XXX Domenica del Tempo ordinario (C)

ANNO C – 27 ottobre 2013
XXX Domenica del Tempo ordinario

Sir 35,15b-17.20-22a
2Tm 4,6-8.16-18
Lc 18,9-14
SCEGLIERE TRA
DUE TIPI DI RELIGIOSITÀ

A volte, la chiarezza delle parole evangeliche è tale che qualsiasi commento rischia di opacizzarla. Soprattutto quando, come nel caso della parabola del fariseo e del pubblicano, esse sono espressione del pensiero più proprio di Gesù di Nazaret perché presentano la sua critica alla struttura religiosa e morale del giudaismo a lui contemporaneo. All'epoca di Gesù, ad accampare la pretesa di integrità erano i farisei, a scapito di tutti quelli che, per appartenenza di gruppo o per mestiere, venivano considerati "peccatori". Sarebbe stupido pensare che sia stato un atteggiamento esclusivo del giudaismo antico, dato che s'è trattato e si tratta di una devianza possibile ad ogni tradizione religiosa in qualsiasi epoca. Se così non fosse, perché tanto stupore se un Papa dichiara: «Chi sono io per giudicare un omosessuale...»? Gesù non l'ha forse richiesto a tutti di non giudicare? Lo insegnava già il Siracide quando ricordava che Dio non è mai parziale a danno del povero.

Come tutte le pagine lucane sulla misericordia di Dio, dunque, anche questa parabola ha un forte valore teologico, rivela cioè qualcosa di importante su Dio. A che cosa serve "salire al tempio"? Che cosa lega gli esseri umani alla divinità? Da come si prega, emerge il volto del Dio in cui si crede: chi è il nostro Dio? Si può essere religiosi in molti modi: con la parabola del fariseo e del pubblicano Gesù delinea con forza l'alternativa di fondo tra coloro che fanno della religione motivo di vanto e usano Dio per incensare sé stessi e coloro per i quali rivolgersi a Dio significa invece trovare la liberazione perfino da sé stessi.

Il confronto tra quella che l'evangelista Luca definisce "intima presunzione", cioè l'atteggiamento del fariseo, e la cautela con cui il pubblicano si accosta a Dio rimanda al confronto tra due mondi religiosi tra loro antitetici: il primo, quello del fariseo a cui l'appartenenza religiosa ingenera una considerazione di sé tanto pronunciata quanto arbitraria; il secondo, quello del pubblicano al quale è invece del tutto chiaro che il rapporto con Dio è l'unica realtà che non prevede negoziazioni. Gesù non ha fondato una religione diversa da quella che aveva ricevuto dalla sua famiglia e dal suo popolo. Gesù ha vissuto, all'interno della sua stessa tradizione religiosa, un atteggiamento di autenticità e di verità. E lo stesso atteggiamento ha chiesto a coloro che accettavano di ascoltarlo e che riconoscevano nelle sue parole la rivelazione di Dio.

L'intima presunzione, cioè la convinzione di essere giusti, ha necessariamente un prezzo: il disprezzo degli altri. Il disprezzo è, infatti, l'altra faccia della presunzione. Ad alcuni, supponenza e disprezzo derivano dall'appartenenza a un ceto sociale; altri, invece, sono convinti di aver capito della vita quello che a tutto il resto del mondo resta, al contrario, precluso perché si sentono più intelligenti, s0prattutto, più furbi. Di presuntuosi è pieno il mondo. La proposta di Gesù è forte e si può capire, allora, perché il sistema lo ha respinto fino a metterlo a morte. Egli pretende infatti di ribaltare il sistema religioso di cui fa parte perché da esclusivo si trasformi in inclusivo. Nulla di arbitrario, d'altra parte, se già la tradizione sapienziale di Israele affermava che non c'è nulla, ma proprio nulla, che possa favorire alcuni piuttosto che altri davanti a Dio.

Il sistema religioso funziona per gerarchie, per distinzioni, per gradazioni. Il rapporto con Dio, invece, è garantito solo e unicamente dalla disponibilità di Dio ad accogliere e perdonare. Il sistema religioso stabilisce, a volte perfino con violenza, chi sta dentro e chi sta fuori. Disegna confini, e stabilisce garanti dei confini. Per questo fa nascere nel cuore di molti intima presunzione e disprezzo. Soprattutto, il sistema religioso funziona con le "unità di misura": tutto viene misurato e pesato, la valutazione è quantificabile e le cose dello spirito divengono mercanteggiabili.

In bocca al profeta di Nazaret la parabola dei due uomini: l'osservante che riduce Dio al suo commercio, e il pubblicano che viene, invece, restituito alla sua realtà di giustificato, cioè libero, costituiva un atto di accusa contro il servilismo religioso e un inno nei confronti della "libertà religiosa". Prima ancora che di fronte agli uomini, come riconoscimento del diritto a professare una fede senza per questo incorrere in nessun tipo di opposizione o di persecuzione, la libertà religiosa è anzitutto una condizione interiore di fronte a Dio. La libertà religiosa è la forma della fede che Gesù ha profeticamente annunciato e predicato, espresso e testimoniato. Per questo, come tutti i profeti, è stato messo a morte. Non dai nemici, non da coloro che non condividevano l'istanza religiosa, ma dai suoi correligionari e in difesa della purezza della religione, cioè della sua capacità di ingenerare esclusione. Tutte le volte che il respiro largo di una tradizione religiosa si trasforma nel fiato corto di una setta religiosa, tutte le volte che supponenza e disprezzo albergano nell'ideologia religiosa e nella prassi religiosa trasformandole in strumenti di esclusione e non di inclusione, fede e libertà, invece di alimentarsi l'una con l'altra, entrano in collisione. Gesù, il profeta di Nazaret, ha tentato di proclamare che il Dio che ci ha scelti e chiamati è il Dio della libertà.

VITA PASTORALE N. 9/2013
(commento di Marinella Perroni, docente di N.T.)

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