La domenica delle Palme, per il passaggio dal clima gioioso della commemorazione dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme a quello severo che producono le letture della messa, è forse la celebrazione più suggestiva dell'anno liturgico e certo una di quelle più amate e partecipate. Il passaggio dalla gloria alla croce da parte di Gesù innesca quello dalla croce alla gloria dei suoi discepoli di ogni tempo. La varietà di atmosfere e di temi rende difficile isolare qualche tema in particolare; inoltre il racconto della passione possiede una forza narrativa così straordinaria che chi l'ascolta non può non esserne coinvolto. Favorire la partecipazione a questa ricchezza di atmosfere, sensazioni e pensieri, è la preoccupazione principale di chi ha la responsabilità di farlo. La celebrazione delle Palme ha acquistato un valore simbolico, anche grazie al segno dell'ulivo, che si distribuisce nelle chiese. VITA PASTORALE N. 2/2016
Domenica delle Palme
Is 50,4-7
Fil 2,6-11
Lc 22,14-23,56
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CHE SI È FATTO SERVO
La Parola, che è offerta in questa domenica, è abbondante. Si comincia con la proclamazione del Vangelo, che commemora l'ingresso di Gesù a Gerusalemme. Il brano è tratto da Luca e inizia con l'immagine di Gesù che cammina davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Questa immagine è significativa dello scopo che si prefigge il vangelo di Luca, che è il Vangelo del discepolo che desidera seguire le orme di Gesù. Tutte le strade, anche quella dura che conduce alla croce, il discepolo le percorre perché Cristo cammina davanti a lui, e può percorrerle senza smarrirsi a patto di non perdere di vista Gesù, che cammina davanti. È un'immagine molto forte: cammina davanti e tutto ciò accadrà non lo vede come una vittima delle circostanze, perché lui è il Signore. Chi legge, può restare un po' perplesso di fronte ai particolari delle istruzioni di Gesù a proposito del puledro e alla loro esecuzione. Luca vuole che il discepolo sappia che Cristo è il Signore, è il padrone della situazione. Seguirlo non è scommettere su un sognatore senza speranza perché lui è il Signore.
L'ingresso trionfale a Gerusalemme, pieno di reminiscenze bibliche, serve a far provare a tutti questa signoria che i discepoli devono ricordare quando lo vedranno sospeso sulla croce. La signoria sospesa non è annullata. Le parole che Gesù rivolge ai farisei hanno l'effetto di far capire che, senza la volontà di Cristo, nemmeno la loro violenza potrebbe aver corso. Non si riflette mai abbastanza sul fatto che Gesù ha affermato la sua signoria mettendosi davanti a tutti per salire a Gerusalemme, affrontando così l'umiliazione della condanna e della morte. Si riflette poco che così, però, l'ha affermata per sempre. Se tutto il Vangelo si fosse fermato a questo ingresso glorioso e alle parole vagamente minacciose rivolte ai farisei, sarebbe stata una bella storia che nessuno avrebbe più raccontato. Gesù diventa Signore, quando la sua signoria è sospesa sulla croce. C'è tanta paura nelle nostre comunità cristiane di una storia che non vuole riconoscere più la signoria di Cristo ed è forte la tentazione di difenderla in una specie di guerra di posizione, dove spesso si sente la parola d'ordine che dice che non bisogna cedere, che bisogna difendere. Poca voglia di aprire la strada, di mettersi davanti agli altri anche per la strada di Gerusalemme, come esploratori coraggiosi che sanno che la signoria si afferma vivendo.
Questo è anche quanto si legge nella seconda lettura della messa di oggi, che contiene l'inno dei Filippesi, che descrive il cammino della gloria e l'identifica con quello della croce. Questo brano, riproposto da Papa Francesco nel suo discorso ai delegati della Chiesa italiana, riuniti a Firenze il 10 novembre 2015, è programmatico per il cammino della Chiesa. Paolo parla di Cristo e della sua incarnazione, che descrive in modo talmente forte da non lasciare spazio a nessun fraintendimento. E una poesia, una preghiera, che afferma una cosa inaudita, cioè che Gesù rinuncia alla sua condizione di Dio.
Egli non si aggrappa alla condizione divina come un cacciatore potrebbe fare con la sua preda, cioè con gelosia e possesso, ma si svuota e diventa un uomo. Lo diventa sul serio, perché dell'uomo condivide la condizione di servo, in riferimento alla mancanza di libertà dell'uomo di fronte a tante forze che lo condizionano, fino a condividere l'esperienza più dolorosa della morte del condannato. Conseguenza di tutto questo è la gloria: mettendosi accanto all'uomo, in maniera così sincera e chiara, Gesù non è abbandonato da Dio che lo esalta e lo pone come punto di riferimento di ogni creatura.
Il Papa ha detto: «Guardando il suo volto, che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio "svuotato", di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cf Fil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. Dio - che è «l'essere di cui non si può pensare il maggiore», come diceva sant'Anselmo, il «Deus semper maior» di sant'Ignazio di Loyola - diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo, non potremo vedere il suo volto.
Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell'umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto».
(commento di Luigi Vari, biblista)
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Domenica delle Palme (C)
ANNO C – 20 marzo 2016
IL VOLTO DI UN DIO