La famiglia: ferite e luci di speranza



Il diaconato in Italia n° 193
(luglio/agosto 2015)

CONTRIBUTO


La famiglia: ferite e luci di speranza
di Paolo Gentili

Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta
Quando ci si accosta a persone e a famiglie profondamente ferite, oc corre la massima delicatezza e tenerezza. Talvolta una persona ferita non la puoi nemmeno abbracciare, perché rischi di fargli molto male. Allo stesso tempo però, è una gioia grande poter comunicare la tenerezza e premura della Chiesa verso i suoi figli più provati e tribolati e annunciare, come un balsamo, la Grazia del Crocifisso che è risorto. Vorrei partire con l'intravedere un orizzonte di speranza e l'immagine che ci regaliamo è quella del «tesoro in vasi di creta» di 2Cor 4,7. Questa immagine corrisponde, in modo particolare, alla situazione dolorosa dei matrimoni che falliscono, anche se si può ben adattare a tutte le situazioni delle ferite familiari.
In particolare, quando un vaso si spezza il tesoro resta, e, in questo caso, il tesoro sono le singole persone che hanno fatto quel matrimonio, che sono da accogliere come figli di Dio. Sono persone le cui vite, in un modo o nell'altro, si sono impastate insieme fra di loro, mescolandosi allo stesso tempo con tanti sentimenti confusi: rabbia, solitudine, risentimento, o, quando il cuore si apre, perdono e riconciliazione.
Si avverte una grande sofferenza in queste storie di vita e la Chiesa, la Comunità Cristiana, che è Madre e Maestra, non può stare a guardare, ma è chiamata, come Maria alla sollecitudine per le nozze che non hanno più vino. Potremmo dire che la Madonna getta lacrime che risanano e che costituiscono un balsamo per le ferite della famiglia. È infatti lo sguardo della fede che cambia totalmente la prospettiva e spalanca orizzonti di speranza. È quello sguardo della fede che Maria ci insegna indicandoci Gesù come Colui che salva e che trasforma la notte della croce nell'alba della resurrezione.
Vorrei che, sulle orme di papa Francesco, entrassimo in punta di piedi avvicinandoci a questa porzione spesso dolorante della nostra realtà di Chiesa. Stanno nascendo in Italia varie esperienze di accompagnamento, personale e di gruppo, per persone che hanno vissuto il dramma della separazione o del divorzio. In molti casi hanno preso il nome di "Percorso della Samaritana", una donna con vari fallimenti matrimoniali alle spalle, che diventa annunciatrice del Vangelo. Penso che tutti ricordiamo la domanda di Gesù: «va' a chiamare tuo marito!» e lei che risponde «non ne ho di marito», e Lui: «è vero, ne hai avuti cinque di mariti, e quello con cui stai ora non è tuo marito» (cf. Gv 4,16-18). Nessuno immaginerebbe, dopo un dialogo del genere, che proprio lei, con fallimenti matrimoniali alle spalle, sia chiamata a condurre molti a fare esperienza di Gesù. Mi rendo conto che, nell'orizzonte pastorale, le situazioni più scottanti vengono da coloro che hanno acquisito una nuova unione, per le difficoltà legate all'accesso negato all'Eucarestia. Purtroppo oggi su questo tema c'è molto disorientamento, talvolta anche tra gli stessi sacerdoti, con una pluriformità di prassi che genera confusione. Occorre quindi prima di tutto annunciare con chiarezza la Dottrina della Chiesa e un'attenzione speciale alle indicazioni del Magistero. Non c'è autentica Carità senza Verità.
Come ha recentemente precisato Mons. Muller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, «la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della Chiesa, anzi essa concede la forza della grazia per la loro piena realizzazione, per rialzarsi dopo la caduta e per una vita di perfezione a immagine del Padre celeste».
La questione di fondo, per chi non può accedere ai sacramenti, è infatti legata all'indissolubilità del primo e unico matrimonio. Nemmeno il Santo Padre può annullare un patto sponsale validamente celebrato e consumato. La Rota può soltanto verificare che non c'erano le condizioni perché quel determinato matrimonio si celebrasse e quindi è da ritenersi nullo. Come ha recentemente precisato Mons. Muller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, «se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale». Vi è da dire che oggi i tempi dei Processi si sono notevolmente accorciati e, in molti casi, anche i costi sono diminuiti notevolmente. Occorre però dare un aiuto concreto come Organismi Diocesani per verificare se ci sono le condizioni per avviare il Processo di Nullità. In più occasioni papa Francesco ha detto che c'è troppa sofferenza e questo aspetto va ulteriormente approfondito al livello teologico e con un rinnovato investimento pastorale.
Mi sembrano illuminanti, in tal senso, le indicazioni che dava alla Diocesi di Milano il Cardinal Colombo nel 1975: «Non saremo noi a pronunciare condanne sbrigative su questi nostri fratelli che non hanno bisogno di essere giudicati, ma di compatimento fraterno e aiuto incessante. Non taglieremo certo i fili che li legano ancora alla Chiesa; pregheremo per loro e, se possibile, con loro; li inviteremo a confidare nel Signore che - nell'ora e nei modi che Lui solo conosce - sa aprire vie insperate; li solleciteremo anche a una coraggiosa revisione di vita nella luce delle giuste e austere esigenze della Parola di Dio circa l'indissolubilità del Matrimonio. Tuttavia faremmo il loro male se - permanendo essi in uno stato di vita difforme dalla volontà di Cristo - li ammettessimo ai sacramenti della Penitenza e a quella sorgente e a quel vertice della sacramentalità della Chiesa che è l'Eucaristia. In questo caso la condiscendenza del Signore, che siamo tenuti a esercitare, sarebbe sconvolta al punto da intaccare in qualche modo la struttura profonda della Chiesa stessa». Va però precisato che i battezzati che vivono la separazione o il divorzio, restano per sempre e comunque figli del Padre Celeste e della Chiesa. Questa permanente figliolanza va dunque sottolineata con forza.
Se infatti, talvolta, si è offuscata la luce della Verità, parimenti, in alcuni casi, si è mancati nella testimonianza della Carità per le famiglie che vivono la dolorosa condizione della separazione. Intendo dire che, con una certa rigidità, in alcune comunità cristiane sono state date indicazioni inesatte, costringendo ad astenersi dalla comunione eucaristica anche persone separate, non colpevoli della divisione, e che non avevano intrapreso una nuova unione.
In altri casi non si è manifestata una piena accoglienza, pur nelle indicazioni del Magistero, per le famiglie spezzate, e una particolare cura per i loro figli, spesso particolarmente feriti, e ancor più bisognosi degli altri di sperimentare la maternità della Chiesa. Occorre allora che nelle parrocchie, nei movimenti e associazioni, nell'intera Chiesa Italiana, si aprano percorsi di fede per le famiglie che vivono, nelle differenti e specifiche situazioni, la condizione della separazione o del divorzio.
Già molti passi sono stati fatti, nonostante che il fenomeno, in alcune zone del nostro paese, sia relativamente recente. Occorre però un vero cambiamento di mentalità per esprimere a pieno la Verità e la Carità del Vangelo. Siamo infatti, dinanzi alla punta di un iceberg dove, chi fallisce nel matrimonio, manifesta in modo evidente, la difficoltà di vivere in una società che mette a dura prova chi decide di vivere nell'orizzonte dell'amore sponsale. Spesso però, le crisi sarebbero superabili, se si realizzasse un intreccio virtuoso fra le varie competenze da mettere in gioco per realizzare un autentico accompagnamento, integrando il contributo dei Consultori di ispirazione cristiana con le specifiche iniziative della pastorale familiare.
Mi sembra che l'indirizzo pastorale da perseguire possa essere scandito in quattro tappe rappresentate da altrettante parole-chiave: accogliere, discernere, accompagnare, educare. Si tratta infatti di persone che, pur avendo commesso degli errori, restano figli di Dio e della Chiesa e in tal senso sono da accogliere con tenerezza. Occorre poi discernere le varie situazioni evitando di creare confusione nei comportamenti. A tal proposito sono preziose, oltre all'elenco dei vari casi possibili, le opportune indicazioni pastorali da tenere, descritte nel cap. 7 del Direttorio di pastorale familiare per la Chiesa in Italia della CEI. Soprattutto è necessario accompagnare in un autentico cammino di Conversione alimentato dalla luce della Parola e dalla sapienza del Magistero. In tal senso dove i casi sono sanabili occorre avviare un fecondo dialogo perché ciò sia reso possibile, oppure, se ci sono le condizioni necessarie, invitare ad avviare l'iter presso i Tribunali Ecclesiastici per verificare la validità del matrimonio precedente. Oltre ai cammini di gruppo, è particolarmente fruttuosa la direzione spirituale che illumini le singole coscienze, acquieti i rancori e solleciti azioni concrete di perdono. Così, mostrando la via corretta da seguire, pur trattandosi di una situazione irregolare, si può educare alla vita buona del Vangelo in quella particolare condizione.

