Il diaconato in Italia n° 193
(luglio/agosto 2015)
RIFLESSIONI
I diaconi e la cura delle famiglie ferite
di Andrea Spinelli
Le ferite non sono riservate ad alcuni, mentre altri, all'apparenza, può sembrare ne siano risparmiati. È chiaro, anzi ovvio, che non parliamo di ferite riguardanti il corpo nella sua fisicità, bensì quelle che colpiscono l'animo, che pure non si vedono a occhio nudo o, meglio, non è scontato accorgersene. Occorre dunque grande attenzione e altrettanto grande sensibilità per scoprire tali ferite, le più difficili da curare fino alla più completa guarigione. Dice il Siracide (25,12): «Qualunque ferita, ma non la ferita del cuore». L'affermazione è legata alla cattiveria, all'affronto e all'ingiustizia, pertanto, anche se nel testo si parla di una donna cattiva, mi piace ampliare l'orizzonte e riferirlo a tutte le relazioni umane, che, pur meritando e spesso anche avendo cure speciali, non sono esenti da fraintendimenti, da inganni e anche da crudeltà.
Non entriamo nel merito della responsabilità, ma prendiamo le ferite come realtà con le quali misurarsi, quasi fossero inevitabili. Ne prendiamo dunque atto e talvolta come Giobbe giungiamo anche a dire: «Il Signore mi apre ferita su ferita, mi si avventa contro come un guerriero» (16,14), ma sempre con lui non perdiamo la speranza e ci correggiamo (5,18): «Egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana». Arrivare a ciò è certamente un passo importante, perché è rendersi conto che la guarigione è cominciata.
È un'esperienza, più o meno difficile, che tutti sperimentiamo e che, se siamo sinceri, riusciamo a superare con l'aiuto di chi ci sta vicino e ci vuole bene oppure di chi vive seriamente la "compassione" e cerca in ogni modo di aiutare chi è ferito, chieda o no esplicitamente aiuto. A questo riguardo un primo aiuto, ne sono convinto, è quello della preghiera di intercessione: se sono a conoscenza della ferita di un fratello o di una sorella, che conosco direttamente o che mi viene "raccomandato" da altri, non attendo neanche un secondo e lo "metto nella preghiera". Ho usato quest'ultima espressione, perché più volte è giunta ai miei orecchi da parte di una persona della parrocchia, molto sensibile e che comunica a chi sa ben disposto la richiesta: la carità della preghiera. Certo il Signore lo sa, perché vede e conosce tutto e tutti, ma quanto gradisce la preghiera per chi soffre, fatta con sincerità da chi se ne accorge e chiede per l'altro prima e più che per se stesso.
«Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito, egli salva gli spiriti affranti» (Sal 34,19): quale sarà mai la modalità concreta della vicinanza del Signore a chi a il cuore ferito? Senza dubbio il volto sincero e la parola semplice del fratello, dell'amico, del conoscente, persino del forestiero, strumento docile di un amore senza confini come quello del Signore. Dunque il Signore fa sentire la sua vicinanza per mezzo dell'altro, che ci sta vicino, ci conosce o, semplicemente, viene a conoscenza e ci incontra in situazione critica, una ferita! Potremmo dire che la legge della carità ci chiede di curare reciprocamente le ferite, con discrezione, con rispetto, con tenerezza o con la giusta franchezza se necessario. Anche se il singolo può presentare una ferita, che domanda di essere curata perché si rimargini, vogliamo qui prendere in considerazione le ferite che colpiscono la famiglia in quanto tale, nella relazione dei suoi membri interni ed esterni come famiglia allargata.
Innanzi tutto penso alle incomprensioni che si creano tra i membri di una famiglia quando qualcuno si erge a giudice, qualcuno parla e opera con autoritarismo, qualche altro pensa di aver ragione e non cede, persino su questioni di scarsa importanza: che clima gelido o torrido, secondo le situazioni, che giorni tristi da vivere e pesanti per arrivare a sera, quando le magiche tre parole, secondo papa Francesco non vengono pronunciate da nessuno, ossia scusa, permesso, grazie! Penso poi alle famiglie, dove la malattia, con colpa o senza colpa, bussa e fa piombare nella disperazione: tutto cambia e le ferite del corpo diventano contemporaneamente ferite dell'animo e i bei momenti trascorsi prima vengono presto dimenticati e ci si sente vittime innocenti senza via d'uscita.
