L'offerta delle primizie di cui parla il Deuteronomio, proietta il lettore in un'atmosfera di gioia, perché le primizie si legano al possesso della terra, al raccolto, alla primavera. Liturgicamente per gli ebrei il tempo dell'offerta si colloca nel periodo che va dal giorno di Pentecoste alla festa delle capanne. La gioia delle cose è sostenuta dalla gioia di ricordare quello che esse rappresentano, cioè la fine della schiavitù del popolo e del suo destino di profugo e fuggiasco. In occasione di questa offerta, si pronuncia un atto di fede con cui si riconosce che autore della liberazione e della gioia è stato il Signore. Le primizie sono il simbolo del grazie che nasce nel cuore del credente. VITA PASTORALE N. 1/2016
I Domenica di Quaresima
Dt 26,4-10
Rm 10,8-13
Lc 4,1-13
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FIDANDOSI DI DIO
Come trasformare il tempo in tempo di gioia? Con un sacco di persone insoddisfatte o dubbiose, che tendono a rinunciare al pensiero di una vita dove prevalgano le parole del ringraziamento su quelle del lamento, come si fa? Il libro del Deuteronomio suggerisce di non mettere Dio fuori dalla vita, di far memoria di lui come fonte di gioia. Il credente si immagina come colui che presenta il cesto delle primizie, le cose preziose della propria vita, e le agita davanti a Dio riconoscendo che se ci sono cose belle, se c'è un sorriso, un grazie, questo è perché Dio non smette di prendersi cura di lui. Si pensa alla Quaresima in tanti modi. Anche questo può essere uno: trasformare il proprio tempo in tempo di gioia, soprattutto in quest'anno della misericordia.
L'apostolo Paolo fa riferimento a un brano del Deuteronomio che parla della vicinanza della Parola alla vita del popolo d'Israele. Paolo interpreta quelle parole e spiega in che cosa consista questa vicinanza: la vicinanza della Parola, la prossimità di Dio, è Cristo. Credere in Cristo, proclamare che è il Signore: è quello il modo, perché Dio sia presente nella vita di ognuno. I rabbini dicevano che la vicinanza della Parola si realizza nella Torah, Paolo dice che si realizza in Cristo. Se nel primo caso era necessario conoscere e rispettare la Torah e far parte del popolo della Torah, per Paolo basta credere in Gesù Cristo.
Nonostante quello che si pensa, tutti preferiscono una fede piena di regole a una fede piena di fiducia. Le regole danno una sicurezza, sono una linea di demarcazione, sia che si rispettino sia che no. Rispettare le regole ci fa sentire a posto, non farlo ci dà l'alone che circonda di fascino chi si ribella. Una fede piena di regole alla fine diventa un esercizio in cui è facile che si annidi la superbia. Paolo dice che non ci si accosta alla Parola, a Cristo, come a un arbitro, ma come al Signore risorto. Se ci si fida di lui, della sua forza, si trova la salvezza. Chiunque tu sia, di qualunque cultura, storia, tu sarai salvo. Una fede piena di fiducia non è una cosa facile, perché è piena di umiltà, affida la riuscita della propria vita a colui che è riconosciuto come Signore.
È proprio la fiducia in Dio, il ricordo di lui come origine di ogni bene e di ogni vita, che sono al centro del racconto delle tentazioni di Gesù nel testo di Luca. Fino a questo punto del racconto tutti hanno proclamato che Gesù è il Figlio di Dio ed è proprio questa identità che è messa in discussione dal diavolo. C'è sotto tutte le proposte che Gesù riceve, un'unica proposta, quella di fare da solo, di prendere delle scorciatoie, di restare pienamente padrone del suo destino, alla fine di non fidarsi di Dio. Si ripete la condizione dell'Eden, si ripete quasi il dialogo fra l'uomo e il serpente.
Le tre tentazioni, che nel tempo sono state attualizzate in modi diversi e interessanti, sono solo una, quella di mettersi al posto di Dio. La terza tentazione è quella più esplicita perché insinua il dubbio che Dio interverrà quando si tratterà di salvare il Figlio, soprattutto vuole dettare le regole del modo di essere di Dio. Queste tentazioni mostrano Cristo vittorioso e confermano il dato biblico che il giusto è tale nella prova.
Se è vero che chi resta collegato a Dio trova il passo per trasformare il tempo della vita in tempo di gioia, nel racconto delle tentazioni Gesù diventa una guida per aiutare i suoi discepoli a operare questa trasformazione. Sperimentando quanto la fame, la paura del futuro, il dubbio su Dio, possano mettere alla prova la vita di un uomo, mostra quale sia il sentiero della vittoria. Tutti dicono che Gesù è il Figlio di Dio, ma importa poco che lo dicano gli angeli, i pastori, Simeone, Anna, il Battista... importa che lo dica Gesù stesso con la sua testimonianza. La prima testimonianza la dà qui, non cedendo alle parole del diavolo, ai ragionamenti sensati, alle conclusioni inevitabili, ma restando fermo nella sua fede. L'argomento del credente è la fede. Su questo non ci si convince mai abbastanza.
Il credente dà testimonianza rifiutando le scorciatoie che la vita mette davanti, per cui ogni problema si può risolvere saltandolo o trovando la soluzione che costa meno impegno e meno sacrificio. Non cedere al buon senso del diavolo non appesantisce il passo, anzi permette un cammino che non abbia come meta sicura il rimpianto e la tristezza. Molti tendono a descrivere i credenti come persone che rinunciano a qualcosa della propria sovranità; basta contemplare Cristo nel deserto per dubitare che sia così, non c'è persona più dignitosa di lui che vince, del credente che vince con lui.
(commento di Luigi Vari, biblista)
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I Domenica di Quaresima (C)
ANNO C – 14 febbraio 2016
SI VINCE IL MALE