Domenica di Pasqua (C)


ANNO C – 27 marzo 2016
Domenica di Pasqua

At 10,34a.37-43
Col 3,1-4
Gv 20,1-9
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ESSERE TESTIMONI
DELLA RISURREZIONE

Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. Questo è un verso della sequenza che si canta nel giorno di Pasqua che, forse, non rende bene il senso dello stupore che, invece, il testo latino, in quanto alla costruzione del verso, rende molto di più: dux vitae mortuus, regnat vivus. Se ripetessimo lo schema della cena pasquale ebraica e dovessimo anche noi rispondere al più piccolo che ci chiede il perché di tanta luce e festa di questo giorno, dovremmo dire che il motivo è che nella lotta fra morte e vita la morte è stata sconfitta. È talmente dominata dal pensiero della morte la nostra cultura, che l'annuncio della vittoria della vita non solo è necessario, ma è sempre nuovo; talmente è radicata la morte nel nostro modo di fare e di pensare, che sarebbe sbagliato dare per scontata la Pasqua.
La vittoria di Cristo non è stata mai scontata, nemmeno per i suoi discepoli più vicini; è stata una scoperta per loro, una notizia difficile da riferire, per questo non ci sono motivi perché noi la possiamo dare per scontata e parlarne en passant. I segni della morte, infatti, sono talmente diffusi e potenti, che non si può non perdere l'orientamento. Le guerre, le violenze, la follia terrorista, la morte, ci hanno abituati; ci si scuote solo quando accade qualcosa di molto vicino o molto crudele, ma l'assuefazione, purtroppo, è una minaccia reale. Anche Maria di Magdala, Pietro, Giovanni, anche loro, anche se addolorati, avevano accettato il pensiero della morte del Maestro, e si erano dimenticati o, come dice il vangelo di Giovanni di oggi, non avevano ancora compreso la scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Quando era ancora buio. L'accenno al buio è anche riferimento al cuore di Maria, è allora che Maria vede la pietra rimossa dal sepolcro di Gesù. L'interpretazione del fatto che dà Maria è un'interpretazione da buio, così parla a Pietro e Giovanni di qualche complotto ordito dai nemici di Gesù. Alla corsa agitata di Maria segue quella di Pietro e di Giovanni. E Giovanni, il discepolo amato, che con uno sguardo coglie i particolari che lo portano a pensare che le cose non stanno come afferma Maria: tutto è in ordine. La vita si nasconde discreta nei teli posati e nel sudario piegato, essi per sé sono segni di morte, ma attraversati dalla vita danno allettare la sensazione del bucato fresco, si vede il colore della vita e se ne sente l'odore, nel sepolcro che è costruito per custodire la morte. È Simone che entra, che osserva meglio, che fa strada al discepolo che lo aveva aspettato, che vide e credette. Il passo e la fede di Giovanni sono più rapidi di quelli di Simone, che si unisce al giovane discepolo nel ricordo delle parole della Scrittura, nell'interpretazione di ciò che hanno visto. C'è nell'episodio una successione particolare, prima c'è il verbo vedere, poi il verbo credere e infine il verbo comprendere.
Tutti i testimoni della risurrezione cominciano con il racconto di quello che hanno visto, non fanno teoremi particolari, ma narrano di un sepolcro vuoto, di teli e di un sudario, di un viandante, di un giardiniere, di cose non straordinarie e interpretabili in maniere diverse, pure segni chiari per chi crede nella vita. La storia di Maria, Pietro e Giovanni è storia di amicizia, di fiducia, di tanto tempo passato insieme, di sogni e delusioni condivise con il Maestro; è questa condivisione di vita che permette di cogliere i segni della risurrezione e far rivivere nei loro cuori la fede.
Poi viene il ricordo delle parole ascoltate, della Scrittura letta, il tempo della comprensione e dell'interpretazione per capire meglio, quasi a rendere stabile un'esperienza troppo bella per essere vera. Solo loro potevano riconoscere quei piccoli segni, solo loro potevano correre per capire che cosa fosse successo veramente senza lasciarsi imprigionare dalla prima spiegazione, quella più scontata e influenzata dal dolore e dalla delusione.

San Paolo nella lettera ai Corinzi descrive il testimone della risurrezione, ne indica piuttosto la funzione: è pasta nuova, è pane azzimo. Il lievito vecchio, cercato negli angoli più nascosti e distrutto, è tutto quanto non permette alla speranza di farsi strada nel cuore, è ogni sapore a cui ci si abitua, il sapore amaro della violenza e della morte. Il cristiano, pane nuovo, è libero dall'assuefazione alla morte, è capace di cogliere i segni nascosti della vita, è capace di credere nella vita. Come per Maria, Pietro e Giovanni e gli altri testimoni della risurrezione, questa novità nasce dalla comunione con Cristo. Solo essa permette di vedere, credere e comprendere.
È una storia di amicizia e comunione che Pietro racconta negli Atti degli apostoli, dove, dopo aver accennato alla potenza di Gesù di Nazaret, di cui è stato, insieme con gli altri discepoli, testimone; cioè dopo aver accennato alla sua amicizia di prima, ora si accredita come testimone della risurrezione, facendo riferimento all'amicizia di adesso: si è manifestato a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la risurrezione dai morti. È la comunione, l'amicizia con Gesù, che accredita il testimone della risurrezione e che, anzi, lo rende capace di esserlo. Una storia di amicizia, quella che ogni cristiano deve aver desiderio di vivere con Cristo, con il sogno di essere capace non di fare propaganda alla risurrezione, ma di esserne testimone.

VITA PASTORALE N. 2/2016
(commento di Luigi Vari, biblista)

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