Penso anche alle famiglie, che sperimentano all'inizio una situazione di benessere economico e poi per motivi di vario genere diventano povere di mezzi e insieme di gioia e di speranza. Quante situazioni: la perdita di un membro giovane, per malattia o incidente; la perdita del posto di lavoro, oggi caso frequente; la strada sbagliata presa da un figlio o le cattive compagnie seguite da giovani e persino da adulti insospettabili; i desideri esagerati che nascono da confronti e paragoni con situazioni giudicate fortunate, insomma come si dice che le vie di Dio sono infinite, sembra che lo siano anche quelle che una famiglia può seguire, perdere l'orientamento e trovarsi oggettivamente in una situazione di ferita. Di fronte a ciò vale il cammino che si percorre fin dalla più tenera età, imparando da subito ad affrontare le sfide della vita, insieme e non da soli, fiduciosi e non sospettosi per principio.
Il così detto "benessere", sperimentato negli anni del boom economico, ci ha fatto più male che bene, poiché ci ha soggiogati, togliendoci la libertà dalle cose, la libertà delle scelte e la libertà per gli scopi autenticamente umani. Oggi sono certo che ci son tante famiglie che, senza l'onore della cronaca, riescono a superare le difficoltà e le eventuali ferite, proprio attingendo al patrimonio ereditato da chi ha faticato per raggiungere determinati obbiettivi e, lungi da sedersi sugli allori, non smette di usare, meglio vivere, parole come sacrificio, umiltà, obbedienza, impegno quotidiano. Oggi però la famiglia deve affrontare situazioni disgreganti che la legge civile approva. Mi spiego: la tentazione della separazione e del divorzio è antica, il libello del ripudio era previsto nella legge di Mosè, ma la parola di Gesù è stata ed è molto chiara: in principio non era così, poi la "sclerocardia", ossia la durezza del cuore ha preso il sopravvento. Ecco la legge del divorzio! Ricordo che nel 1974 votavo per la prima vota e l'obbiezione che mi veniva fatta era la seguente: tu sei cattolico, bene, e chi la pensa come te non si servirà di tale legge, ma non puoi impedire che chi ha un altro orizzonte lo faccia! È avvenuto o avviene così? No, da allora, da più di 40 anni, il divorzio è diventato norma per moltissimi, cattolici compresi, che hanno celebrato in chiesa le loro nozze. A chi ha esultato lo scorso anno per il risultato del referendum del 1974, considerandolo una battaglia di civiltà e di progresso, forse si potrebbe rispondere non solo con il numero enorme dei divorzi, ma soprattutto con le conseguenze interne ed esterne della famiglia e spesso con fatti di violenza e di morte. Talvolta le ferite giungono d un punto tale che sembra impossibile porvi rimedio.
Il Signore tuttavia è più grande di tutti noi, senz'altro di me, che ho fatto le precedenti affermazioni. "Il Signore - dice il Salmo - è vicino a chi ha il cuore ferito": tale frase è il titolo di una lunga lettera che il cardinal Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano, ha scritto nel 2008 proprio agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione.
I diaconi permanenti, quasi tutti sposati, conoscono più direttamente le famiglie che vivono situazioni di difficoltà e che hanno consapevolezza della ferita subita, perciò possono instaurare un colloquio aperto e sincero, con chiarezza ma senza fretta, con simpatia e amicizia umana, sostenute nel profondo dalla carità cristiana. Nella parrocchia le occasioni sono tante, dirette e indirette, quali per esempio la catechesi dell'iniziazione cristiana dei figli; la partecipazione a feste o sagre, dove tutti o quasi vengono; la visita a un membro anziano o ammalato della famiglia; tutte situazioni vissute senza ansia fuori posto, ma con semplicità e verità. Quanto detto forse è ancora previo a una cura vera e propria, ma sicuramente giova e crea pian piano una situazione favorevole. I risultati possibili e desiderabili sono quelli di una ripresa della partecipazione alla vita della comunità, con impegno concreto in qualche ambito, senza bloccarsi all'impossibilità di accedere alla comunione eucaristica.
"È errato ritenere che la norma regolante l'accesso alla comunione eucaristica significhi che i coniugi divorziati e risposati siano esclusi da una vita di fede e di carità effettivamente vissuta all'interno della comunità ecclesiale" (Tettamanzi, lettera citata p.17). La mia esperienza personale di 25 anni nella stessa parrocchia conferma la reale possibilità di quanto son venuto dicendo, naturalmente non solo grazie al mio ministero diaconale, ma in rapporto chiaro e sereno con tutti gli altri soggetti della comunità.
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