Saper discernere le ferite delle famiglie



Il diaconato in Italia n° 193
(luglio/agosto 2015)

IL PUNTO


Saper discernere le ferite delle famiglie
di Giovanni Chifari

Di fronte a questo tema non facile, alcune considerazioni si presentano con più evidenza: l'osservazione della realtà famiglia richiede grande attenzione e molta pazienza, troppi stereotipi tendono a non cogliere la continua evoluzione in atto; nelle famiglie esiste un evidente problema interpretativo, un deficit di discernimento umano e spirituale; la teologia del servizio, fondata su una Parola studiata e pregata può illuminare la cura e la prassi pastorale per le famiglie.
Identificare quali siano le famiglie ferite è un'operazione meno scontata di quanto possa apparire. Una prima consapevolezza che deve sostenere il servizio dei diaconi e di quanti hanno a cuore il bene delle famiglie, è infatti il poter rilevare che non esistono famiglie che non siano ferite. Le lesioni sono molteplici e attraversano trasversalmente tante famiglie. Quelle che si dichiarano formalmente o giuridicamente ferite attraverso la separazione o il divorzio non sono le uniche ad esseri o, anche se il problema pastorale più urgente sembra essere quello di pensare dei percorsi e degli itinerari per lasciare che la misericordia di Dio raggiunga ognuna di queste famiglie. A scanso di equivoci, superando la diffusa sindrome del fratello maggiore, di chi cioè si sente giusto di fronte al Signore perché vive una situazione matrimoniale che potremmo definire ecclesiologically correct, si dovrà ripartire sempre dal Vangelo.
C'è chi è perso dentro, come la moneta (cf. Lc 15,8-10), e chi è perso fuori, come la pecorella (cf. Lc 15, 4-6), così come il figlio minore si perde fuori e il maggiore si perde dentro (cf. Lc 15,11 ss). Immagine che possiede una profondità scritturistica ben più ampia di quanto si sta qui sintetizzando, che richiama anche la dialettica tra Israele e le genti, ma che qui può essere anche utile per dire che tutti hanno bisogno di essere guariti. E pensiamo quanto questo valga per le famiglie. Se guardiamo poi a Gesù, osserviamo che Egli inizia la sua missione dai poveri e dagli ultimi, va in cerca di chi è perduto e gioisce per il ritorno di chi è lontano.
Soffermandoci ancora sulla mutevole realtà della famiglia oggi, è possibile Osservare che tante famiglie, pur non apparendo ferite, pur mantenendo un profilo formale, sopravvivono accettando la dittatura di compromessi spesso taciti ma di fatto e da tempo hanno smesso di vivere come una famiglia. Per altro verso ci sono coloro che dopo il fallimento di una storia matrimoniale trovano la forza per iniziare un nuovo percorso coniugale che culmina con la nascita dei figli. Questa nuova vita o anche questa nuova chance che essi ritengono di aver avuto, non è detto che abbia realmente contribuito a sanare le loro ferite, anzi quasi sempre esse permangono e si materializzano attraverso sentimenti di malcelata tristezza, di vittimismo e quasi sempre di acredine e conflittualità con la Chiesa. Esistono anche altri profili e altri contesti, per quanti, separati o divorziati, scelgono di abitare nelle movida dei nostri tempi, ritenendo che possano essere luoghi favorevoli per un qualche sollievo, per un futuro più roseo. In realtà essi precipitano in un vortice senza fine, perché le nuove situazioni sentimentali che sono originate da tali situazioni sono fragili e deboli in partenza, poiché espressione di incontri tra feriti non sanati.
Del resto chi non sana le proprie ferite le proietta sull'altro, insieme alle proprie paure, e quando c'è timore, come ricorda anche la prima lettera di Giovanni (1Gv 4,18), non c'è amore. Per questo molti preferiscono costruirsi una nuova corazza, inseguono il fascino dell'effimero, divengono abili consumatori di sentimenti, spietati fruitori di sessualità occasionale. Un tempo erano stati famiglia, erano mariti, sono state mogli, ma non hanno retto alla vita comune, e feriti scelgono di ferire a loro volta, sposando, questa volta, la sregolatezza, il carpe diem, la vanità di momenti imbarbariti nella loro stessa essenza.
