di maggior valorizzazione rispetto a quanto avviene oggi nell'arcidiocesi di Firenze?

Di fronte alla consueta rimostranza dei diaconi di trovare resistenze nei parroci a dare loro spazio nelle vita liturgica, siamo soliti invitarli a cercare vie di presenza nella comunità nell'ambito dell'annuncio e della catechesi e in quello della carità. Chi ha il coraggio di tentare qualche esperienza e darsi da fare in questi due campi smette di lamentare l'emarginazione.
Nel documento della CEI che ho citato in risposta alla prima domanda, ci sono parole chiave che sono tutto un programma, in piena consonanza con la Evangelii Gaudium di Papa Francesco: si parla per esempio di «ravvivare l'impegno missionario», attraverso «una più diffusa e capillare evangelizzazione». Uno dei frutti più belli dell'ultimo Sinodo della Chiesa fiorentina, realizzato negli anni 1988-1992 dal mio predecessore il card. Silvano Piovanelli, è la presentazione e l'approfondimento annuale, in tutta la diocesi, di un libro della Bibbia, con l'aiuto di schede preparate dall'Ufficio Catechistico e dal Centro Missionario Diocesano, un accostamento al testo sacro realizzato in piccoli gruppi, molti dei quali si riuniscono in parrocchia ma anche nelle case. Questi gruppi o piccole comunità di fede e di vita contribuiscono sicuramente, come dice ancora il documento della CEI, a «promuovere il senso comunitario dello spirito familiare del popolo di Dio». Queste piccole comunità inoltre, per poter essere sempre vive, hanno bisogno di un costante accompagnamento da parte dei leader della parrocchia. È questo dunque un campo aperto anche per i diaconi. Naturalmente l'evangelizzazione non si riduce a questo: fondamentali sono i contatti personali con i fidanzati, con le famiglie, con il mondo del lavoro e della scuola, ecc. Ai diaconi dobbiamo suggerire inoltre di essere loro stessi creatori di forme nuove di evangelizzazione, aprendo spazi non ancora occupati e in cui quindi non si pone il problema della sovrapposizione con il ruolo dei preti.
Per ciò che riguarda la carità, oltre agli ammalati, agli anziani, ai centri di ascolto e di assistenza, c'è oggi il vasto campo degli immigrati, presenti a migliaia nel territorio delle nostre parrocchie. Il Signore ci ha portato la missione in casa: che cosa stiamo facendo per loro e con loro?
Sarebbe interessante chiedersi come i diaconi possano investire la loro grazia ministeriale in questo ambito nuovo, che è al tempo stesso di carità e di evangelizzazione.

Quanti sono e quale futuro immagina per i diaconi permanenti della sua arcidiocesi?

Abbiamo attualmente a Firenze 64 diaconi permanenti; 12 sono invece i candidati, di cui 4 già accoliti e 7 lettori; 5 infine sono gli aspiranti. I numeri, come si può constatare, sono considerevoli e costituiscono un serbatoio di energie pastorali che deve sapersi coniugare con i circa trecento presbiteri diocesani, sia pure non pochi in età avanzata, e gli oltre duecentocinquanta religiosi, molti dei quali sacerdoti. Se a questo aggiungiamo circa settecento religiose e una molteplice e articolata presenza di forme aggregate di natura laicale, possiamo comprendere che il Signore non manca ancora di benedirci con i doni del suo Spirito. Il problema dunque non tanto quantitativo, ma è quello di proiettare tutta questa ministerialità, testimonianza carismatica e disponibilità dei fedeli laici alla partecipazione alla vita ecclesiale più sul versante della missionarietà che su quello della conservazione dell'esistente, come ci spinge a fare Papa Francesco.

Quali iniziative ritiene si possano intraprendere, a livello di pastorale vocazionale diocesana, per incrementare il numero di diaconi permanenti?

Il Signore ci ha concesso, senza nostro merito, un'abbondanza di vocazioni diaconali in questi ultimi anni. Il nostro non è dunque un problema di incremento, ma di individuazione di una più precisa collocazione ecclesiale, ribadisco in funzione missionaria. Penso comunque, a parte qualche iniziativa che può essere presa anche a livello diocesano, che sia proprio l'impostazione della pastorale, a livello parrocchiale o comunitario, una pastorale cioè tutta ministeriale, di comunione e corresponsabilità, soprattutto una pastorale più missionaria che genera, in maniera naturale, anche vocazioni diaconali.
Ho in mente una parrocchia della mia diocesi, impostata in questo modo, nella quale in pochi anni sono sorte varie vocazioni. Dicono, comunque, alcuni dei nuovi aspiranti al diaconato permanente, che si sono ispirati in genere a un diacono che per la sua fede, la sua coerenza di vita e la sua dedizione pastorale ha fatto nascere in loro il desiderio di intraprendere il cammino diaconale. Come in tutta la vita cristiana anche nella vocazione ciò che è decisivo è la testimonianza.

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