Ascensione del Signore (C)

La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 4/2016)



ANNO C – 8 maggio 2016
Ascensione del Signore

At 1,1-11
Eb 9,24-28; 10,19-23
Lc 24,46-53
(Visualizza i brani delle Letture)


CON LO SGUARDO
RIVOLTO AL FUTURO

La prima lettura di questa solennità è tratta dal libro degli Atti, essa si ripete ogni anno perché racconta in breve sintesi il tempo che passa dalla risurrezione all'Ascensione e il fatto stesso dell'Ascensione. La situazione descritta fa riferimento a una grande cura di Gesù risorto nei confronti dei suoi discepoli, che istruisce sul regno di Dio e rassicura promettendo il dono dello Spirito Santo. Le domande che essi fanno, oltre i contenuti che rivelano una giusta curiosità sui tempi della salvezza, sono testimonianza di un dialogo vivo come quello che normalmente avviene fra persone che sanno di collaborare a un unico progetto, un dialogo cui Gesù non si sottrae, la sua risposta non è evasiva, ma contiene la promessa di una presenza sempre viva in mezzo a loro con il dono dello Spirito. Senza il dono dello Spirito il tempo che inizia con l'Ascensione sarebbe solo un tempo riempito di memorie, senza presente. Con quel dono la memoria è sempre presente, la presenza sempre attuale e lo sguardo è sempre rivolto al futuro, riempito da Cristo vivo.
La richiesta dei tempi del regno da parte dei discepoli è forse il segno di un rischio che corrono, quello di non dare importanza al tempo presente. Hanno Cristo in mezzo a loro e si preoccupano ancora di quello che sarà, la richiesta forse è legittima ed è comunque occasione per Gesù di dire a loro e a noi che attorno a Cristo risorto ogni tempo è un tempo di salvezza, la condizione di questa comunione è per ogni credente rimanere immerso nello Spirito Santo. Si potrebbe pensare che il segno di questo battesimo è proprio l'amore e la stima del tempo presente, cosa per nulla scontata, come non lo era per i discepoli nel cenacolo e dopo, quando vedono Gesù salire al cielo.

Della lettera agli Ebrei si legge il brano che parla della superiorità del sacerdozio di Cristo nei confronti del sacerdozio del tempio, superiore perché è definitivo, superiore perché l'offerta non consiste in un animale, ma in Cristo stesso e superiore in quanto agli effetti, che consistono nel togliere il peccato di molti. Così ognuno sa che, attaccandosi a Cristo, è ormai libero di entrare in relazione con Dio, è in grado di farlo, può, restando in comunione con questo sommo sacerdote, trovare la strada della speranza. Il tempo che prepara la sua seconda venuta definito come tempo di comunione. Cristo è il lasciapassare verso Dio, la comunione con lui è la porta aperta alla vita. Nel moltiplicarsi di esperienze spirituali si rischia di relativizzare tutto, come se tutte le strade fossero buone. La lettera agli Ebrei ricorda che la strada definitiva, non velleitaria ma efficace è quella della comunione con Cristo; suggerisce un criterio per fare un po' di chiaro nel caos delle scelte possibili, e il criterio è di restare con chi, una volta per tutte, ha sconfitto la regola per cui ad averla vinta, nonostante i desideri e i grandi tentativi, è sempre il peccato.

Il brano di Luca è quello finale del vangelo. Ognuno coglie subito la sua somiglianza con il brano di Atti letto nella prima lettura; ciò che emerge è che Gesù nel momento della conclusione della sua presenza terrena con i suoi, li istruisce attorno alla loro missione, indicando quello che devono annunciare, cioè la sua morte e risurrezione, la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Inoltre promette lo Spirito Santo, potenza di Dio che permetterà loro di realizzare la missione. La scena dell'Ascensione aggiunge a quella descritta da Atti, il motivo di Gesù che benedice e dei discepoli che si prostrano in adorazione e che, tornando a casa, a loro volta benedicono Dio e sono pieni di gioia.
L'ascensione per com'è descritta è il passaggio da una presenza all'altra e non come la fine di una presenza; Cristo continua ad annunciare la conversione e il perdono dei peccati attraverso la Chiesa, che lo riconosce come Signore, tenendolo come unico punto di riferimento e fonte della propria gioia.
La Chiesa non è un'associazione che si organizza per tenere viva la memoria di una personalità scomparsa, custodendo e ricordando le sue parole, impegnandosi a marcarne l'attualità. La Chiesa è comunità di discepoli di un vivente, che continua ad attraversare con le sue parole e i suoi gesti la vita del mondo. Cristo è sempre il protagonista della missione e chiede continuamente a tutti la conversione, annuncia che questa è possibile perché i peccati sono perdonati. Annuncia che è possibile pensare e progettare una vita libera dalla regola per cui le cose belle che si vorrebbero, poi non è possibile realizzarle, perché ciò che rende provvisori i buoni pensieri e momentanei gli slanci di bene, cioè il peccato, è stato sconfitto e quindi si può cambiare.
Si può cambiare, è questa la consapevolezza che rende gioiosa la vita dei discepoli di Cristo. Si può cambiare, perché la morte e risurrezione di Gesù hanno reso possibile farlo. A chi si chiede dove s'impara a cambiare e dove ci si può rendere conto dei cambiamenti, senza lasciarsi scoraggiare e maturare un sentimento di abbandono e di solitudine, il vangelo risponde indicando come luogo caratteristico quello della preghiera; è lì che uno continua a sentire la presenza di Cristo vivo e impara a coglierla attorno a sé, è lì che uno scopre che Cristo è potente nella sua vita e in quella del mondo.

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