Ma l'esser ferito genera anche sentimenti di ira. La collera cioè nasce da una ferita. Lo spiegano mirabilmente i Padri della Chiesa, parlando di Caino, ferito nel proprio intimo poiché Dio sceglie l'offerta di Abele. Se Caino avesse ascoltato le parole terapeutiche di Dio sarebbe guarito, ma chi è nell'ira, suggeriscono ancora i Padri, è come sordo, anzi, ancor più, è come in preda a un demone che lo possiede per un tempo ben preciso. E anche quando si pensa che la collera sia passata, come ricorda anche il monaco di Bose, Enzo Bianchi, in realtà essa ha avvelenato il suo cuore, lasciando in esso rancore e odio, una profonda tristezza che spesso degenera nella depressione. Le famiglie purtroppo non sono immuni da tali processi: collera, odio, tristezza, depressione. Le famiglie oggi sono ferite. E talvolta le famiglie dei diaconi non sono esenti da questa esperienza di grande dolore.
In questo clima di diffuso disorientamento si registrano anche le vite di quanti hanno vissuto la completezza della dimensione familiare, finanche coniugale e poi ritengono di aver scoperto altro: l'amore dell'uomo per l'uomo e della donna per la donna. Dietro questo abbaglio c'è l'ideologizzazione della identità sessuale come scelta personale del soggetto e non come dono di Dio e identità biologica. Tempi non facili dunque, anche per quanti famiglia lo diventeranno in futuro. Penso al progressivo accrescersi di comportamenti effeminati presso le generazioni dei quattordicenni e quindicenni. Lo stesso profilo di Chiesa che amerge dagli scitti di papa Francesco sembra riflettere questa comprensione. Pensiamo ad esempio all'immagine di Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia, una Chiesa che cura e fascia le ferite e si fa prossima verso l'umanità di oggi, verso le periferie. La battaglia però non è quella della lotta interiore o della sana custodia del cuore, cara alla tradizione biblico patristica, ma è quella che va in scena o forse è meglio dire nell'arena della vita di tutti i giorni. Sì, perché un'osservazione realistica di quanto si agita nel quotidiano vivere dei popoli, ci consegna una conflittualità forse mai vista nella stessa relazione fra il maschile e il femminile, tra tutto ciò che è orientativo e direzionale e quanto è contenutistico strutturale. Una disarmonia che esplode spesso nel patologico, come si accennava sopra, che evidenzia fenomeni di diffuso esercizio della collera, attraverso la quale, uomini feriti cercano di riaffermare un ruolo che sembra esser venuto meno. È proprio l'uomo ad essere in grande difficoltà.
Quando si afferma che tutte le famiglie sono ferite si fa anche riferimento a un deficit interpretativo. C'è un grande problema ermeneutico. C'è un vuoto di senso che attende di essere colmato e fin quando ciò non avverrà, se non si trovano dei validi antidoti, la ferita rimarrà aperta. Questo accade perché anche coloro che si sposano in Cristo, nella Chiesa, disconoscono il senso della grazia di stato nella quale si trovano con il sacramento. Una vacatio che appare già fin dal periodo del fidanzamento, nella indisponibilità interiore ad apprenderla mediante un serio e autentico discepolato.
Così dopo un percorso standardizzato, saturo di mille illusioni e di altrettante proiezioni, ci si ritrova a vivere la vita di coppia pensando che si possano continuare a seguire e interpretare i modelli ritenuti vincenti in precedenza. Ma soprattutto non si sa riconoscere l'azione che intanto Dio va operando nella coppia. Da qui il sorgere di forti resistenze verso i rintocchi della grazia e, quasi come un meccanismo di difesa, la fuga verso ciò che è mondano e fugace.

