Commemorazione dei fedeli defunti


ANNO B - 2 novembre 2015
Commemorazione dei fedeli defunti

Gb 19,1-23-27a
Rm 5,5-11
Gv 6,37-40
(Visualizza i brani delle Letture)


CRISTO ACCOGLIE
NELLA VITA PER SEMPRE

La commemorazione dei fedeli defunti è una delle ricorrenze che mostra di più che le cose sono cambiate; una giornata piena di poesia, di nostalgia, di preghiera e di memoria per molti passa quasi inosservata. Qualche anno fa anche perché giorno di vacanza, parte del primo ponte dell'anno scolastico, era una giornata particolarissima, che tutti potevano cogliere, complici anche le programmazioni della radio e della televisione, che sottolineavano la mestizia di quel giorno in cui l'autunno si faceva spesso presente con tutto il suo corteo di foglie ingiallite, di pioggia leggera e di atmosfere indimenticabili. Tutti partecipavano a qualche commemorazione, o in chiesa o al cimitero. L'effetto di tutto questo era che la morte veniva a far parte dei pensieri di tutti e se ne parlava come di cosa normale; la cura delle tombe, i ceri accesi, mille altre usanze che ogni paese conosceva, rendevano presenti i defunti come membri della famiglia, viventi.
Quel giorno è ora segnalato da servizi dei telegiornali, sempre gli stessi, che informano sul mercato dei fiori e sui mezzi per raggiungere i cimiteri e altro. Le ultime generazioni poi si sono viste sostituire tutte le tradizioni con una specie di carnevale, che vuole esorcizzare la morte, e sostituisce con balli e processioni in maschera, le veglie piene di ricordi, di luci e preghiere che erano un modo straordinariamente semplice per proclamare che la morte, per quanto dolorosa, è stata sconfitta. Tutto questo non deve essere fonte di polemica ma impegno a ritrovare questa giornata, se non nella sua dimensione di festa civile, sicuramente in quella di giorno solenne, che celebra la Pasqua di Cristo, che si diffonde su quelli che hanno creduto in lui.

La prima lettura dal libro di Giobbe culmina nel grido di protesta di Giobbe che nella condizione di sconfitto, paragonabile se non peggiore di quella della morte, si erge con un formidabile atto di fede: io lo so che il mio redentore è vivo, io lo so che lo contemplerò. Mette in discussione l'idea che sia Dio a volere la morte e che essa sia una punizione per colpe personali. Le parole di Giobbe sono antiche, sono di protesta e di fede, sono un salmo sempre attuale. Paolo nella lettera ai Romani ricorda che la speranza non delude e Dio, invocato da Giobbe come vendicatore, qui è chiamato fonte dell'amore, per cui è lecito sperare. La morte, questo è il primo dato delle letture che si leggono nel primo formulario delle messe odierne, si sconfigge con la fede e con la speranza. La rimozione della morte cui assistiamo, non può essere semplicemente condannata ma compresa perché quando mancano fede e speranza, la morte ci annulla, toglie la voglia di vivere.
Chi non riflette qualche volta che nella nostra cultura che si impegna tanto ad allontanare il tempo e il pensiero della morte, ci sono tanti amici della morte che la cercano con comportamenti pericolosi e distruttivi? La mancanza di fede e di speranza restituisce alla morte una potenza della quale Cristo l'ha privata, non per magia ma mettendo in gioco sé stesso. Paolo sottolinea come Cristo è dalla parte della vita, crede nella nostra vita, anche quando questa non appare degna di fiducia. L'Apostolo spinge a diventare amici della vita, a ricordarci che siamo amici di Dio e a desiderare che la vita di Cristo si diffonda in noi.
Non possiamo certo recuperare atmosfere passate, ma possiamo contrastare la disperazione della morte, scegliendo di stare con colui che ha affrontato la morte e l'ha vinta. Questo è necessario. Dobbiamo rifiutarci di affrontare la morte con frasi di circostanza, che non consolano e spesso scoraggiano, e lottare contro di essa vivendo da persone riconciliate con Dio. È la strada giusta, che l'apostolo Paolo suggerisce.

Molte volte, in specie quando si legge il vangelo di Giovanni, si è catturati dalla profondità dei pensieri; qualche volta ci si può lasciar catturare dalle sensazioni che, come ogni opera letteraria, anche il vangelo trasmette. Qui abbiamo una sensazione di grande consolazione, perché sentiamo Gesù che dice che chi va a lui non troverà un rifiuto; parla della sua missione e la riassume con la frase: «Che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno». Siamo all'interno del discorso del pane, e il tema della vita è un filo che lo tiene unito; subito dopo si sente Gesù che dice: chi vede il Figlio e crede in lui ha la vita eterna. L'effetto di queste parole è di trasmettere fiducia, addirittura gioia.

L'antidoto della morte è la risurrezione e la vita eterna; la fede in Cristo è la cura della morte. Giovanni associa il verbo credere al verbo vedere, vedere è prima di credere. Tutti vedono, ma non tutti credono. Uno sguardo credente è uno sguardo profondo, che non si arrende, che scruta. Vediamo che le persone muoiono, guardiamo le stesse scene di disperazione popolate da bambini che muoiono, da giovani vite che finiscono, da persone che avrebbero ancora tanto da fare, e vanno via. Molti, vedendo questo, restano abbagliati dalla disperazione e smettono di sperare, riducono le loro attese, cedono all'evidenza; chi crede, chi ha il dono della fede, non si rassegna, guarda con insistenza, e vede dietro ogni storia e ogni vita Cristo che accoglie nella vita.

VITA PASTORALE N. 9/2015
(commento di Luigi Vari, biblista)

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