Servire la Parola per «fare misericordia»



Il diaconato in Italia n° 196
(gennaio/febbraio 2016)

EDITORIALE


Servire la Parola per «fare misericordia»
di Giuseppe Bellia

Sul tema proposto da papa Francesco per quest'anno di grazia, si possono già trovare libri, saggi, articoli, opuscoli e pubblicazioni di ogni genere che trattano l'argomento della misericordia. Si potrà ascoltare, vedere e leggere molte cose edificanti sulla pratica personale e comunitaria del «fare misericordia». C'è solo l'imbarazzo della scelta giusta per rinvenire tra tanto materiale, di diverso spessore e di differente finalità, quello che è più rispondente alla propria sensibilità, per appagare legittime attese spirituali e comprensibili esigenze culturali e umane.
Per accompagnare, anche in quest'anno giubilare, il cammino dei nostri diaconi, la rivista si occuperà con numeri monografici della misericordia, vista però in connessione con temi e questioni che interessano il compito del servizio per i cristiani e il ministero diaconale in specie. Perché sia sincero e fruttuoso l'esercizio personale ed ecclesiale del perdono e per evitare ripetizioni o sovrapposizioni, ritengo che sia cosa buona e utile per tutti, laici e ministri ordinati, ritornare a riflettere con passione e arte su quanto ci dice la Parola di Dio.
Lo studio umile e orante della santa Scrittura, se resta fedele al testo ispirato e non si serve della Bibbia per giustificare elucubrazioni morali, dispute dottrinali, chiacchiere teologiche e misticismi devoti, tutte cose che alla fine non hanno alcuna vera presa sul cuore dei credenti, offre un prezioso servizio alla Parola. Mi sembra necessario piuttosto richiamare l'attenzione sul fatto che, nel sentire comune, il tema della misericordia rischia di essere interpretato dentro una comprensione di senso consolidata, stereotipa, ora scontata, ora eccentrica che non di rado finisce con il sovrapporsi o addirittura con il sostituirsi alla stessa Parola. Più che ricercare commenti e introduzioni, a volte utili, si deve leggere il testo ispirato, ritornare sempre al testo sacro per conoscere il pensiero di Dio sul suo amore misericordioso: è questo il vero punto di partenza per chi vuole incontrare Cristo.
Rivediamo insieme le precise parole che nelle sacre pagine ci raccontano e c'interpellano sulla misericordia divina. Si può ricordare che nella Bibbia della Cei, il termine "misericordia" s'incontra quasi 150 volte mentre nelle lingue bibliche, sia in ebraico sia in greco, si trovano diverse parole corrispondenti che richiederebbero un più ampio ventaglio di traduzioni. D'altra parte sono molti i termini, sinonimi di misericordia, usati sempre dalla versione italiana; vedi ad esempio: "bontà", "pietà", "magnanimità", "fedeltà", "grazia", "compassione", "commiserazione", "amore". In realtà, l'ebraico biblico conosce in prevalenza due termini: rehamîm (letteralmente "viscere" e sta a indicare i sentimenti profondi, per appunto "viscerali", che legano due persone tra loro per ragioni di sangue o affettive); ed hesed che esprime l'amore di dilezione, libero, gratuito e perciò idoneo a indicare la fedeltà di Dio.
Nella traduzione greca della Settanta, come anche nel greco del Nuovo Testamento, s'incontra il verbo eléo, di solito usato per tradurre hesed ed è per questo riferito, il più delle volte, all'atteggiamento amorevole di Dio. Si trova ancora il termine oiktirmòs, una parola greca che può essere collegata all'ebraico rehamîm, come anche splanchna, usato per esprimere l'amore viscerale di Cristo davanti a chi è nella sofferenza e nello smarrimento morale e spirituale: «Sbarcando, vide molta folla e si "commosse" per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34). Guardiamo adesso in dettaglio alcune ricorrenze esemplificative della parola "misericordia" nell'Antico Testamento. Si può notare che il termine si riferisce poche volte al comportamento dell'uomo (vedi Gen 43,10 e Sir 16,14), mentre in senso proprio fa riferimento all'agire di Dio. Nel libro dell'Esodo, il Signore si rivela a Mosè dicendo: «A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia» (Es 33,19). In 2Sam 20,14, Davide dichiara al profeta Gad che gli annunciava la punizione di Dio per il suo atto di orgoglio: «Sono in grande angoscia! È meglio cadere nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è grande, ma non nelle mani degli uomini». Il profeta Isaia (54,10) così canta la misericordia di Dio: «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace; dice il Signore che ti usa misericordia».