La logica del servizio
Per un sano discernimento di ciò bisognerà avere esperienza e intelligenza della logica del servizio. Ecco perché il cammino maturo e autentico del discepolato cristiano del diacono, insieme alla sua sposa e ai figli, può essere molto utile per accompagnare le famiglie, specialmente quelle giovani ma in genere tutte le famiglie ferite, ad ogni livello e profondità.
Chi vive la diaconia familiare e possiede un'umile intelligenza dell'azione di Dio, mediata da un costante e abbondante nutrimento della Parola di Dio, può divenire strumento affinché altre famiglie possano imparare a riconoscere e discernere il passaggio di Dio nella loro esistenza. E allora l'esperienza matrimoniale diviene un luogo privilegiato nel quale poter vivere il servizio, un luogo cioè di conformazione al Cristo umile e carico della croce, senza dimenticare l'orizzonte della resurrezione. È proprio in vista di tutto ciò che Dio inizia a fare sul serio con la coppia degli sposi quando innesca processi di svuotamento e di rimozione dell' egocentrismo. Una coscienza grzza e poco differenziata tenderà a non percepire tale chiamata alla perdita di se stesso e mostrerà una ferma e risoluta opposizione a questi fenomeni falsificandoli attraverso modelli di riferimento che vanno di solito nel senso opposto. Valga invece quanto è detto nel Magnificat: «Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili» (Lc 1,52).
Scegliere di rimanere nella superbia? In quella pienezza di sé che divide la coppia? Oppure lasciare che Dio completi la sua opera, umiliandosi sotto la sua mano? Spesso la risposta consiste nella fuga. Essa dilata la prossimità e ferisce l'alterità, smette di servire l'altro e inizia a vederlo come un nemico, una nausea, come il nulla. La nascita dei figli dovrebbe favorire e accelerare questo processo di donazione all'altro, di perdita di se stesso, secondo il Vangelo (cf. Lc 9,24), e invece molto spesso si inizia a parlare di crisi. Ecco quindi un modello piuttosto ricorrente di famiglia ferita: quella che non sa riconoscere l'opera che Dio sta compiendo in essa.
La crisi però non sarebbe il tempo dell'addio, o un punto di non ritorno, ma un tempo di grazia. Dal mistico tedesco Taulero al teologo Guardini, fino ad arrivare al monaco benedettino Anselm Grun e al sacerdote J.H. Nouwen, il coro è unanime. Bisogna sanare le ferite. Il tempo della crisi, il momento in cui le famiglie giungono ad avere consapevolezza di esser ferite, diviene cioè un'occasione per imparare a scrutare quanto Dio sta operando nella famiglia e come Egli desideri lasciarsi incontrare nel fondo dell'anima della singola persona e poi in quello stesso spazio unitivo e condiviso che fa i due una sola carne. In questa luce, i fallimenti, le delusioni, gli insuccessi che caratterizzano ogni vita di coppia diverrebbero dei momenti e delle tappe ben precise attraverso le quali Dio sta operando una sorta di svuota mento dell'anima, di rimozione di tutto ciò che può ostacolare la comunione con Lui.
Togliere il peccato, fare spazio e riempire con la propria grazia, edificando un uomo nuovo, ecco l'opera di Dio. Ma spesso da ciò si fugge, anche perché mancano i mediatori, non quelli familiari, ma uomini di Dio che aiutino a interpretare il passaggio di Dio nella propria esistenza. Le Scritture ci lasciano intendere che il passaggio di Dio non può essere riconosciuto se manca la costante docilità alla sua Parola, se non si riempiono i fatti della vita di questa Parola, e allora si interpreta sempre tutto nel modo sbagliato, ci si aspetta Dio nel vento impetuoso e gagliardo, nel terremoto, nel fuoco mentre Egli passa nel «sussurro della brezza leggera» (1Re 19,12). Quando il Padre si compiace del figlio, nella voce che scende dal cielo molti sentono nient'altro che un tuono. Abbiamo davvero bisogno di uomini e donne di Dio che dopo aver riconosciuto e sanato le proprie ferite, siano disposti a prendersi cura dei fratelli, perché non farà più paura la ferita dell'altro.

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