Il corpo sacramento primordiale
Il corpo sponsale che si spezza è certamente una ferita per la Chiesa e per l'umanità; ma accanto a questo luogo, ne esistono molti altri dove il dolore si manifesta in famiglia. Il beato Giovanni Paolo II nelle catechesi sull'amore umano definiva il corpo come "sacramento primordiale". Esso infatti appare come una finestra dove l'umano e il divino si compenetrano; rivela un'origine che trascende l'uomo stesso e che apre al futuro nella circolarità del dono. Paul Clodel in un suo testo descrive una ragazza cieca che dice al suo fidanzato: «mentre io sono sola sono come qualcuno che non ha corpo (...). Soltanto se qualcuno viene, mi prende e mi tiene nelle sue braccia, allora io esisto in un corpo. Soltanto attraverso di lui io conosco (il mio corpo). Non lo conosco se non lo dono».
È solo una relazione di amore che illumina l'esistenza nel proprio corpo. In modo particolare è l'affetto dei propri familiari. Questo è evidente soprattutto negli spazi di vita in cui si sperimenta la non-autosufficienza. Penso in modo particolare al corpo dei neonati che necessitano di carezze e cure amorevoli, ma anche a quello degli anziani quando vivono uno stato di salute che non gli permette più di provvedere a se stessi.
Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell'incontro con il volto dell'altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo (Evangelii Gaudium, n.88). La persona separata di Genova che dopo 23 anni di separazione accoglie nuovamente il proprio marito con un ictus; la storia di Daniele di Ferrara, 19enne, che cambia i pannolini della sorellina in affido. In futuro dovremo accompagnare meglio le giovani coppie perché si aprano sempre più ad accogliere i bimbi che non hanno famiglia. Michele e Maria dell'UPF di Oppido che il fine-settimana aprono la casa ai bimbi senza famiglia, per far crescere la piccola Miryam con tanti fratelli. Oltretutto il dramma della non-fertilità si sta diffondendo sempre più (oltre il 21,7%) in una società che non alimenta la propria generatività e che vede il figlio come un problema da risolvere.
Si tratta allora di ridestare quella circolarità dell'amore già descritta da papa Francesco nella omelia per il suo ingresso il 19 marzo del 2013, spalancando la dinamica del dono di sé come gusto dell'esistenza. È la custodia che si vive in famiglia che alimenta i doni di Dio. È il custodire la gente, l'aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È aver cura l'uno dell'altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori.
Il progresso di una società non si rileva dal grado di diffusione degli strumenti tecnologici, ma da quanto è rispettata questa custodia della vita dal concepimento al suo naturale termine. Una società che non difende la vita, soprattutto nelle sue espressioni più fragili, è una società in corsa verso il proprio declino. È pur vero però che molte famiglie vivono il sovraccarico di questi corpi feriti. Penso in modo particolare a chi ha un figlio portatore di handicap, o a chi custodisce nella propria casa un familiare anziano e disabile. In Italia siamo ancora gravemente carenti in tema di politiche familiari; ma direi anche che la comunità cristiana non ha ancora sviluppato appieno il suo essere Famiglia di famiglie andando incontro a chi vive nella propria casa queste situazioni di dolore.
Ci indicano la strada le dolci sferzate di papa Francesco: «I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo. Questo è Vangelo puro». C'è allora una ministerialità particolare quando in famiglia è presente un tabernacolo del Calvario. La ministerialità coniugale si rinnova verso i propri figli o verso i genitori anziani in una ministerialità di misericordia sulle orme del Samaritano. In tal senso ci sono, talvolta nascosti nell'ombra, esempi di una santità coniugale e familiare straordinaria nel quotidiano. La storia di Benedetta di Chieti, bimba down abbandonata dai suoi genitori e accolta come una principessa.

