Santa Famiglia (C)


ANNO C - 27 dicembre 2015
Santa Famiglia

1Sam 1,20-22.24-28
1Gv 3,1-2.21-24
Lc 2,41-52
(Visualizza i brani delle Letture)


LA FAMIGLIA, LUOGO
DOVE DIO ABITA

Poiché la famiglia è una delle realtà più sconvolte in questo tempo, almeno in Occidente, e si trova difficoltà persino a definirla, la tentazione di entrare nel vivo delle discussioni è forte. Gli aggettivi che si aggiungono al termine famiglia sono quasi tutti negativi, e spingono i difensori della famiglia a mettersi, meritevolmente, in trincea. È un fatto che raramente si sente parlare della famiglia e se ne ricava un senso di gioia e di pace, così com'è raro non trasformare ogni intervento sulla famiglia in un'esortazione a non cadere nei pericoli che la minacciano.
La festa di oggi non è un contributo alla discussione, ma chiede di sostare un momento per ricordarsi che questa famiglia è il luogo dell'uomo, scelto da Dio per scrivere la storia della salvezza. Una sosta per ricordare che questo luogo della famiglia, che tutti in qualche modo viviamo, per ricordare che la Chiesa è una famiglia, e che la famiglia è un luogo dove Dio abita. Una sosta che non serve a cercare altri motivi di discussione ma piuttosto incoraggiamento e consolazione.

Il libro di Samuele ci porta al momento conclusivo della vicenda di Anna che, umiliata dalla sua sterilità, chiede a Dio di essere liberata da quell'umiliazione promettendo che se fosse nato un figlio lo avrebbe consacrato a lui. Sappiamo come il figlio Samuele sarà importante nella storia d'Israele: sarà lui che sceglierà e consacrerà Davide, da cui nascerà il Messia. Leggendo la storia di Anna, la sensazione più forte è quella della sofferenza prima della nascita, perché è umiliata, considerata inutile e dopo la nascita perché deve allontanarsi dal figlio. L'altra sensazione è che lei era molto amata, soprattutto dal marito, che la ama e non vorrebbe mai vederla soffrire; che acconsente a realizzare il suo voto; che l'accompagna al tempio per realizzarlo. Tutta la lotta di Anna è sostenuta dal marito, è per amore suo che Anna non smette di pregare fino a essere considerata un'ubriaca. Lo è, ma come la sposa del Cantico, ubriaca d'amore.
Il rispetto e l'amore che Anna e suo marito vivono danno forza alla preghiera, trasformano una storia comune e un po' triste, in una straordinaria vicenda che innesca la scintilla della salvezza. La trasformazione di chi si sente amato: è questo il primo e più straordinario dono della famiglia. Per un cristiano la famiglia non è solo quella anagrafica, ma impara fin da piccolo che gli altri sono fratelli, impara a chiamare Dio, Padre e conosce la maternità di Maria.
Giovanni nella sua lettera non fa che amplificare ciò che è naturale nella famiglia per applicarlo alla famiglia della comunità ecclesiale. C'è un Padre che ama, ci sono dei figli, che hanno una relazione unica con lui, una conoscenza profonda fatta di piccoli indizi che solo la vita insieme può rendere decifrabili e che niente può sostituire. Chi non vive questa comunione (il mondo), non può capire; ma chi la vive, riconosce, ogni giorno di più, i segni che lo rendono simile al Padre. Come per ogni padre, perché la relazione funzioni è necessaria la fiducia, l'obbedienza. La prima obbedienza è che i fratelli si amino.

Forse nelle nostre comunità non si ha la sensazione di essere famiglia di Dio, complice una mentalità imprenditoriale, che scarta chi non funziona come dovrebbe e passa sopra a chi la pensa diversamente. Non sono i discorsi che fanno innamorare della famiglia, ma è una bella famiglia che lo fa. Noi facciamo mille incontri per informare sulle minacce alla famiglia, litighiamo con mezzo mondo per difendere principi sacrosanti; forse curiamo poco la vocazione della comunità a essere famiglia dove la parola fratello abbia un senso, una qualche conseguenza e dove si ascoltano tutti.
La scena raccontata da Luca è come quella del libro di Samuele, condita da un po' di sofferenza. Giuseppe e Maria, al termine di una giornata di viaggio, si accorgono che Gesù non sta dove dovrebbe stare, dove pensano che sia giusto stare. Inizia così una ricerca per niente scontata, che dura tre giorni fino a ritrovarlo nel tempio, partecipando allo stupore di quelli che lo stavano ascoltando. Il dialogo che segue è doloroso, Gesù spinge, un po' bruscamente Maria e Giuseppe a realizzare quello che avevano cominciato a capire mentre lo cercavano, che Gesù aveva un suo cammino, che non era quello che come fanno ogni mamma e papà avevano immaginato per lui. Il brano si chiude con l'immagine di Maria silenziosa, che fa scendere nel cuore le parole che ascolta fino ad amarle; un'immagine che richiama quella di tante mamme, che restano silenziose, mascherando l'apprensione, di fronte alla vita dei figli che crescono.

Giuseppe e Maria imparano a essere discepoli, fanno esperienza che Gesù non sta dove ti aspetti che stia, che bisogna cercarlo. Maria e Giuseppe lo cercano per tre giorni, così come ogni discepolo deve imparare a fare. Qualche commentatore antico dice che quella ricerca si fa scrutando la Scrittura, riflettendo sulle vicende della vita. La famiglia cristiana è la scuola per diventare discepoli; è lì che s'impara a pregare, a interpretare i fatti della vita, ad affrontare le delusioni e le sofferenze. È lì che uno impara a cercare e trovare Gesù quando si pensa di averlo perduto, è lì che s'impara a essere contenti per la vita che nasce e che si apprende che chi è andato via, è in cielo.

VITA PASTORALE N. 10/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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