Pentecoste (C)

La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 4/2016)



ANNO C – 15 maggio 2016
Pentecoste

At 2,1-11
Rm 8,8-17
Gv 14,15-16.23b-26
(Visualizza i brani delle Letture)


LO SPIRITO APRE
ORIZZONTI NUOVI

Leggendo e rileggendo il racconto di Atti che narra della Pentecoste, ci si ferma su mille particolari, com'è bene fare per l'evento fondamentale della missione della Chiesa e si colgono tutte le indicazioni che Luca, da fine narratore, ha messo nel racconto perché il lettore possa comprendere ogni cosa. Fra gli elementi che maggiormente si mettono in luce, ci sono: l'unità dei presenti; l'irruzione dello Spirito, descritta con immagini indimenticabili; il miracolo delle lingue; l'effetto sulle persone che si trovavano a Gerusalemme e i loro commenti; la tavola dei popoli che funziona come un programma di evangelizzazione. Molti altri sono i motivi presenti in questo brano, forse l'unico limite che abbiamo sta nel modo di leggerlo come avvenimento irripetibile confinato nel passato; la Pentecoste come evento che fa nascere la Chiesa è sempre presente nella vita della Chiesa e i segni di allora devono poter essere colti nell'esperienza di sempre.
Tornare ogni tanto al cenacolo è un desiderio che bisogna coltivare, non per una voglia di tranquillità, ma per rinnovare la consapevolezza che senza il dono dello Spirito non si saprebbe bene che cosa fare usciti da Gerusalemme. Rinnovare la coscienza che il dono dello Spirito è un dono che viene da fuori di noi, dall'alto, è improvviso, imprevedibile sia nella sua origine, sia nei suoi effetti. Riprendere coscienza che gli effetti di quel dono sono immancabili e sono straordinari. Tornare al cenacolo serve per ricordarsi che ne siamo usciti con la forza e la potenza di Dio che ci spinge fuori a parlare la sua lingua, che tutti capiscono senza sforzo. C'è sempre bisogno di imparare la lingua di Dio, il suo suono e i suoi contenuti che quando li sostituiamo con i nostri diventano incomprensibili.

Attraverso la tecnica dell'opposizione, l'apostolo Paolo presenta le caratteristiche dell'uomo dominato dallo Spirito, che sono opposte a quelle dell'uomo dominato dalla carne. Del dominio della carne, intesa qui come principio di debolezza e fragilità, chiusa all'azione di Dio, è inutile parlare perché ognuno ne fa esperienza. Tutto diverso è il caso del dominio dello Spirito. L'uomo dominato dallo Spirito, osserva un commentatore, ha come caratteristica la speranza, perché, pur facendo esperienza di morte, è in comunione con la vita perché è in comunione con lo Spirito di Cristo risorto. L'uomo che appartiene allo Spirito sa come farsi guidare da Dio, e impara con Cristo a fidarsi di Dio, fino alla confidenza del bambino che si rivolge a suo padre, chiamandolo papà. L'uomo dello Spirito conosce la sofferenza, ma comprende il suo cammino come un cammino di gloria, in comunione con Cristo di cui sa di essere fratello. È inutile parlare dell'uomo dominato dalla carne, cioè di quanta disperazione e tristezza possono insinuarsi nell'esistenza lontana da Dio ma, ciò nonostante, ne parliamo continuamente quando ci attardiamo con dovizia di particolari a descrivere i limiti e le fragilità dell'essere umano. Paolo ci dice che nella descrizione del peccato non c'è novità. L'umanità ha bisogno, invece, di vedere uomini dominati dallo Spirito, persone capaci di speranza, che abbiano confidenza con Dio, che si fidino di lui, traendo da questa fiducia la forza per affrontare la vita e raccontarla come un cammino verso la gloria.

La pagina del vangelo di Giovanni riferisce un discorso di Gesù, che mostra una sequenza chiara: «Se mi amate... Se uno mi ama... Chi non mi ama...». Il segno dell'amore è osservare i comandamenti, osservare la parola di Gesù, così come quello del non amore è di non osservare le parole di Gesù. Il frutto dell'ascolto è l'invio del Paraclito, che rimane sempre con i discepoli, che diventano come la casa di Dio, il tempio, la sua dimora. C'è una comunione fra il Padre e il Figlio di cui il discepolo di Gesù viene a far parte, è questo il dono dello Spirito, che ha come missione quella di insegnare e ricordare le parole di Gesù. Questi due verbi, insegnare e ricordare, danno l'idea dello Spirito che aiuta la Chiesa a comprendere sempre meglio, man mano che cammina nella storia, il senso delle parole di Gesù.
Se lo Spirito fa entrare sempre meglio nel senso delle parole di Gesù, la comunità dei credenti, altrimenti definiti da Giovanni come quelli che amano Cristo, ascoltano la sua parola e sono tempio di Dio, è impegnata a scoprire sempre di più ogni cosa che c'è da scoprire. È l'esperienza unica del cristiano che non si limita ad apprendere il Vangelo, ma lo ascolta, cioè lo fa diventare vita, e mentre fa questo scopre nuovi sentieri, intravvede altre prospettive e altri orizzonti.
Vivere con Dio dentro è lasciarsi guidare a scoperte sempre nuove, a non accontentarsi mai, a cercare sempre. La vita pone domande nuove, i temi si accavallano, le emergenze s'inseguono, la domanda dell'uomo abitato da Dio è sempre e solo una, qual è il senso di questa novità? Quale Vangelo c'è per questa situazione sconosciuta? Quale cosa non ancora compresa deve esserlo? Il credente guidato dallo Spirito non ha paura degli orizzonti nuovi, anzi ne è affascinato, li vede come occasioni che lo Spirito coglie per insegnare e ricordare. Quando accade che di fronte a qualche situazione inattesa ci ricordiamo di una parola del Vangelo, è quello il momento in cui lo Spirito insegna significati sconosciuti.

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