La povertà che arricchisce
C'è poi uno sguardo nuovo da acquisire sulle ferite che si vivono in famiglia e sulle nuove povertà che via via si vanno manifestando nella nostra società. È lo sguardo che ci viene dalla luce della Parola. «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). È straordinaria una povertà che arricchisce. Questa verità può sperimentarla solo chi ha acquisito lo sguardo in cui la ferita diventa feritoia di luce.
Così la mancanza di lavoro, o meglio ancora, di lavoro onesto, resta un'ingiustizia da combattere, ma, nello stesso tempo, chiama tutti noi a una rinnovata solidarietà comune. E colui che sperimenta la povertà può arricchire gli altri fratelli, trasformando in dono l'esperienza di sofferenza che ha vissuto. Chi vive la cassa integrazione o la perdita del proprio lavoro può meglio comprendere chi è finito ai bordi delle strade per cattiva gestione delle proprie risorse, o per il vizio dell'alcool o del gioco, che-stanno distruggendo molte famiglie. Anche chi ha perso il proprio coniuge, se supera il rischio di chiudersi nel proprio dolore, potrà meglio comprendere chi si sente solo o abbandonato. Addirittura potrà mettersi al servizio della Chiesa e come la straordinaria figura biblica di Giuditta impetrare la forza di Dio a favore di tutto il popolo gridando (Gdt 9,9).
Possiamo allora chiedere alla Madonna delle lacrime di insegnarci questo sguardo nuovo e di cambiare le lacrime di dolore familiare in sorrisi di speranza. Lo facciamo affidandoci, ancora una volta, alle parole di papa Francesco. «Nel miracolo delle Nozze di Cana, la Madonna si rivolge ai servi e dice loro: "Qualsiasi cosa vi dica, fatela", e Gesù ordina ai servi di riempire di acqua le anfore e l'acqua diventa vino, migliore di quello servito fino ad allora (cf Gv 2,5-10). Questo intervento di Maria presso il suo Figlio mostra la cura della Madre verso gli uomini. È una cura attenta ai nostri bisogni più veri: Maria sa di che cosa abbiamo bisogno! Lei si prende cura di noi, intercedendo presso Gesù e chiedendo per ciascuno il dono del "vino nuovo", cioè l'amore, la grazia che ci salva. Lei intercede sempre e prega per noi, specialmente nell'ora della difficoltà e della debolezza, nell'ora dello sconforto e dello smarrimento, soprattutto nell'ora del peccato» (papa Francesco, Omelia per il Pellegrinaggio dell'UNITALSI, Roma 9 novembre 2013).

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