È però nei Salmi che s'incontra lo stupore gioioso dell'uomo davanti all'amore paziente di un Dio che perdona sempre chi lo invoca con cuore spezzato e leale. Come non ricordare l'inno di ringraziamento che un peccatore perdonato e guarito innalza con vibrante tenerezza al suo Dio: Benedici il Signore, anima mia,/ non dimenticare tanti suoi benefici./ Egli perdona tutte le tue colpe,/... ti corona di grazia e di misericordia;/... Buono e pietoso è il Signore,/ lento all'ira e grande nell'amore./ Egli non continua a contestare/ e non conserva per sempre il suo sdegno./ Non ci tratta secondo i nostri peccati,/ non ci ripaga secondo le nostre colpe./ Come il cielo è alto sulla terra,/ così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;/ come dista l'oriente dall'occidente,/ così allontana da noi le nostre colpe. Un salmo che potrebbe accompagnare il nostro umile e fiducioso ingresso nella porta santa giubilare, per celebrare il nostro ritorno penitente ed entrare in una rinnovata comunione con Dio in Cristo. Seguendo il metodo sapienziale della lectio divina, si possono fare delle brevi riflessioni sui passi biblici che meglio ci dicono che cosa vuoi dire «fare misericordia», secondo la rivelazione che Dio ci ha trasmesso attraverso il suo Figlio. Ed è proprio dalla parola "programmatica" consegnataci da Gesù nel discorso della montagna che si possono offrire alcune brevi considerazioni. Leggiamo nelle beatitudini tramandateci dal vangelo secondo Matteo, che Gesù «in quel tempo, vedendo le folle, salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli» (Mt 6,1). Le folle, che vengono a Gesù da tutte le parti della terra santa, sono già un'immagine profetica ed escatologica della Chiesa nascente e insieme trionfante, il popolo da Lui istruito, sanato, salvato e santificato. In questa prospettiva, porre l'accento sul fatto che il rabbi galileo sale verso il monte, sta a indicare, secondo l'insegnamento dei padri, che si sta compiendo quello che i profeti avevano proclamato.
«Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore, sarà elevato sulla cima dei monti e a esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: "venite, saliamo al monte del Signore, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare nei suoi sentieri"» (Is 2,2-3). La città è posta sul monte perché è luce di santità che attrae, secondo quanto dice dopo lo stesso Gesù: «non può essere nascosta una città posta su un monte» (v. 14). I suoi discepoli devono salire dietro di Lui, distaccandosi dal sentire comune e rovinoso del mondo per dare compimento a quanto è scritto: «tutti i suoi santi sono nelle tue mani, mentre essi, accampati ai tuoi piedi, ricevono le tue parole» (Dt 33,3).
E avendo aperto la sua bocca, li ammaestrava. Agostino così commenta: «Lui che nella Legge antica era solito aprire la bocca dei profeti, come accadde al profeta Isaia la cui bocca fu toccata dal carbone ardente (Is 6,6-7), dopo aver parlato nei tempi antichi, molte volte e in diversi modi ai padri, in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2). Le folle possono sentire le sue parole, ma se non accettano di allontanarsi, di separarsi dai comportamenti e dai pensieri intrisi di rapacità e di egoismo, non possono comprendere l'insegnamento che esce dalla bocca di Cristo che parla dalla pienezza del cuore di Dio» (Mt 12,34).
È in questo contesto redazionale e in questa prospettiva spirituale che si devono leggere le beatitudini e in particolare: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (v. 7). L'usare compassione diventa così la misura del giudizio, com'è detto: «Non dovevi anche tu avere misericordia del tuo conservo come io ho avuto misericordia di te?» (Lc 18,33). Per questo, come afferma la stessa primitiva tradizione ecclesiale, «il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia» (Gc 2,13). Misericordioso è un titolo che spetta a Dio, il solo, vero misericordioso, come testimonia Gesù che chiede al discepolo ascolto e imitazione: «Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro celeste» (Lc 6,36).


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