II Domenica di Quaresima (C)


ANNO C – 21 febbraio 2016
II Domenica di Quaresima

Gen 15,5-12.17-18
Fil 3,17-4,1
Lc 9,28b-36
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UN'ESPERIENZA DI LUCE
ANTICIPA LA PASQUA

La prima lettura racconta la promessa che Dio fa ad Abramo di una discendenza e di una terra. La prima reazione di Abramo è quella di credere, questa è la risposta del giusto, che è tale perché si fida di Dio. Questa risposta fa sì che il dialogo continui con Dio che si fa riconoscere da Abramo per quello che ha già fatto nella sua vita. Solo a questo punto si fa questione di un segno che spieghi come concretamente la promessa di Dio si realizzerà: «Come potrò sapere?». Dio risponde chiedendo ad Abramo un sacrificio, che lui prepara come gli è chiesto. L'esperienza si riempie adesso di silenzio, perché il tempo passa ed è difficile difendere il sacrificio preparato dagli attacchi degli uccelli rapaci; il sole tramonta; la stanchezza aumenta fino a diventare sonno e il silenzio di Dio si fa pesante. Inizia un tempo di terrore e di buio. Dio interrompe questa condizione, diventa un braciere fumante e una torcia accesa; nel buio, illuminato da Dio, la promessa trova conferma: non una terra qualunque ma quella terra con quei confini. È un racconto di alleanza in cui ogni gesto ha un significato, ma il racconto è molto bello anche perché permette di entrare nel cuore di Abramo.
La prima risposta che ci rende giusti e rende a Dio possibile realizzare le sue promesse, è la fiducia in lui. Una cosa semplice da dire e da comprendere; ma quella veglia di Abramo fra silenzio di Dio, luce che va via, buio che diventa sempre più intenso e fa paura mentre le promesse diventano più vaghe è una prova che ogni credente conosce. È lì, come in momenti simili, che Abramo mostra la sua fede, è proprio nello sbriciolarsi del giorno, che può desiderare Dio luce. Ci possiamo immaginare Abramo, che difende il sacrificio che ha preparato dagli assalti degli uccelli rapaci e pensarlo come simbolo degli uomini e delle donne che difendono la loro fede dall'assalto delle delusioni e delle difficoltà della vita. Questi che vincono la battaglia del buio sono come le stelle del cielo; ogni credente lo è.

Paolo ai Filippesi chiede di farsi suoi imitatori, riferendosi alla sua scelta di essere amico della croce di Cristo, diversamente da quanti hanno deciso di esserne nemici e hanno preferito a Cristo il loro ventre, sovvertendo completamente la scala dei valori. Essere amici della croce di Cristo cambia la direzione dello sguardo; si prende, infatti, come punto di riferimento il cielo, attratti da Cristo, che trasforma in gloria il cammino fragile di ogni uomo. La cittadinanza del cielo, così come quella civile, fa riferimento a qualcosa di più di un sentimento vago, a una vera appartenenza e adesione ai valori e alle regole della città di cui si è cittadini. Un cittadino del cielo non è un marziano, che non conosce la terra, la polvere e il fango, ma è uno che non si accontenta di questo, non si lascia togliere l'orizzonte e non si rassegna a vivere come se non ci fosse il cielo. Un cittadino del cielo non si limita a desiderarlo, lo considera come casa sua, e cerca di esserne sempre più degno, seguendo, fino a imitarlo, chi in cielo abita, il Signore Gesù. È l'uomo che si lascia guidare dallo Spirito, per questo ama. È nella gioia, è operatore di pace, è paziente, è buono, è fedele, è mite e non si lascia dominare.

Il vangelo di Luca racconta la trasfigura zio ne di Gesù. La scena si apre con Gesù, che sale sul monte con Pietro, Giacomo e Giovanni e si ferma su Gesù che prega e, mentre prega, si trasforma e intorno a lui si trasforma la scena che si popola di altri personaggi, Mosè ed Elia. Una visione che non è fine a sé stessa. Fra loro, infatti, parlano delle cose che Gesù dovrà affrontare a Gerusalemme; parlano della storia della salvezza. Nella descrizione del risveglio, nella confusione di Pietro, che lo fa straparlare, Luca dice chiaramente che questa è una manifestazione di Dio. La nube e la voce aggiungono altri elementi al racconto, che unitamente al timore dei discepoli, è un atto di fede in Cristo Signore. La scena si chiude su Gesù solo e sul silenzio dei discepoli, che più che il silenzio della riservatezza, è il silenzio che nasce quando non si trovano le parole, sia per raccontare quello che si è visto, sia per rapportarsi con quel maestro, che ora sanno essere un'altra cosa.
Letto dal punto di vista della fede dei discepoli, questo brano rivela molti aspetti che non sono secondari; il primo è che è Gesù a portarli con sé a quell'appuntamento straordinario. Nel cammino per raggiungere la cima del monte la stanchezza diventa sempre più forte e, forse, nasce il dubbio sull'utilità del salire. Il secondo è che Gesù insegna loro, pregando, che nessun passo è possibile senza la preghiera, di cui, informati dalle cose che Mosè ed Elia discutevano con Gesù, possiamo anche immaginare il contenuto. Il sonno dei discepoli non è solo segno della stanchezza e della difficoltà a capire, ma è anche una difesa che Gesù opera nei loro confronti, l'attenzione affettuosa dell'amico che lascia all'altro il tempo di capire e la libertà di decidere. Il risveglio, la confusione e il silenzio dei discepoli, uniti al timore, sono anche significativi per comprendere come l'esperienza di Dio non sia un gioco, ma qualcosa di molto serio, non comunissima. Osservata dal punto di vista dei discepoli, questa esperienza, che li prepara ad affrontare le contraddizioni della passione, aiuta a riflettere su molte delle esperienze di fede che oggi si moltiplicano.

VITA PASTORALE N. 1/2016
(commento di Luigi Vari, biblista)

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