II Domenica di Pasqua (C)


ANNO C – 3 aprile 2016
II Domenica di Pasqua

At 5,12-16
Ap 1,9-11a.12-13.17-19
Gv 20,19-31
(Visualizza i brani delle Letture)


APRIRE IL CUORE
A SPAZI DI COMUNIONE

Nell'anno giubilare della misericordia questa domenica assume un'importanza particolare, un'occasione per riflettere ancora sui motivi e le implicazioni del giubileo della misericordia. La situazione descritta dagli Atti degli apostoli è particolarmente significativa a causa della gente che ascolta la predicazione degli apostoli, da una parte affascinata dalla Parola e dall'altra impaurita dalle conseguenze che un'adesione ad essa avrebbe potuto avere.
Conseguenze sia sul piano sociale che su quello spirituale, viste le condizioni severe che richiedeva l'appartenenza a quel gruppo. Il timore, però, non è tale da impedire a molte persone di affidarsi alla sua potenza. La potenza della Parola passa attraverso gli apostoli, particolarmente attraverso Pietro, che guarisce con la sua ombra, che è, evidentemente, l'ombra di Dio. Tutti, anche dalle città vicine, accorrono perché vengono a sapere che a Gerusalemme c'è una Parola che guarisce.
L'accenno all'ombra di Pietro, capace di guarire, allude forse a una forza della Parola di cui nemmeno l'apostolo è consapevole, così come non lo si è della propria ombra. La Parola annunciata dal primo gruppo di cristiani guarisce e risana anche quelli che non appartengono a quel gruppo, anzi hanno paura di farlo. Si potrebbe dire che la condizione di bisogno è un argomento sufficiente, che elimina le altre considerazioni sul coraggio, sulla coerenza o altro. Probabilmente molti guariti saranno diventati cristiani, ma è evidente che il dono viene prima dell'impegno e del merito. Parlare dell'ombra di Pietro, poi, vuole forse dire che la preoccupazione del testimone non deve essere quella di essere avvertito in tutta la sua consistenza, ma piuttosto quella di non fare ombra alla Parola.

La lettura dell'apertura di Apocalisse informa il lettore sull'autore del libro, che si trova a Patmos, in esilio per la sua fede cristiana. Si allude poi anche al tempo delle visioni, una domenica e quindi, probabilmente a un'assemblea liturgica in cui si riflette sulle vicende che riguardano la Chiesa, simboleggiata nella sua universalità con il numero sette. Non è, però, una comunità piegata su sé stessa che parla delle sue difficoltà e di quelle delle altre comunità; è piuttosto una comunità in ascolto del Risorto, che costituisce il suo centro di gravità. Con una costruzione simbolica facilmente interpretabile è presentato Cristo risorto, che invita la comunità a scrivere su un libro il passato, il presente e il futuro, in una riflessione ed esplorazione guidata da lui. Il tempo centrale della comunità e di ogni persona è il presente, sostenuto dal passato e aperto verso il futuro. Già scorgere il futuro nel presente è un atto di speranza, che è sempre meno comune fra le persone, ma non può essere così fra i credenti. Non si tratta di prevedere le cose che saranno, ma, e a questo introduce la guida del Risorto, pensare e credere che il futuro non potrà che essere nel segno della vita. La chiave per vivere nel tempo presente, anche se può essere cupo come quello sperimentato dalla comunità di Patmos, è viverlo come contemporanei del Risorto, che con la sua esperienza di vittoria sulla morte, incoraggia i suoi discepoli.

Può essere utile leggere la pagina del vangelo di Giovanni facendo attenzione agli spazi che sono messi in scena; prima di tutto lo spazio angusto e chiuso del luogo dove i discepoli sono riuniti; spazio interrotto da Gesù prima di tutto con il suo ingresso improvviso, e poi con le parole che aprono alla missione. Tutto diventa reale con il dono dello Spirito, quasi un anticipo di Pentecoste. Tommaso è fuori dallo spazio degli altri, sia fisicamente sia interiormente, perché non è disponibile a credere alle parole degli altri anche perché non era lì a ricevere il dono dello Spirito; a lui è offerto un altro spazio, quello del corpo di Cristo e delle piaghe. Deve toccare quel corpo e mettere le mani in quelle ferite. Lo spazio offerto a Tommaso è uno spazio di comunione, capace di aprirlo alla professione di fede. Lo spazio di comunione, suggeriscono le parole di Gesù, non ha bisogno di essere fisico, è uno spazio di fiducia e di fede. Il frutto della comunione è la gioia. La comunione, per restare nella logica del racconto, è il dono dello Spirito.
Senza la presenza del Risorto le porte sono chiuse in difesa contro nemici veri o immaginari che sono alla soglia; senza la presenza del Risorto è impossibile aprire il proprio cuore a spazi meno angusti di quelli per motivi diversi ma riconducibili tutti alla delusione e alla paura. Non è raro che si sentano persone che portano a giustificazione della propria aridità le cose brutte che hanno dovuto vedere e subire, esattamente come i discepoli che avrebbero potuto rispondere a quelli che chiedevano loro conto di tanta chiusura, raccontando le vicende del calvario. Solo il Risorto può interrompere questi spazi di disperazione, irrompendo nella vita delle persone, chiedendo come condizione quella della comunione e soprattutto donando loro lo Spirito.
Il racconto di Tommaso indica che Cristo non mette limiti alla ricerca della comunione, si fa mettere letteralmente le mani addosso per suggerire che non è necessario questo, che i cristiani di ogni tempo possono fare la stessa esperienza di Tommaso, la condizione unica è quella della fede in lui.

VITA PASTORALE N. 3/2016
(commento di Luigi Vari, biblista)

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