III Domenica di Pasqua (C)


La Parola
Commento di Luigi Vari
Vita Pastorale (n. 3/2016)



ANNO C – 10 aprile 2016
III Domenica di Pasqua

At 5,27b-32.40b-41
Ap 5,11-14
Gv 21,1-19
(Visualizza i brani delle Letture)


UN SEMPLICE PASTO
SULLE RIVE DEL LAGO

In una scena di processo gli apostoli sono interrogati a proposito della loro predicazione, pericolosa non solo perché è un atto d'insubordinazione verso l'autorità del sommo sacerdote, ma, molto di più, perché radicava in chi ascoltava la convinzione che la morte di Gesù fosse responsabilità dell'autorità giudaica. La risposta di Pietro riprende un principio condiviso anche dai suoi accusatori e cioè, dovendo scegliere, si deve obbedire piuttosto a Dio che agli uomini. Obbedire a Dio è dire la verità sia sul comportamento delle autorità, sia sulla persona di Gesù e sulla sua missione. La reazione del tribunale, che ordina la flagellazione degli apostoli, è un ulteriore segno della sua ipocrisia, perché non crede ai principi che afferma, come quello del primato di Dio. Il brano si chiude con la notazione sulla gioia degli apostoli, contenti di essere stati riconosciuti degni di subire oltraggi per il nome di Gesù, cioè legati a lui, degni di lui.
Essere riconosciuti come degni di qualcuno e pensare che questa è la fonte della gioia per una persona, è un messaggio niente affatto scontato per molti di noi che si barcamenano e si impegnano per non essere mai di nessuno. Soffrire perché si vuole bene e si è fedeli a qualcuno ed essere orgogliosi di essere capaci di farlo, non è scontato e nemmeno comune nella cultura per cui essere foglia al vento è meglio che essere albero con radici profonde. I testimoni del Risorto sono quelli che non hanno paura di credere in qualcosa e amare qualcuno e di farlo per amore del nome, cioè per amore di Gesù, anche se questo li porta spesso di fronte al tribunale di chi si riempie la bocca di principi senza sognarsi di applicarne mai qualcuno, di chi segue la retorica del nulla che toglie il respiro, ma non deve far venire meno il coraggio.

Nella lettura dei fatti, che l'Apocalisse insegna a fare, il principio ribadito da Pietro nel suo discorso negli Atti, sul primato di Dio come elemento di discernimento per orientarsi nella vita e nella storia, è reso plasticamente; infatti, il veggente di Patmos deve muoversi nella storia con una visione chiara che è quella di Cristo, agnello immolato, unico degno di ricevere da tutte le creature lode, onore, gloria e potenza. La visione descrive l'universo intero in adorazione del Risorto, che appare come il centro verso cui tutto converge. L'Amen, con cui il brano dell'Apocalisse termina, è quello che appartiene ad ogni cristiano che crede che il Risorto sia al centro della storia del mondo e sua personale, e riconosce che questo primato Cristo l'ha raggiunto passando per la croce. Dire questo Amen è dire che ci si fida dell'amore di Cristo, della sua potenza e della sua forza, per cui non si ha nessun dubbio nelle scelte che la vita quotidianamente chiede di fare. Infatti ogni scelta sarà quella giusta se non mi allontanerà dal Risorto, se manifesterà il mio essere orientato a lui e attratto da lui. Mi fido dell'amore di Cristo, questo è il criterio che Giovanni suggerisce a chi domanda come comportarsi nelle strettoie della vita.

II brano del vangelo di Giovanni è ricchissimo: contiene il racconto della pesca miracolosa, del pasto di Gesù con i suoi, del dialogo fra Gesù e Pietro con l'affidamento della missione e della previsione della sua morte. Questo capitolo ventuno è una catechesi sulla Chiesa, comunità che trova la sua forza nella comunione con Cristo, senza di lui la pesca non ha risultati. La comunione è ancora più evidente nel pasto che Gesù prepara per i suoi. La caratteristica ecclesiale emerge poi dal dialogo con Pietro, che riceve la missione di pascere le pecore del gregge di Cristo. Ma la Chiesa non è fatta solo di Pietro, gli altri non sono solo spettatori, ma acconsentono alla decisione di Simone di andare a pescare, sono destinatari dell'invito di Gesù a gettare la rete, sono loro a sforzarsi di portarla a riva ed è per loro che Gesù prepara il pasto. Fra tutti emerge il discepolo che Gesù amava che, come già al sepolcro, è il primo a riconoscere la presenza del Risorto e suscita la fede di Simone. Nella trama una moltitudine di dettagli narrativi che fanno di questo capitolo un capolavoro: la menzione dell'alba, Pietro che si veste prima di gettarsi in acqua, il fuoco sulla spiaggia, il gioco dei verbi agapao e phileo nel dialogo tra Gesù e Pietro, il tema della missione di Simone.
Che ne sarebbe di questo gruppo di pescatori che vanno via da Gerusalemme e si trovano di nuovo sulle rive del lago di Tiberiade a fare lo stesso mestiere di prima dell'incontro con Gesù, se il Risorto non fosse con loro? Le reti vuote rappresentano la risposta alla domanda, niente! La loro risposta allo sconosciuto, che chiede loro se hanno qualcosa da mangiare, è un secco no, è la risposta che senza la presenza del Risorto, la comunità cristiana si ritroverebbe a dare a chiunque si accostasse ad essa per chiedere un aiuto. La presenza del Risorto rende fruttuosa la pesca e fa della loro missione una pesca miracolosa, la presenza del Risorto che prepara lui stesso il pasto la rende capace di rispondere alle domande di ognuno e non in modo provvisorio, ma offrendo il pane della vita. La presenza del Risorto la rende elemento di unità, simboleggiata dalla rete senza strappi, per l'umanità e non ennesimo motivo di divisione. La presenza del Risorto rende capace questo gruppo e Simone prima di tutto di testimoniare qualcosa di più della solidarietà e dell'amicizia, il di più che è l'amore di Dio.

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